venerdì 24 aprile 2009

Ricostruiscono "fedelmente" il ponte borbonico. Ma ha lo stemma sabaudo




E' in casi come questi che si nota tutto il servilismo e la subalternità dei nostri rappresentanti politici nei confronti della classe dirigente del Nord ed al conformismo filo-garibaldino imperante.

I politici meridionali hanno gettato la nostra dignità storica nel pozzo del Risorgimento che tutto divora e tutto tramuta, dove il nero diventa bianco, dove il NO diventa SI e il cattivo diventa buono e mentre ciò accadeva non si sono accorti che dopo la dignità hanno bruciato le nostre ricchezze e così oltre ad essere sbeffeggiati e derisi da chi fino all'altro ieri stava sotto padrone straniero, noi fiero popolo delle Due Sicilie siamo diventati l'ultima ruota del carro europeo.

Palazzo Reale, rinasce il ponte borbonico Fu bombardato nel 1943

È stato perfettamente ricostruito seguendo il disegno originale elabo­rato dall’ingegnere del Re, Genove­se
NAPOLI — Eccolo il «nuovo vec­chio» ponte di Palazzo Reale. Collega il bellissimo giardino pensile con l’appartamento reale e , soprattutto, restituisce allo scenario del Palazzo reale l’antico splendore distrutto dai bombardamenti del 1943.
Il ponte è stato perfettamente ricostruito sotto la direzione dell’architetto Enrico Gu­glielmo, l’ex soprintendente al Beni architettonici e paesaggistici il quale ha seguito il disegno originale elabo­rato dall’ingegnere Gaetano Genove­se.
LA STORIA - Nel 1837, Ferdinando II gli affidò il compito di restaurare il Palazzo Reale alla Marina, i cui appartamenti erano stati danneggiati da un rovinoso incendio. I lavori, avviati l'anno successivo, sarebbero proseguiti fino al 1858 ed avrebbero comportato una profonda trasformazione dell'aspetto interno del sito, oltre ad un consistente incremento degli ambienti. Coadiuvato da Pietro Persico e Francesco Gavaudan, il Genovese studiò e progettò un rifacimento della Reggia sopra un piano grandioso comodissimo e bello, che presentò alla Maestà del Re che recuperava le idee di Domenico Fontana, primo artefice della fabbrica, ed era coerente con la visione conservatrice del committente. Tra le sue opere, appunto, anche il ponte.
COME È FATTO - Il pavimento e le ferriere laterali sono assolutamente uguali alle strut­ture originali; il ponte è stato realizza­to completamente in ghisa e, quindi, è del tutto sicuro. La cerimonia dell’inaugurazione ha aperto il programma della Settimana della Cultura a Palaz­zo reale. Il tradizionale taglio del na­stro è stato accompagnato da un ape­ritivo servito da camerieri in abiti d’epoca. Si è badato, insomma, a ri­creare, anche nei particolari, la sugge­stione degli anni passati con l’obietti­vo di creare un nuovo interesse che incentivi le visite al Palazzo reale. Do­po l’aperitivo agli ospiti è stato offer­to un concerto di musica da camera che è stato molto apprezzato. Altre iniziative sono in allestimento: saba­to e domenica 25 e 26 saranno possi­bili visite guidate gratuite al ponte e al lussureggiante giardino pensile se­guendo un percorso originale che passa attraverso lo scalone dei fore­stieri e il vestibolo neoclassico.

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mercoledì 22 aprile 2009

Stop a Garibaldi, analoga proposta da Bergamo. Ma nessuno ne parla



Quando invece è il Sud a mettere i paletti alla figura di Garibaldi, si scatena un putiferio.

Tale comportamento mediatico a due pesi e due misure, spiega molto bene la paura che i governi di sempre hanno di un'eventuale "risorgimento" delle Due Sicilie.

Così capita che le
dichiarazioni di Miccichè e di Sindoni generino un chiasso enorme, mentre al nord passino quasi inosservate pur essendo regolarmente lanciate dalle Agenzie...

La proposta: stop a Garibaldi e Dante

Bergamo. «Basta intitolare vie a personaggi celebri del passato. Occorre salvare i toponimi locali che racchiudono la storia di un luogo». Lo ha detto Enzo Caffarelli, filologo di fama, intervenendo al seminario dal titolo. «Una città: nomi vecchi, nomi nuovi. Come intitolare strade, piazze, giardini», organizzato dalla Commissione Toponomastica del Comune.

Nella sala consiliare di Palazzo Frizzoni, dopo il saluto del sindaco Roberto Bruni, sono intervenuti oltre a Enzo Caffarelli, Umberto Zanetti, Maria Mencaroni Zoppetti, Paolo Oscar e Gianni Carullo. Coordinatore Giulio Orazio Bravi, direttore della biblioteca civica Angelo Mai e membro della Commissione Toponomastica del Comune.
La discussione si è incentrata sulla necessità di recuperare antiche denominazioni dei luoghi, alcuni dei quali fanno riferimento fors'anche a terminologie dialettali. Stop dunque a Garibaldi o Dante, via libera ai nomi che ricordano ad esempio un luogo dove esisteva un'area ghiaiosa o una fontana, o che illustrano anche la conformazine di una via, una strettoria, un vicolo.Un problema tutt'altro che secondario che si ripercuote inevitabilmente anche nelle carte del catasto, come in quelle stradali. Il recupero dei toponimi locali sembra una strada condivisa da tutti e in futuro, probabilmente, la commissione toponomastica riesumerà vecchie denominazioni che caratterizzeranno maggiormente gli angoli di Bergamo.

(Eco di Bergamo)

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martedì 21 aprile 2009

Riapre solennemente al pubblico la reggia siciliana della Ficuzza



Per lungo tempo abbandonata e persino trasformata in caserma dai Savoja, la Reggia di Ficuzza perse quasi tutti i suoi preziossimi affreschi.

Gli anziani del paese raccontano come ancora nei primi anni del '900 la gente del luogo, usasse organizzare balli e feste nelle bellissime sale, come se fosse un castello incantato.


SICILIA: RIAPRE PALAZZO REALE A FICUZZA DI FERDINANDO IV DI BORBONE

(ASCA) - Palermo, 21 apr - Anche la Sicilia ha la sua Reggia di Caserta, nella Riserva naturale orientata di Ficuzza, a 45 chilometri da Palermo. Da oggi, e per i prossimi weekend, il ''Reale Casino di caccia alla Ficuzza'' (cosi' come si legge sui documenti dell'epoca) dove Ferdinando IV di Borbone amava organizzare le battute di caccia - suo diletto preferito - potra' essere visitato. Il gioiello storico-architettonico, progettato da Giuseppe Venanzio Marvuglia, lo stesso architetto che ha lavorato alla realizzazione della Palazzina Cinese, e' stato riaperto dopo un accurato lavoro di restauro, voluto dal Dipartimento Azienda Foreste Demaniali dell'assessorato regionale all'Agricoltura, che ha acquisito il prestigioso immobile. Alla cerimonia di apertura, avvenuta stamattina, hanno partecipato, tra gli altri, l'assessore regionale all'Agricoltura e Foreste, Giovanni La Via, e quello ai Beni Culturali, Ambientali e alla Pubblica Istruzione, Antonello Antinoro, il presidente della Provincia Giovanni Avanti e il dirigente generale del Dipartimento regionale Azienda foreste Demaniali, Fulvio Bellomo.

''La Sicilia - spiega l'assessore La Via - parla offrendosi al mondo attraverso i propri luoghi straordinari, la propria cultura e folklore e il proprio patrimonio enogastronomico. E in un luogo dove gli spazi rurali e le aree forestali rappresentano la realta' di vasti territori, conferire all'agricoltura anche una funzione turistica e' certamente indispensabile''.

Nel corso della manifestazione, sono state presentate le attivita' realizzate, negli ultimi anni, dall'ente gestore che fanno della Riserva di Ficuzza un polo di eccellenza per la conservazione della biodiversita' vegetale e animale dell'Isola. Tra queste la Banca regionale del germoplasma vegetale, a Valle Maria, la nuova aula didattica intitolata alla memoria del perito agrario forestale Antonino Saccaro, presso il Centro regionale di recupero della fauna selvatica e l'innovativo Piano di gestione selvicolturale dell'area naturalistica, realizzato in collaborazione con la Facolta' di Agraria dell'Universita' di Palermo.

La Reggia ospiterà il museo storico del Palazzo reale tra cui anche, a disposizione del pubblico piu' curioso, la riproduzione di pubblicazioni, custodite nell'archivio storico di Stato.

[*]Sull'argomento ha appena scritto un ottimo articolo Amelia Cristantino, giornalista di Repubblica (Palermo), già autrice dell'articolo sui soldati borbonici siciliani imprigionati a Fenestrelle.

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lunedì 20 aprile 2009

Miccichè come Sindoni: via Garibaldi dalla Sicilia!


(Fonte AGI) - Agrigento, 19 apr.

“I sindaci dovrebbero cambiare i nomi alla vie, alle strade e alle piazze intitolate a Giuseppe Garibaldi.

Lo ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega al Cipe Gianfranco Micciche’ intervenendo a Burgio (Agrigento), all’istituto comprensivo Roncalli, per una lezione sul progetto didattico “Incontra la Costituzione”.

“La sua vita fu talmente controversa che che per scrivere la sua storia Camillo Benso Conte di Cavour chiamo’ quattro scrittori, tra cui Alexandre Dumas, per dargli un’immagine degna. La verita’ e’ che Garibaldi svendette il Regno delle Due Sicilie al neonato Stato Italiano, che si approprio’ di oltre 420 milioni di lire di allore del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli per coprire i due terzi del fabbisogno. Mi rivolgo ai sindaci affinche’ cancellino il nome di Garibaldi e lo sostituiscano con quello dell’illuminato Federico II che splendore diede all’Isola”.

Micciche’ ha anche aspramente criticato il progetto di federalismo che sembra prendere corpo in Parlamento: ‘Vogliano fare il federalismo per penalizzare ancora la Sicilia, che ha lo Statuto piu’ antico di tutta l’Europa, con norme che la deputazione siciliana, in occasione della nascita della Repubblica, volle che non si toccasse nemmeno una virgola”.

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Benedetto Pavone, un eroe borbonico siciliano



BENEDETTO PAVONE
UN EROE BORBONICO A SANTA TERESA DI RIVA


Nacque a Palermo il 20 dicembre 1825, nell’antico quartiere militare di S. Giacomo dove era alloggiata la sua famiglia, da Don Filippo all’epoca Primo Tenente del 2° Reggimento Granatieri della Guardia e da Donna Rosalia Restivo, appartenente ad altra famiglia d’ufficiali del Regno. Nel quartiere militare di S. Giacomo a Palermo vi è attualmente il Comando regionale dei Carabinieri ed è delimitato da Porta Nuova, Corso Vittorio Emanuele e il Palazzo Arcivescovile; al suo interno vi era la piccola chiesa di San Giacomo alla prima stazione dei militari, attualmente sconsacrata. In questa chiesa Benedetto fu battezzato, lo stesso giorno di nascita, dal cappellano militare Don Giuseppe Martorana ed oltre al nome Benedetto gli furono dati anche quelli di Luigi e Tommaso.
Il padre Don Filippo Pavone, nato a Gaeta il 5 ottobre 1787, da Don Benedetto e Donna Margherita Garofalo, quest'ultima era una famiglia nobiliare fedele alla dinastia borbonica, durante l’occupazione del Regno di Napoli da parte di Gioacchino Murat si era arruolato, il 19 novembre 1807 in Sicilia, nell’Esercito di Ferdinando IV di Borbone col privilegio di Volteggiatore di S.A.R.. Dopo il rientro dei Borbone al trono di Napoli Filippo Pavone venne scelto a far parte, dal 1° maggio 1819, della Compagnia delle Reali Guardie del Corpo, col privilegio di Guardia del corpo di 1ª classe di S.A.R., (in tutto il Regno vi erano soltanto 24 guardie del corpo di 1a classe scelte tra i Sottotenenti della Guardia appartenenti a famiglie nobiliari). Infine, il 1° Settembre 1834, Filippo fu promosso Capitano e destinato al 1° Battaglione Granatieri della Guardia.
All’epoca, una modalità di accesso alla carriera militare era costituita dall’arruolamento come soldato per poi progredire nei gradi di sottufficiale e ufficiale grazie ai requisiti di ceto e istruzione; Benedetto iniziò quindi la sua carriera militare come soldato volontario, il 14 agosto 1842, ed assegnato al 3° Battaglione Cacciatori della Guardia comandato dal Maggiore Francesco Finch.

Durante i moti del 1848 suo padre Filippo si distinse, prima a Palermo e poi a Napoli, nella difesa delle Istituzioni, meritando l’onorificenza di Cavaliere di Diritto del Reale Ordine Militare di San Giorgio della Riunione [vedi documento 1], ma morì il 4 settembre dello stesso anno a causa della malaria contratta durante la spedizione inviata nel Cilento per domare i sommovimenti locali. (Il Reale Ordine Militare di San Giorgio della Riunione era stato istituito da Ferdinando I di Borbone il 1° gennaio 1819 per celebrare la riunione dei due Regni di Napoli e di Sicilia in quello unico delle Due Sicilie; le relative onorificenze venivano conferite per premiare atti di valore nonché il merito civile o militare).

Il 28 agosto 1849 Benedetto fu promosso Alfiere (Aspirante Ufficiale) ed assegnato al 12° Reggimento di linea Messina dove il suo comandante, il Colonnello Giuseppe Testa, lo valutò positivamente dichiarando sul suo stato di servizio: “serve con molto zelo ed attaccamento, merita ascensi” (cioè merita avanzamenti di grado).
Il 4 febbraio 1850 Benedetto fu assegnato all’11° Battaglione Cacciatori, comandato dal Maggiore Gaetano Barbalonga, e promosso Secondo Tenente il 10 aprile 1853. (I Battaglioni Cacciatori del Regno delle Due Sicilie erano corpi scelti di fanteria leggera, assimilabili ai Bersaglieri piemontesi; sul finire del Regno furono strutturati su 8 compagnie ciascuna composta da 4 ufficiali e 160 militari di truppa).

Il 30 aprile 1853 Benedetto fu assegnato all’8° Battaglione Cacciatori, comandato dai Maggiori Francesco Cobianchi prima e Michele Sforza poi, presso il quale fu promosso Primo Tenente il 13 luglio 1859.(Quattro Compagnie dell’8° Battaglione, al comando del Maggiore Sforza, il 15 maggio 1860 fermarono i garibaldini a Calatafimi, ferendo Menotti Garibaldi e catturando la sua bandiera. Ma l’anziano Generale borbonico Francesco Landi, comandante delle truppe in Sicilia, per incapacità personale e perché travolto da oscuri accordi con la parte avversa, fece indietreggiare le truppe e dichiarò la resa trasformando la vittoria borbonica di Calatafimi in una sconfitta).


Il 10 ottobre 1859 Benedetto fu assegnato al 5° Battaglione Cacciatori, ed il 7 novembre 1859 al 14° Battaglione Cacciatori, di stanza a Napoli, al comando del Tenente Colonnello Raffaele Vecchione. (Il 18 agosto 1859 erano stati costituiti il 14° ed il 15° Battaglione Cacciatori ricorrendo ai migliori ufficiali dell’Esercito e presumibilmente l’assegnazione di Benedetto al 14° Battaglione Cacciatori, di stanza nella capitale, fu favorita dai legami familiari che stavano per essere concretizzati con la famiglia del colonnello Cafaro di Napoli).


Il 10 novembre 1859, nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Messina, Benedetto sposò Francesca Caminiti, di Gaetano e Marianna Cafaro, il cui nonno materno era il Colonnello Domenico Cafaro, Cavaliere di Grazia del Reale Ordine Militare di S. Giorgio della Riunione e Comandante del forte Castellammare di Palermo, ritirandosi infine dal servizio il 15.9.1859.
Nel 1860 Garibaldi invase il Regno ma Benedetto Pavone rimase fedele all’etica militare e familiare e al seguito del 14° Battaglione seguì Francesco II di Borbone che a settembre decise di lasciare Napoli per organizzare la difesa sulla linea del Volturno. Il 7 settembre il nuovo ordinamento dell’Esercito vedeva il 14° Battaglione Cacciatori inquadrato nella 1a Divisione, comandata del Generale Brigadiere Filippo Colonna, 2a Brigata, comandata dall’ormai Generale Brigadiere Gaetano Barbalonga ed era accampato presso la scafa (ponte di barche) di Gradillo.
Con decreto del 10.9.1860 Francesco II concesse l’avanzamento nel grado a tutti i militari che, mostrando fedeltà alle Istituzioni e senso del dovere militare, l’avevano seguito sulla linea difensiva del Volturno, e Benedetto Pavone fu promosso Capitano partecipando quindi alla campagna militare d’autunno ed ai seguenti fatti d’arme.

Il giorno 14 settembre il 14° Battaglione ebbe il battesimo del fuoco respingendo un attacco della brigata garibaldina comandata da Winckler che tentava di superare il Volturno alla scafa di Gradillo; il 16 successivo, insieme a due compagnie del 6° Cacciatori, respinge un secondo tentativo nemico di oltrepassare il fiume. Il 19 settembre la brigata garibaldina comandata da Achille Sacchi compì una manovra diversiva per impadronirsi di Caiazzo, superare il Volturno alla scafa di Triflisco e porsi alle spalle dell’esercito borbonico; il 14° Battaglione Cacciatori subì l’attaccato al posto avanzato del bosco Reale e lo respinge; infine il 30 settembre respinge un ultimo tentativo garibaldino di superare il Volturno.

Il 1° ottobre, alla battaglia campale del Volturno , il 14° Battaglione Cacciatori era inquadrato nella 2ª Brigata Barbalonga della 1ª Divisione del Maresciallo di Campo Gaetano Afan de Rivera che fronteggiava i garibaldini dalla scafa di Triflisco a quella di Limatola; l’ordine per la Divisione è di attaccare i garibaldini in Santangelo (in Formis) ed occuparlo. La battaglia iniziò alle ore 5 del mattino ed alle ore 12 circa entrò in azione il 14° Cacciatori contro i reparti della 17ª Divisione garibaldina comandata da Giacomo Medici ed a seguito di un durissimo combattimento Santangelo fu occupato alle ore 16 circa. A fine giornata, però, la battaglia ebbe termine con le truppe borboniche che furono fatte ritirare sulle posizioni difensive iniziali. La battaglia fu talmente cruenta che si ebbero tra le forze contendenti almeno 812 morti, 2449 feriti e 2489 tra dispersi e prigionieri.

Intervenuto l’esercito sabaudo a sostituire i garibaldini, il 15 ottobre, il 14° Cacciatori e due compagnie del 6° Cacciatori uscirono dalla fortezza di Capua per saggiare le forze avversarie ed ingaggiarono il primo duro combattimento contro i piemontesi distruggendo varie opere di difesa avversarie lungo la strada che porta a Santangelo. Successivamente, costretto ad abbandonare la linea difensiva del Volturno, l’esercito borbonico ripiegò, continuando a combattere, sulla linea del Garigliano. Il 14° Cacciatori fu posto a rincalzo della difesa del ponte di Minturno dove il 29 ottobre concorse a respingere duramente il tentativo del generale piemontese Carlo Bracorens di Savoiroux di superare in quel punto il Garigliano.

Il 31 ottobre Francesco II, ritiratosi nella fortezza di Gaeta, conferì a tutti i militari partecipanti alla Campagna d’Autunno, quindi anche a Benedetto Pavone, un’apposita decorazione come “argomento di gloria a quelli che portano lo stesso vostro nome”.

Il 1° novembre, per il possibile accerchiamento da parte dell’esercito sabaudo, fu sgomberata la linea difensiva del Garigliano e gran parte dei corpi d’armata borbonici si posizionarono sull’istmo di Montesecco che collega Gaeta alla terra ferma. Il 14° Cacciatori, ormai dimezzatosi, presidiò il colle Lombone, un’importante posizione a difesa dell’istmo, ed il 12 novembre compì la sua ultima azione allorquando, al comando del Capitano Sinibaldo Orlando, ricevette da Francesco II l’ordine di riconquistare il colle che aveva per errore abbandonato e lo fece sloggiando a viva forza i soldati piemontesi che lo avevano occupato. E per il valore mostrato in tale azione Benedetto Pavone fu insignito, il 13 novembre, dell’onorificenza di Cavaliere di 2ª classe del Reale Ordine di Francesco I . (Quest’Ordine era stato istituito da Francesco I di Borbone il 28.9.1829 per premiare il merito civile e, nell’ultimo decennio del Regno, anche il merito militare).


L’8 gennaio 1861 nacque a Napoli il primogenito di Benedetto Pavone, Filippo, mentre volgevano ormai al termine la resistenza delle ultime roccaforti borboniche di Gaeta (capitolata il 13 febbraio 1861), Messina (capitolata il 12 marzo) e Civitella del Tronto (capitolata il 17 marzo 1861). All’atto dell’unificazione nazionale Benedetto aveva due sorelle e tre fratelli; di questi ultimi Michelangelo era Funzionario al Ministero della Guerra a Napoli (dopo l’unificazione nazionale sarebbe stato dirigente allo stesso Ministero a Roma), Carlo era Sottufficiale nel 1° Granatieri della Guardia, di Antonio non si hanno notizie.

Costituitosi l’Esercito nazionale, Benedetto Pavone fu immesso il 17 novembre 1861 nell’Esercito Nazionale col grado di Capitano effettivo nel 38° Reggimento Fanteria [vedi foto 5]. Negli anni successivi ebbe vari comandi, prima nello Stato Maggiore della Divisione Militare di Messina poi a seguito del 3° Reggimento Fanteria ed ancora dopo nello Stato Maggiore delle Piazze, sino al collocamento a riposo per domanda decorrente dal 1° novembre 1871.


Ritiratosi a vita privata, il 1° luglio 1872 fu destinato alla Milizia Mobile ed infine promosso Maggiore nella Riserva il 17 dicembre 1893.
Andato a vivere con la moglie Francesca in una sua proprietà di S. Teresa di Riva, in provincia di Messina, insieme alla famiglia di Giuseppe, l’ottavo dei suoi dieci figli, morì l’11 agosto 1907. Francesca lo seguì il 23 giugno 1912 e le loro spoglie, assieme a quelle di altri familiari, sono conservate nella tomba di famiglia del cimitero di S. Teresa di Riva.
Dei suoi sei figli rimasti in vita, Filippo si impiegò al Genio Civile, Giuseppe fu commerciante in essenze mentre Gaetano, Ernesto, Cesare ed Emanuele si impiegarono nella Amministrazione ferroviaria.

Il suo attuale diretto discendente maschio, l’ingegner Giuseppe Pavone (nato a Napoli il 3.11.1949 e residente a Roma) è Dirigente ed autore di testi storici, Cavaliere al Merito della Repubblica; il 25 settembre 1998 è stato insignito, dall’Infante di Spagna Carlo di Borbone, dell’onorificenza nobiliare di Cavaliere Jure Sanguinis del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ] che si considera il più antico Ordine cavalleresco, risalente all’imperatore Costantino, e pervenuto nel 1727 alla famiglia Borbone, si distingue nei rami di Borbone-Parma, Borbone-Napoli e Borbone-Spagna.


FONTE: http://www.fotosantateresadiriva.com/


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venerdì 17 aprile 2009

Al Piccolo Teatro di Catania va in scena "Ferdinando" di Annibale Ruccello


24, 25, 26 aprile al Piccolo Teatro di Catania via in scena Ferdinando di Annibale Ruccello.

“E non parrari ‘ntalianu, u capisti?! Ntà sta casa l’italianu n’o vogghiu sèntiri..”, dice Donna Clotilde de’ Lucanigro, uno dei personaggi del Ferdinando di Annibale Ruccello, nella sua invettiva contro la lingua da lei definita straniera e barbara. E la lingua è proprio l’oggetto della sperimentazione di questo allestimento. Scritto in napoletano nel 1985 e portato sulle scene per oltre vent’anni da Isa Danieli, vede ora l’esordio al teatro Sangiorgi di Catania in lingua siciliana, più precisamente nel catanese ottocentesco.

Una sperimentazione intrigante, una diversa ambientazione voluta dal regista e attore campano Giancarlo Guercio che, negli anni, ha lavorato molto sui testi della nuova drammaturgia napoletana e in modo specifico su quelli di Annibale Ruccello. Una traduzione fedele, approntata insieme al giovane scrittore Alfredo Polizzano, che non ha riguardato soltanto la trasposizione linguistica ma tutto il contesto scenico: l’originale è ambientato nell’hinterland napoletano, l’allestimento odierno in quello etneo. Due vulcani, il Vesuvio da un lato e l’Etna dall’altro, due passioni viscerali simili per tanti aspetti, un’unica epoca, vissuta allo stesso modo e con le medesime vicende; i segni di una storia ormai trascorsa, quella borbonica, e i tratti di un mondo nuovo, quello liberale, nordico, l’Italia repubblicana.

In questo plot scenico si consumano le vite di quattro personaggi, legati tra loro da interessi patrimoniali e destini avversi, in cui la gioia è scomparsa ormai da tempo o forse non è mai venuta. E se per qualche ragione il bene assume una qualche forma, lo fa per illudere, divenendo una parvenza assolutamente inconsistente: constatazione ancora più amara legata all’inganno e alla beffa. Ciò che poteva rappresentare un riscatto si rivela invece il segno della immutabilità degli eventi. E si ritorna così all’inizio, come in un percorso circolare, o in un rito, grazie al quale tutto torna nella condizione originaria, ma rinnovati. Per ricominciare, o per finire.

Le vicende narrate non fanno che s-velare il sacro e il valore antropologico che esso assume, nell’ottica di un attento conoscitore del comparto popolare come Ruccello.

Queste le chiavi di lettura che hanno determinato l’allestimento catanese, che ha trovato già molteplici sostegni: il Comune di Catania, che ha patrocinato l’iniziativa, il Teatroclub Nando Greco e il Gruppo d’Arte Sicilia Teatro, realtà che in questi mesi si sono adoperate per la riuscita dello spettacolo.

Le scelte artistiche sono state motivate dal desiderio di proporre ad un pubblico più ampio una drammaturgia nuova, diversa da quella tradizionale napoletana, in cui si nascondono elementi legati alla tradizione ma numerosi sono gli aspetti innovativi. E in questa logica sono stati individuati gli attori, provenienti da vari gruppi: a Silvana Lena il compito delicato di interpretare il ruolo della baronessa Donna Clotilde; Grazia Di Stefano incarna l’assurda e terribile Gesualda; Davide Giuffrida è l’interprete dell’enigmatico Don Carmelo, mentre il giovane Davide Sapienza si immedesimerà nelle molteplici identità di Ferdinando.

“Le intenzioni che avevo in merito alla sperimentazione proposta si stanno rivelando tutte esatte, dice il regista Giancarlo Guercio. È un grande testo, assurdo, geniale, quanto terribilmente vero e questa messinscena è davvero il frutto di un percorso di studio, di conoscenza, di sperimentazione. Sono contento di aver avuto l’occasione di lavorare con dei professionisti seri e dei collaboratori davvero validi; sono soddisfatto perché emerge in ogni battuta tutta la carica emozionale, tutto l’intrigante pathos di cui il testo è impregnato. Mi fa piacere che sia Catania ad ospitare questa prima messinscena; l’auspicio è di promuovere all’esterno, nei teatri nazionali un lavoro bellissimo, all’altezza di uno spettacolo ben fatto e curato nei minimi dettagli”.

FONTE: http://www.mondoqueerblog.com/2009/04/17/ritorna-al-piccolo-teatro-di-catania-ferdinando-di-annibale-ruccello-con-una-nuova-messa-in-scena/

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martedì 14 aprile 2009

Brig. Conte Cesare Anguissola, eroe borbonico siciliano


CONTE CESARE ANGUISSOLA(1)

Di San Giorgio e San Damiano — Cavaliere di prima classe di Francesco I° - Cavaliere di prima classe di S. Ludovico di Parma - Cavaliere di S. Silvestro dello stato Pontificio - Decorato della medaglia istituita dal sommo Pontefice Pio IX per le truppe collegate al riacquisto dello stato nel 1849 - Insignito della Medaglia dell'assedio della. Cittadella di Messina - Generale di Brigata del disciollo Esercito delle Due Sicilie.
Comandante superiore del forte SS. Salvatore, e della seconda Brigata di Fanteria.

Nasceva in Palermo li 5 Ottobre 1813 da S. E. il vice Ammiraglio conte Ferdinando da nobilissima famiglia Piacentina, e dalla Contessa Luigia de' Langèle, per trovarsi il genitore di lui in quell'Isola avendo seguito Re Ferdinando I. Nel di 8 Settembre 1820 volendo questo Sovrano rimeritare i lunghi ed onorali servizi del genitore, veniva Cesare nominato Paggio della Real Paggeria ove rimaneva fino all' abbolizione di esso stabilimento.
Per volere del Re Francesco I° il 26 Gennaio 1826 dell'età di 14 anni venne nominato 2° Tenente nel 1° Granatieri della Guardia Reale, in dove apprendeva la carriera delle armi sotto il comando del chiarissimo calonnello Barone d' Orgemont. Nel 1 Settembre 1837 promosso 1° Tenente era destinato al 4° battaglione Cacciatori di linea ed al 1° Dicembre detto a Delegato del corpo, carica ch' esercitava fino alla nomina a Capitano nel 1 Marzo 1846.
Destinato al 1° battaglione dell'arma, nel 1848 faceva parte della spedizione in Palermo sotto gli ordini del Generale de Sauget , e benchè quella spedizione non avesse avuto felici
risultamenti pure I' Anguissola si distingueva al comando d'una scorta di viveri e munizioni che dai quattro venti si trasportava al Real Palazzo, sostenendo l'azione coi rivoltosi. Nel 13 Luglio 1848 passava al Reggimento Cacciatori della Guardia e destinato al comando dalla 1° compagnia partiva per la spedizione di Roma distinguendosi nell' azione di Montecompito avvenuta la notte dell' 8 Maggio percui ne veniva decorato ed ancora distinguevasi nell' attacco innanzi Velletri.
Nel 1848 facendo parte della spedizione nelle Calabrie sotto il comando del Generale Lanza si distinse nell' azione del vallo della Rotonda, ove fece molli prigionieri.
Nel 2 Gennaio 1856 promosso a Maggiore veniva destinato al 10° di linea in Palermo. Nel 18 Settembre 1857 passava al 7° di linea ed al 27 Giugno 1859 a' corpi della Guardia Reale.
Al 1 Novembre 1859 promosso Tenente Colonnello destinato al 6° di Linea, da colà passava al comando del 7° di linea. Al 1 Maggio 1860 nominato Colonnello rimaneva al comando del corpo medesimo.
Nel 25 Giugno 1860 partiva con le 8 compagnie del centro del Reggimento per Messina, ove giunto veniva destinato agli avamposti di Collereale, e da colà con dolore da non comprendere umana mente apprese la diserzione dell'ultimo di lui fratello Amilcare comandante il Veloce, e fu in tale occasione ch'egli per lavare l'onta dal germano messa al proprio nome scrisse al Maresciallo de Clary che volea da soldato partire con la colonna del Bosco.
Conchiusa capitolazione tra il Generale de Clary e de Medici, col 7° di linea ripiegava in Cittadella. In Settembre 1860 l'Anguissola a capo di una deputazione veniva spedilo in Gaeta ad umiliare le occorrenze della cittadella a S. M. il Re.
Nel di 8 Ottobre venne promosso a Brigadiere rimanendo al comando del Reggimento, ed indi destinato al comando della 2° Brigata in cittadella.
Il come Anguissola si condusse in cittadella , e come avesse dato pruova di se è inutile parlarne, operoso zelante , pieno di coraggio , fedelissimo al Re ed onorato soldato, sono le qualità che lo distinsero , e gli fecero meritare il plauso de' suoi superiori, e la stima de' subordinati. Comandante superiore del forte Salvatore, non lasciò niente a desiderare, sia pel miglioramento delle opere di fortificazione che per l'offensiva.
Resasi la piazza li 13 Marzo 1861 e reduce l'Anguissola come prigioniero di guerra, dimandò il suo ritiro e vive vita privata nel seno di sua famiglia.

1) Nove mesi in Messina e la sua Cittadella - Napoli - 1862

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venerdì 10 aprile 2009

Col. Francesco Cobianchi, un eroe borbonico siciliano


FRANCESCO COBIANCHI(1)

Cavaliere di dritto del Real Ordine Militare di S. Giorgio della riunione - Cavaliere di prima classe del Real Ordine di Francesco I - Cavaliere deli' ordine Pontificio di S. Gregario Magno - Insignito della Medaglia di bronzo con l'epigrafe Fedeltà - Insignito della Medaglia di Bronzo per la campagna dello stato Pontificio dell'anno 1849— Insignito della Medaglia di bronzo di quarta classe della campagna di Sicilia del 1848 e 4849 e di quella dell'Assedio della Cittadella di Messina - Generale di Brigata del Reale Esercito delle Due Sicilie ( disciolto)Comandante la prima Brigata di Fanteria nella Cittadella di Messina.

Dal signor Giovanni e dalla signora Raffaela Forcate nascea Francesco Cobianchi il 1° agosto 1814 in Palermo. Fatto adulto si dava interamente allo studio delle matematiche, e belle lettere , ma l'istinto sin dai primi suoi anni lo spingeva pel nobile mestiere delle armi.

Non ancora quattordicenne, otteneva il grado di 1° Tenente nell' armata Reale, per averne beneficiato l'impiego, e veniva destinato ad Aiutante di campo del sig. Generale Dusmet comandante i corpi della Guardia Reale, fino al 1° Novembre 1840 che fu promosso a Capitano nel 3° Reggimento di linea Principe; in qual corpo messo in seguito al comando d' una compagnia cacciatori, ebbe occasione di distinguersi per coraggio e valore ne' fatti d'armi avvenuti in Calabria nel 1848, particolarmente il 27 Giugno di questo anno al ponte dell'Angitola, ove ricuperò un obice ( cannone ) ch' era stalo abbandonato dagl' inservienti. Poscia ne' giorni 6 e 7 Settembre del detto anno alla presa di Messina si distinse soprammodo.

Li 24 Novembre 1848 fu nominato Aiutante Maggiore nel 3° battaglione dell' 11° di linea, poscia 8° battaglione Cacciatori, e con questo corpo fece la campagna dello Stato Pontificio. In Velletri si distinse molto nel sostenere e garentire la ritirata del corpo d' Esercito che rientrava al Regno.
Il 21 Giugno 1851 fu nominato Maggiore e rimase al 8° Cacciatori fino a che non ne divenne comandante titolare.
Li 28 Dicembre 1855 fu promosso Tenente Colonnello ritenendo il comando dell'8° Cacciatori , e li 16 Giugno 1859 fu nominato Colonnello al comando del 5° Reggimento di linea.
Scoppiata la rivoluzione in Sicilia nel 1860 , egli da Colonnello ebbe il comando della Brigata del 5° e 7° di linea.
In Messina fu il comandante dell' intera linea di avamposti, che circondava il paese , e quando questa città si dovette abbandonare egli rientrò in Cittadella ove rimase al comando della Brigata di Fanteria.
Li 20 Agosto, giorno del disbarco di Garibaldi in Reggio , chiestisi rinforzi alla Cittadella , fu egli destinato a comandare i mille uomini che doveano sbarcare a Reggio.
In Settembre 1860 fu nominato Brigadiere rimanendo in Cittadella ove la sua condotta fu esempio di fedeltà ed attaccamento al Re fino all'uttimo istante.
Fedeltà, attaccamento, attitudine nel servizio, ed intrepidezza ne' momenti difficili, che gli fecero meritare sempre la stima de'suoi superiori, l' amore e la fiducia de' suoi subordinati.
Resasi la piazza si ritirò in Napoli, e da questa in Sorrento , ove ottenuto il ritiro , se ne vive vita tranquilla.
(1) Nove mesi in Messina e la sua Cittadella - Napoli - 1862

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giovedì 9 aprile 2009

Storia di S.Teresa, una cittadina borbonica

Storia di S.Teresa

Questa cittadina ,la piu' popolata della provincia di Messina compresa tra il capoluogo e Taormina,in origine era una frazione del Comune di Savoca,ed era intesa come "Marina di Savoca".La storia dell’autonomia da Savoca è stata abbastanza lunga e travagliata,ecco un breve resoconto.Tutto ebbe inizio con le innovazioni politico-sociali apportate dalla legge del 1812 che aboliva il regime feudale,sia ancora per le mutate condizioni generali volte a un continuo miglioramento. Savoca,perdeva sempre più di influenza sulle Borgate rivierasche, Furci,Bucalo, Portosalvo e Barracca,che indistintamente rappresentavano la Marina di Savoca. Intaccata nel suo prestigio,reagiva infliggendo iniqui inasprimenti fiscali,e nel 1819 gli amministratori di Savoca,imposero una tassa sulla proprietà che colpiva in modo spropositato gli abitanti della marina.Nel 1820 tali imposizioni spinsero gli abitanti della Marina a insorgere contro la sua esosità.I marinoti,con a capo don Angelo Caminiti, radunatisi nel baglio di Sparagonà,la domenica del 23 luglio, percorrendo il torrente Savoca e arrivati al vallone Abramo, assalirono Savoca dove saccheggiarono la sede municipale,bruciarono registri,carte,documenti, ecc. L'episodio ebbe come effetto una più equa ridistribuzione dei pesi fiscali e segnò al contempo la misura della decadenza dell'egomonia savocese, facendo prendere coscienza ai villaggi della marina,di potersi amministrare da sè ed essere autosufficienti.Nel frattempo,la costruzione della strada rotabile compiuta nel 1828,che attraversava tutta la marina,lasciò fuori dal suo tracciato Savoca, apportando così i benefici ,che una così importante opera pubblica comportava, soltanto ai sottostanti villaggi.

Così,sull'esempio di Casalvecchio e Pagliara,che già da tempo si erano liberati del giogo savocese,le borgate della marina,approfittarono della disgrazia in cui era caduta Savoca a seguito delle fallite insurrezioni anti- borboniche del 1847 e del 1848,si adoperarono per chiedere con insistenza al governo borbonico di togliere alla dispotica cittadina ogni giurisdizione che deteneva sui villaggi ad essa sottomessi.

DECRETO DEL 1853
Decreto prescrivente che i quartieri di Fulci,Portosalvo-Baracca e Bucalo,segregandosi dal comune di Savoca,abbiano un'amministrazione propria e separata,assumendo il titolo di Santa Teresa.


Gaeta.1 luglio 1853


FERDINANDO II°.PER LA GRAZIA DI DIO RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE,DI GERUSALEMME EC. DUCA DI PARMA,PIACENZA,CASTRO,EC.EC. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA EC.EC.EC.


Veduto l'avviso della Consulta;


Veduto il rapporto del Tenente generale Duca di Taormina Comandante in capo il primo Corpo di esercito,funzionante da nostro Luogotenente generale in Sicilia;
Sulla proposizione del Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia presso la nostra real Persona;


Abbiamo risoluto di decretare,e decretiamo quanto segue.


Art.1- A contare dal primo di gennaio 1854 i quartieri di Fulci,Portosalvo-Baracca e Bucalo,fin qui denominate borgate di Savoca,provincia di Messina,saranno separati dall'amministrazione del comune di Savoca,e formeranno un comune con amministrazione propria e separata,la cui sede sarà nel quartiere di Fulci,assumendo il titolo di comune di Santa Teresa.


Art.2- Per effetto di questa nostra sovrana risoluzione il Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia presso la nostra real persona,ed il Tenente generale di esercito, funzionante da nostro Luogotenente generale di Sicilia,daranno le disposizioni convenienti perchè si eseguano frà detti comuni di Santa Teresa e di Savoca le corrispondenti assegnazioni di territorio,la demarcazione delle rispettive confinazioni,la ripartizione dè beni e dè pesi patrimoniali in ragione del rispettivo numero degli abitanti,i progetti di stati discussi ,la formazione delle liste degli elegibili,e la nomina ed istallazione del decurionato municipale.


Art.3- Il nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia,ed il Tenente generale Duca di Taormina Comandante in capo il primo Corpo di esercito,funzionante da nostro Luogotenente generale in Sicilia,sono incaricati della esecuzione del presente decreto.


Firmato,FERDINANDO



(Il nome di S.Teresa lo scelsero gli abitanti per onorare la regina, moglie di Ferdinando II, Maria Teresa d'Austria)

FONTE: http://www.fotosantateresadiriva.com/


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Nuova grafica, nuova piattaforma più efficiente e funzionale per il nostro sito


E' stata finalmente ultimata la migrazione del nostro portale web dalla vecchia piattaforma statica e macchinosa a
quella attuale dinamica e facilmente gestibile.
Da adesso tutti i 186 articoli scritti dal 10 settembre 2007 ad oggi, sono disponibili alla lettura.

Nel frattempo è stato dato un nuovo look al sito ed è cambiata la disposizione di alcuni strumenti, mentre per altri è cambiata leggermente la loro funzione.

Nel ringraziare tutti quelli che hanno collaborato con i loro messaggi ed i loro commenti alla crescita di questo sito, approfittiamo per comunicare che da oggi l'accesso al nuovo portale avverrà dal link:

www.comitatosiciliano.blogspot.it

Il Comitato Storico Siciliano è costantemente al lavoro nell'attività di riscoperta e anticipa quelle che saranno le attività del prossimo mese:
- Incontro con i Beni culturali e sopralluogo per la valutazione del vincolo architettonico da apporre al telegrafo ottico borbonico di Riposto, una scoperta dei Comitati.
- Convegno a Riposto sulla storia borbonica locale e sul Regno delle Due Sicilie.Presentazione del telegrafo ottico e della lapide borbonica della Torre d'Archirafi.
Per idee, suggerimenti, critiche è sempre attivo il vecchio indirizzo: comitatosiciliano@associazioniduesicilie.it
Il Comitato

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180 anni fa Francesco di Borbone dichiarava Pozzallo (RG) comune autonomo


Il passaggio da borgata a comune autonomo non più dipendente da Modica avvenne in data 12 giugno 1829
Pozzallo e i pozzallesi vivranno i festeggiamenti per il 180mo compleanno della città il prossimo 12 giugno. Il passaggio da borgata a comune autonomo, difatti, non più dipendente dalla città della Contea, ovvero Modica, avvenne in data 12 giugno 1829, con decreto di Francesco I di Borbone, Re delle Due Sicilie.

Diversi sono gli appuntamenti che contraddistingueranno questo traguardo. Mostre, rappresentazioni teatrali, retrospettive fotografiche, convegni con studiosi di storia contemporanea, stanno riempiendo il cartellone delle celebrazioni che dovrebbe partire nel periodo post-pasquale e concludersi con la fine dell’anno. Apice delle festività, l’estate pozzallese che, quest’anno, avrà un richiamo nel sottotitolo che si rifà al 180. compleanno della città marittima. Giornata «clou» dei festeggiamenti sarà il 12 giugno, con la celebrazione presieduta in Chiesa Madre dai cinque parroci delle quattro parrocchie cittadine (a giorni arriverà, forse, la conferma della presenza del vescovo di Noto, Mons. Mariano Crociata, impegnato il prossimo 31 maggio, a Pozzallo, per la quinta «Giornata Diocesana dei Giovani», organizzata dalla Diocesi di Noto).
Grande importanza avrà la presenza dei numerosi pozzallesi emigrati a New York, i quali hanno già dato al sindaco della città di Pozzallo, Peppe Sulsenti, la propria disponibilità a partecipare ai festeggiamenti per il compleanno di Pozzallo.Il borgo di Pozzallo nacque prima del 1829, in quanto, già verso la fine del XIV secolo, con la costruzione da parte dei Chiaramonte di un Caricatore, vi sorgeva anzitempo un complesso di magazzini proprio sulla costa, di pontili e scivoli per l’imbarco di merce sui velieri. Con lo sviluppo, poi, dell’attività marittima e commerciale, il piccolo borgo si trasformò, negli anni in divenire, nella città che tutti, oggi, conosciamo e che un’intera comunità si appresta a festeggiare nel corso di quest’anno.

FONTE: http://corrierediragusa.it/public/articoli/4552-pozzallo-compie-180-anni-.asp

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martedì 7 aprile 2009

Europee. Accordo del MPA con la Lega, mentre al Nord resuscita il coordinamento lombardo.



In queste ore tutte le agenzie battono il "grande accordo" effettuato tra Lombardo e Storace in vista delle Europee, proprio come aveva imposto Silvio Berlusconi, epperò il presidente del consiglio non sembrava così contento tant'è che durante il Congesso del PDL, ha fatto di tutto per evitare di salutare Raffaele Lombardo(1) mentre sul palco lo ha fatto chiamare "presidente della regione Sicilia" (2) e non "siciliana" come è giusto che sia.

Ma se Raffaele ha fatto ciò che Silvio voleva, come mai questi nervi scoperti? La risposta sta nella matematica, infatti sommando(3) le percentuali di voti de La Destra a quelli del Movimento per l'Autonomia non si arriva al fatidico 4%, che rappresenta lo sbarramento nazionale, oltrepassando il quale si prenota uno dei seggi al Parlamento Europeo.
Insieme infatti i due partiti superano appena il 3%, anche se con personale stupore, il partito del MPA in pochi mesi è passato da uno stagnante 0,9% ad 1,5% nazionale.

Storace, ma sopratutto Lombardo non sono così stupidi da presentarsi alle europee e fare alleanze inutili pur sapendo di non vincere le europee, ed ecco che salta fuori l'accordo segreto con la Lega (che ha fatto così tanto arrabbiare Silvio) nel quale sarebbe compreso lo stesso Storace.D'altronde è stato Berlusconi a chiedere al'ex di AN di fare l'accordo con l'MPA e lui lo fò, mica è colpa sua se dentro ci si infila la Lega.

Ma ad essere sinceri, a parte alcune divergenze in ambito territoriale, non ci sono così tante differenze tra il partito di Bossi e quelle di Storace, lo stesso Borghezio fu pescato in un intervista segreta(4) su una tv francese, nell'ammettere di essere il solito vecchio fascistone e che, per sopravvivere ai tempi, si era camuffato dietro la "Quistione settentrionale"

Tornando al MPA (che ha deciso di resuscitare la sezione lombarda aperta in pompa magna a Milano, dopo settimane di inattività, giocandosi pure la partecipazione alle elezioni provinciali) rimane il dubbio se gli elettori meridionali accetteranno ancora una volta un'alleanza elettorale con la Lega e che questa nuova acrobazia politica non si riveli un boomerang che faccia schiantare la colomba dell'autonomia.

A chi legge una domanda può sorgere spontanea: se proprio doveva fare incazzare Berlusconi, perchè mai Lombardo non ha fatto l'accordo con l'UDC? Perchè il Presidente del Consiglio non ha mai abbandonato la fissazione di distruggere fisicamente il partito di Casini. Lombardo si sarà guardato bene dall'osare un alleanza con l'UDC.

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domenica 5 aprile 2009

Storia di un siciliano che si oppose all'Unità


La storia di Pietro Oliveri, Duchino d'Acquaviva(1)
Legato non da interesse, ma da principio di dovere alla Dinastia che i destini regolava del mio Paese, la seguii nell'esilio, e ne divisi finora, palpiti e speranze.
Ed ecco perché lasciai per poco di far l'autore, ed impresi a pubblicare come e-ditore l'opera che vi presento. La riconobbi utile al mio scopo, la stimai degna della pubblica meditazione, la credetti appoggio valevole a dimostrare l'infamia, il tradimento e la calunnia che si consumarono in danno del Re Francesco II per sbalzarlo dal Trono. Vado superbo d'avermi serbato illeso in mezzo a tanta turpitudine, e nello stesso tempo d'avere con disinteressato coraggio civile, osteggiato i pochi faziosi che ridussero la Patria mia in deplorevole condizione con le parole di civiltà, progresso e libertà.

Son Siciliano puro sangue; amo per quanto giuste le libertà del mio paese; mi stà a cuore il sociale progresso ; non sono mazzinesco, convenzionista , tanto meno apostata.

Caso volle, che incontrassi un antico domestico di casa mia , licenziato da fresco. Al vederlo colle gote rubiconde e senza fiato per gl'urli terribili che avea fatti, sorrisi e lo interrogai:
Sai tu perchè strepiti gli dissi?
(Ed egli a me) Oh! mio signore , il mio di stasera è un mestiere come tutti gli altri. M' han dato tarì sei, per ciò fare, e lo fo.
Adunque non sei persuaso di quello che dici?
Che sappiamo noi grulli e povera gente come voi signoroni? Dicono che verrà Re Vittorio Emmanuele con casse d'oro, che darà a tutti l'impiego e la libertà, che d'ora innanzi potremo fare tutto quello che vorremo, senza tenerci dietro, birri, e commissari di polizia, con tante belle storie che non ricordo tutte.... Ma saran poi vere?

Il Siciliano abbenchè caldo e precoce di mente, è sempre incerto e sospettoso per indole; io afferrai quel lampo per rimbeccarlo:

E se questo, Si, che vai sfìnguellando, dovesse più tardi costarti di vedere Palermo, provincia di lontana capitale, dimmi un poco abborriresti profferirlo? Perché ti sei ribellato a Francesco II? Per non giacere alla discrezione e sotto il tirocinio di Napoli a 180 miglia? E vuoi darti a Torino a 800 miglia?

Oggi i piemontesi ti carezzano per averti in pugno; domani, t'imporranno dazii, ti strapperanno il figlio di casa, per farne un soldato e non in Sicilia , ma assai lontano, ti...

A questo punto, siccome la conversazione era vivissima, e la mia voce agitata, parecchi visacci di brutti ceffi si racimolavano intorno a me; la brigata che era meco si accorse che brontolavano parole misteriose, e volendo ovviare brighe mi pregò seguitarla.

Lasciai a mezzo interrotta la locuzione cominciata, ma un po'lontano rivoltandomi, mi accorsi che il vecchio domestico era sparito dal luogo attonito e pensieroso.

Ciò a provare l'indole docile ed arrendevole dei Siciliani a buoni consigli; nonchè la peste, le bugìe e le improntitudini, usate dalla Camerilla Lafarinesca, a traviare l'onesta coscienza del popolo.

La dimani passò nelle stesso trambusto, e marasmo , finchè giunse il 21 destinato a votare pubblicamente nelle Chiese.

Queste eran gremite di agenti lafarineschi travestiti, co' visi arcigni e l'aria misteriosa. In fondo al trivio e nella nave di centro assisi intorno a tavola a semicerchio, stavano i cosìdetti rappresentanti del Municipio e dello Stato, tutte persone vendute e vilissima canaglia. Costoro teneano entro un vaso un numero sterminato di Sì in stampa , ed appena un pizzico di No chiusi entro una scatoletta. La calca curiosa e compatta irrompeva a storma ov' era un dispensare di Sì che ratto piombavano nella grand' urna sul davanzale del tavolo. Se alcuno esitava , qualche ceffo gli si accostava pregandolo seguire la corrente, per la sua meglio. Da che può dedursi che i 400 mila voti furono così divisi:

1000 votarono per progetto, 1000 per denari, ed il resto per ghiribizzo, paura, pressione, minacci, e far tempo.
Compita la cerimonia , non mancavano gli esortamenti e le speranzose proteste, a' quali credenzoni porgevano orecchio ripromettendosi giorni felici. Povero popolo cosi perfidamente raggirato!.. E questa è civiltà, progresso?

Ma dietro tutto vi era l'Inghilterra che "voleva mantenere nella Sicilia lo stato precario per poi averla a se"
.Scrive Gioberti nel suo Rinnovamento: l'Inghilterra nutriva gli spiriti municipali dei Siciliani per ridurseli in grembo.

Al Congresso di Parigi Francia ed Inghilterra s'intesero, e presso a poco convennero alla seguente teoria:

È da tanto tempo che ci combattiamo a conquistare l'Italia del mezzogiorno ed essa per le nostre rivalità non è ne dell' uno nè dell'altra. Facciamo la pace, poniamoci d'accordo. Napoli a me, la Sicilia a voi, ed il Piemonte giocherà la partita per entrambi, facendoci il mezzano. Ecco lo scopo di tutta quella falange di pretesti unitarii.

E cosa disse Vittorio Emanuele non appena arrivò in Sicilia: il primo suo motto fu chiamare: bestie selvaggie , popolo abbrutito nella ignoranza, ed al di sotto dell'umana dignità que' buoni Siciliani che ebbero l'ignavia e la petulanza di portarlo sulle spalle.

Si è mai visto compiere tanta empietà? La pietà, il rispetto alla religione degli avi, i ministri del santuario, sono fieramente stigmatizzati dai giudici d'Italia, ed i nomi di cattolico, cristiano, significano brigante, ribaldo, retrogrado, e peggio.

Nei pubblici fogli s'insulta la Croce , i simboli, il Redentore, la Divinità, la Chiesa, s'irride al suo Capo visibile , e se ne fa oggetto ridibile , con stampe oscene e scellerate; sì plaude al suicidio, si insultano i sacerdoti , ed i tribunali , la giustizia dormono ; si scrive e si dice in Parlamento, che il Dio di Pio IX non è quello d'Italia e di Vittorio Emmanuele .

Basta per caso accennarsi borbonico, perchè reo od innocente andasse in prigione, e poi in galera se occorre. Non aver fede all' unità d' Italia è tale un crimine , che guai a chi ci capita; esso non sfugge alle più severe contumelie, e, scandalo inaudito, se ne fa pompa nei processi, nei dibattimenti, nelle accuse, e si aggrava la condizione del prevenuto.

A Bivona si scanna una madre , perchè corre dietro al figlio arrestato e piange; a Licata si toglie l'acqua ai comuni, e si riducono, intere popolazioni arse della sete, in tempo estivo sotto la cocente sferza del sole Africano per far giustizia dei renitenti; a Terranova, a Petralia ed in tutta Sicilia pel figlio si arresta il padre, la vecchia madre, la vergine sorella, e si viola , con osceni modi, si commetteno bruciamenti di uomini vivi, stupramenti , assassini, e si dispone della roba e della carne altrui per far giustizia; altrove si cacciano fuori le porte i ciitadini, come successe al famoso assedio di Danzica, e si costringono alla fame agli stenti , finchè parte periscono sul lastrico parte agonizzanti implorano pietà e compassione. Dopo tutto questo, rullo di tamburo.... paesani avanti e benedite la giustizia del libero regno d'Italia.

Prima che le vicende del 1848 sorvenissero , Siciliani e Napolitani pagavano , dazi sparutissimi, come chè il pubblico erario godeva d'una dovizia invidiabile. La Sicilia singolarmente era l'unico regno in Europa che non avesse debito pubblico.Ma, avvenuta la restaurazione,furono emesse cartelle di credito per un milione di ducati, per riparare alle spese di guerra , e con decreto del Re Ferdinando II, fu istituito il gran libro del consolidato.

Non pertanto, anche prima del 1860 , il Siciliano pagava 12 franchi all'anno, il Napolitano 14, il Romano e Parmense 18, il Toscano 17, il Modenese 15, mentre il Piemontese ne erogava da 19 a 20, per la ragionata. Oggidì tra tasse nuove e vecchie si paga più de' Francesi, imperochè colà la media individuale, ammonta a franchi 31, e tra noi a 32 e 1/2 circa.

A Ricasoli Governatore di Toscana diedesi 40000 franchi onde tacesse la spedizione della brigata regolare piemontese che si fece dal campo di Pontedera in Sicilia con divisa garibaldina.

Alla società Rubattino si pagarono 4 milioni di franchi per il piroscafo Cagliari che le era stato restituito e per i due vapori Lombardo e Piemonte, mentre ad Alessandro Dumas, lo scrittore salariato 900.000.

Nelle prigioni "italiane" di Palermo succedevano cose che nemmeno la maligna immaginazione di Gladstone poteva arrivare: l'appalto pei prigionieri si enumera per individuo a 24 centesimi l'uno. Ora tra custodi del carcere e fornitori, àvvi un segreto contratto, pel quale 40 50 e fino a 100 razioni al giorno debbono darsi di meno, e queste mentre figurano nel bilancio degli esiti restano assorbite dalla rapina dei carcerieri.

Per giustificare, con apparente forma legale, la vilissima speculazione,ogni giorno si puniscono un n° di 50 60 o 100 prigionieri a quali viene inflitto pane ed acqua; perciò ogni gesto, ogni atto il più innocente, in mano di quei barbari, si traduce a delitto: e sovente si castiga un intero camerone ove gemono da 40 a 50 individui, pel solo sospetto di essere complici al mancamento del compagno.

Vi sono poi altri castighi più gravi. In ogni piano del raggio che ne comprende tre, vi è una stanzuccia umida , colle pareti roaspe, ed ove passa il canale della latrina, che esala un fetore pestilenziale. Ivi si getta a marcire una povera vittima per dieci o quindici giorni, e non gli si concede mai un po' d'aria,

La cameretta è buia perfetta, né vi penetra spiraglio dì luce. Figurisi il lettore, quale orrore e disperazione, quale lenta tortura, pruova lo sventurato che vi mal capita!

[Altro che Fenestrelle!]

Io ridico: ho veduti prigionieri ignudi, altri carichi di schifosi insetti, altri divorati dalla fame, dagli affanni, dai patimenti, andare rangolando per oscure pareti, ad implorare il soccorso di un medico , ma inutilmente.Sono stati colpiti a colpi di chiave di rimando e con verghe percossi.
Trentacinque mila di quest'infelici gemono in Napoli e Sicilia, ed il Sig. Gladstone finge ora non vederli. Il cosidetto crudele regime dei Borboni finì, ed il governo rigeneratore lo ha rimpiazzato con la tirannia.

A Francesco II non solo serbo un culto che la sventura mi detta , ma un rispetto profondo per vederlo vittima di inauditi tradimenti e ribalderie di tanti che gli si dicono amici.
(1) Rivelazioni segrete sulla vita di La Farina ed i suoi seguaci - Losanna - 1865

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