venerdì 17 settembre 2010

167° anniversario della colonizzazione di Lampedusa e Linosa



Appuntamento a Lampedusa per la rievocazione dello sbarco dei soldati borbonici, ad opera dell'associazione culturale "Reggimento Real Marina" di Caltanissetta.

1843. Il 22 settembre il capitano di fregata cavaliere Bernardo Maria Sanvisente prende possesso delle isole di Lampedusa e di Linosa con la carica di "governatore di S.M. Ferdinando Il di Borbone, re del regno delle Due Sicilie, gran principe ereditario di Toscana, duca di Parma, Piacenza,Castro” ecc. ecc. (1810-1859). Come primo atto conferma agli enfiteuti, Gatt di Malta Fernandez, le sentenze di revoca già notificate nel 1839. Sanvisente si era imbarcato a Palermo il 18 settembre a bordo del Piroscafo Rondine con le istruzioni del re di costituire Lampedusa e in «colonia della real Casa di Borbone e di “costituirvi la novella ne con lo incivilimento del nuovo paese da edificarsi (cfr. Sanvisente, 1849). Giunto a Girgenti (Agrigento) il 19 settembre, prosegue per Lampedusa il 21 settembre insieme con il vapore L'Antilope recando con sé autorità ecclesiastiche e amministrative, gente di varie arti e mestieri con autorità di guardie urbane e sanitarie, un distaccamento militare al comando di un ufficiale. Le navi arrivano a Lampedusa alle ore 13 dei giorno seguente e colte da 24 maltesi, capeggiati da un certo Fortunato Frenda «che sposato una figlia di Salvatore Gatt. Pochi giorni dopo i maltesi, a eccezione di qualcuno, lasciano l'isola tornare a Malta e Fortunato Frenda si trasferisce con la famiglia sulla costa tunisina, il 6 marzo 1844. Inizia cosi la felice colonizzazione borbonica delle due isole.

1843/47. Con i piroscafi del governatore Sanvisente erano arrivate a Lampedusa 120 persone di cui 90 uomini e 30 donne, in maggior parte agricoltori e gli altri artigiani. Per questa popolazione iniziale sono subito costruiti sette edifici (i “Sette Palazzi”) con dieci appartamenti ciascuno, allineati di W: porto, cinque altri edifici isolati su una seconda linea parallela alla prima, e dieci altri sparsi qua e là, per un totale di 30 termine dei cinque anni salirono a 90. Altre opere pubbliche di prima necessità vennero approntate: l'olio, pastifici, magazzini viveri e granaglie, uffici sanitari, militari e doganali (“ricevitore di dogana” don Leopoldo Bracci, “persona di molto garbo”), il cimitero, l'ampliamento della chiesa esistente. L'incremento della popolazione di coloni durante i cinque anni successivi (1843-1847) è stato da 120 a 2.150.

Il 23 giugno 1847 Lampedusa riceve per la prima volta la visita delle reali maestà Ferdinando II e sua moglie, accompagnati dal real principe don Francesco di Paola.

Il Sanvisente descrive con aulica enfasi la visita che, a quanto sembra, fu improvvisa e inattesa: “Gli amati nostri Signori fecero sperimentare a tutti la loro munificenza e le loro largizioni furono ripartite alla nascente colonia. Mostraronsi a tutti con quella gaiezza ed affabilità che tanto distinguono i nostri Sovrani e il Re con la sua approvazione ci permise che a preferenza si fosse vantaggiata la classe delle nubili onde incoraggiare e favorire i matrimoni” Dice Carlo Secondat barone di Montesquieu, nello Spirito delle Leggi (Milano, 1819): “Ella è una regola cavata dalla natura che quanto più si scemano i matrimoni che far si potrebbero tanto più si corrompono quelli che sono fatti; quanto minor numero si ha di coniugati tanto minor fedeltà regna nei matrimoni"

“Fondato su tali principi pur troppo savi, mi è stato uopo aumentare per quanto possibile i mezzi di travaglio e sussistenza degli individui ad ogni sorte di arti e mestieri onde non fare che s'imbruttiscano nel vizio e nella incrudelita rozzezza, le quali cose, al dir di Senofonte, corrompono i corpi dì coloro che l'esercitano, obbligano a sedersi all'ombra o presso al fuoco, e non hanno tempo né per gli amici né per la società.”

“Molte cose vide la Maestà Sua in compagnia dell'inclito ed impareggiabile Principe di Satriano e tutto ciò che potette osservare lo fece minutamente. Abbenche in momento di sorpresa e di inaspettata visita senza essere per nulla preparato, fu immenso il gaudio nostro nel ricevere la sua piena approvazione e le gentili espressioni prodigate dalla rara bontà della sullodata Reale Altezza. E noi ci auguriamo ora delle novelle disposizioni per lo sollecito progredimento delle cose che restano a farsi”

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mercoledì 8 settembre 2010

Il feudalesimo in Sicilia nel periodo borbonico


Il feudalesimo in Sicilia

Nel panorama politico siciliano, i Borbone furono gli unici ad impegnarsi realmente nel combattere i residui di feudalità che ancora funestavano il popolo. Lo strapotere di principi e baroni era tale che il processo si svolse troppo lentamente, ma ciò bastò ai regnanti per essere malvisti e combattuti dalla casta baronale isolana.

Da Carlo di Borbone a Ferdinando IV, fu un susseguirsi di leggi atte a limitare il potere feudale e persino di togliere loro le terre, come la la Prammatica XXIV del 1792, ma sempre con scarsi risultati.

Tra i vari decreti contro la feudalità (la cui abolizione era stata confermata nel 1816, con la fondazione del Regno delle Due Sicilie) si ricordano, appunto, quelli del 11 dicembre 1816 e 19 dicembre 1838.
Ecco il decreto del 1838:

Decreto relativo al compimento dell'abolizione della feudalità, ed allo scioglimento de' dIritti promiscui in Sicilia.

Palermo, 19 Dicembre 1838.

FERDlNANDO II. Per Grazia Di Dio RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DI GERUSALEMME OC. DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO CC. CC. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA ECC. ECC. ECC.

Vedali i reclami che durante il nostro giro per le provincia della Sicilia ci sonò stati presentati dalle popolazioni, le quali hanno implorato la esecuzione delle leggi abolitive della feudalità , la pronta decisione delle annose cause pendenti fra' comuni e gli antichi loro feudatarii, lo scioglimento delle promiscuità , e la ripartizione delle terre per poterle chiudere e migliorare;

Considerando che l'agricoltura non può prosperare senza la proprietà assoluta di ogni fondo che dia il diritto di vietarne altrui l'ingresso.; che le terre non acquistino valore dove non esistano molti agiati coltivatori che l'amore della proprietà affezioni al suolo ; che le vaste contrade, nude, deserte, o mal coltivate che s'incontrano in Sicilia, nonostante la loro feracità naturale, ed il favore del clima , non potranno esser migliorale finché durerà la esistenza di più padroni sullo stesso fondo ;

Volendo accelerare la esecuzione delle leggi che da epoche remole hanno proscritta la indicata condizione delle proprietà, perniciosa egualmente alla pubblica prosperita , al ben essere delle popolazioni , ed agli stessi grandi proprietarii ;

Veduti i rapporti del nostro Luogotenente generale e degl'Intendenti, i voti de'Consigli provinciali, ed i pareri della Commissione nominata a quest' oggetto da Noi a' 17 del prossimo passato novembre, e riunita a Palermo;

Veduto l'articolo 9 della legge degli 11 di dicembre 1816, col quale fu conservata l' abolizione della feudalità in Sicilia, ugualmente che negli altri nostri domini continentali ;

Vedute le disposizioni della legge fondamentale dell'amministrazione civile del 12 dello stesso mese ed anno;

Abbiamo risoluto di decretare , e decretiamo quanto segue.

Art. 1. Gli Intendenti delle provincie della Sicilia verificheranno rigorosamenie , comune per comune , se vi esistano, e si esercitino ancora da qualsivoglia ex-feudatario, o corpo morale, o avente causa da essi , alcuno de' dritti feudali aboliti, e ne faranno distinto rapportò al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, il quale prenderà i nostri ordini proponendoci le misure da adottare.

2. Non credendo espediente che un tribunale di eccezione decida delle liti fra' comuni ed i loro antichi feudatarii, successori, o aventi causa, continueranno queste ad esser giudicate da' tribunali ordinarii ; ma i nostri procuratori generali e procuratori regii assumeranno da ora innanzi la difesa de' comuni , come parte principale, senza escludere però l'assistenza di qualunque interessato. Essi provocheranno quindi di uffìzio la spedizione de'giudizii; e per l'organo del nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia informeranno il nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, mese per mese, dello stato delle cause che difendono, del loro valore, e del successo.

3. Gli Intendenti delle stesse provincie procederanno allo scioglimento delle promiscuità ed alla divisione de' demanii comunali colle facoltà accordate loro nell'articolo 177 della legge del 12 di dicembre 1816, ed a norma del real decreto del primo di settembre 1819. Ne'casi di dubbio gl'Intendenti chiederanno l'avviso del nostro procurator generale presso la gran Corte de' conti di Palermo , il quale è incaricato di dar loro tutte le occorrenti dilucidazioni , e di corrispondere per questo ramo di affari col nostro Ministro Segretario di Stalo degli affari interni, cui sarà tenuto dar conto di ogni dubbio proposto e risoluto.

4. Lo stesso procurator generale sulle basi delle istruzioni approvate col decreto de' 10 di marzo 1810 formerà il progetto di quelle che dovranno servir di norma agli Intendenti per lo scioglimento delle promiscuità, per la divisione delle terre demaniali appartenenti ad ex-feudatarii, o a corpi morali di qualsivoglia titolo o denominazione, sulle quali i cittadini hanno esercitato gli usi civici, e per la suddivisione in quote fra i più poveri della parte che in compenso di tali usi ne sarà spettata a' comuni. Il progetto del procurator generale sarà proposto dal Ministro Segretario di Stato degli affari interni alla nostra sovrana approvazione fra il termine improrogabile di mesi due, inteso il Luogotenente generale.

5. Tutte le promiscuità non ancora sciolte, è quelle il di cui scioglimento non si trovi definitivamente approvato, lo saranno colle norme indicate ne' due articoli precedenti nel più breve tempo possibile, sotto la immediata responsabilità degl'Intendenti, i quali nella fine di ogni mese daranno conto al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni del progresso e de' risultamenti di tutte le indicate operazioni.

Quanto alle promiscuità, il di cui scioglimento trovasi già pronunziato ed approvalo, e per le quali sia stato accordato a' comuni un canone annuale in vece di terreni, vogliamo che ogn' Intendente esamini in Consiglio d'Intendenza colla massima diligenza e posatezza se sieno stati lesi i dritti imprescrittibili delle popolazioni che erano in possesso dell'esercizio degli usi per lo sostegno e pe' comodi della vita, se sia stato tradito lo spirito della legge che avea in mira di formar nuovi proprietarii, di favorire l'agricoltura, e dare un effettivo compenso degli usi civici in una quota delle stesse terre da distribuirsi a' più poveri. Del risultamento di ogni esame sarà diretto al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni ed al nostro Luogotenente generale un pieno e distinto rapporto, che ci sarà da essi rassegnato per le opportune risoluzioni. Questi rapporti verranno sottoscritti dall' Intendente e da tutti i consiglieri d'Intendenza.

6. Tutte le disposizioni contrarie a quelle del presente decreto sono abrogate.

7. I nostri Ministri Segretarii di Stato di grazia e giustizia e degli affari interni, ed il nostro Luogotetenente generale in Sicilia sono incaricati della esecuzione del presente decreto, ciascuno per la parte che lo riguarda.

Firmato, FERDINANDO.

Consigliere Ministro di Stato

Presidente interino del Cons. de' Ministri

Firmato, Marchese Ruffo.



Nella Legge Costituzionale del 1812 emanata dal Parlamento Siciliano fu scritto esplicitamente che la feudalità era abolita, ma leggendo bene gli articoli, si capisce che i feudi erano stati in realtà semplicemente trasformati in proprietà private, a disposizione dei baroni:

Ecco un estratto:

"XI. Che non vi saranno più feudi, e tutte le terre si possederanno in Sicilia come in allodii(1), conservando però nelle rispettive famiglie l’ordine di successione, che attualmente si gode. Cesseranno ancora le giurisdizioni baronali; e quindi i baroni saranno esenti da tutti i pesi, a cui finora sono stati soggetti per tali diritti feudali. Si aboliranno le investiture, relevi, devoluzioni al fisco, ed ogni altro peso inerente ai feudi, conservando però ogni famiglia i titoli e le onorificenze.

6 Cessando la natura e forma de’ feudi, tutte le proprietà, diritti e pertinenze per lo innanzi feudali, rimaner debbono, giusta le rispettive concessioni, in proprietà allodiale presso ciascun possessore. Placet."

Infatti, a differenza di Murat che nel 1806 aveva abolito la feudalità motu proprio, in Sicilia la legge abolitiva fu emanata dal parlamento Siciliano e dunque dai baroni.

I danni creati da una legge scritta da "controllori che erano gli stessi controllati" non tardarono ad evidenziarsi: i contadini che fino ad allora avevano usufruito degli usi civici delle terre feudali adesso non potevano più farlo, mentre i baroni forti di tale acquisizione si sentivano sempre più potenti.

Quella Costituzione che fu fatta passare per "opera di modernizzazione", altro non era che un furto alle popolazioni contadine, che in quegli anni raggiunsero il livello più basso e vergognoso della povertà.

Ecco infatti cosa si scrisse a proposito della legge del 1812:

"coloro che l'avevano sancita furono i primi a frustrarne l'applicazione" ed ancora...."Nulla di strano che dalle ulteriori dicharazioni del Parlamento spuntassero fuori restrizioni, che attenuavano i danni che la predetta abolizione avrebbe portato agli ex baroni" (Società siciliana di storia patria, 1933)

Ma d'altronde, cosa dovevano ammodernizzare questi baroni visto che "per due secoli neanche un singolo ponte fu costruito o riparato in questo paese di monti, valli e correnti torrentizi, e il denaro raccolto svaniva in conti incomprensibili o addirittura inesistenti" (Storia della Sicilia medievale e moderna, 1983) tant'è che nel 1820 non esisteva ancora una strada che collegasse Trapani con Palermo (Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione umana , 2002)

Tra i compiti della Deputazione del Regno di Sicilia vi era infatti la gestione e l’amministrazione delle strade, dei ponti, e del sistema delle Torri costiere della Sicilia.

Come potè compiere Re Ferdinando, il grave errore di firmare quella legge, ben sapendo che avrebbe provocato quei danni?Probabilmente la convinzione di aver perso per sempre la parte continentale del Regno, a vantaggio dei francesi, lo stato di subalternità nei confronti dei principi siciliani e delle truppe inglesi, che ben presto trasformarono la sua permenenza a Palermo in una prigione dorata.

A perorare questa tesi fu l'affronto dell'esiliazione, voluta dagli inglesi, della regina Maria Carolina.

(Spesso si legge che i Borbone istituendo il Regno delle Due Sicilie con una fusione di quello Napolitano e quello Siciliano, avevano tradito i Siciliani e dunque che il loro trono fosse decaduto, ma alla luce di questi fatti e della Costituzione del Regno delle Due Sicilie nel 1816 - avvenuta peraltro con un accordo ufficiale tra le Potenze al Congresso di Vienna, che lo riconobbero - si capisce come mai il Parlamento Siciliano fu abolito ed abrogata la Legge Costituzionale del 1812.)



La vicenda della "feudalità" tuttavia non si concluse mai, dopo il 1838 seguirono nuovi decreti e decreti interpretativi, perchè il potere delle baronìe era troppo forte ma tanto bastò a portare in Sicilia i moti del '48 (con l'appoggio di Francia ed Inghilterra) e creare un regno indipendente svincolato dai Borbone.

Stesso registro del 1860, ma con attori diversi vedi Garibaldi ed i Savoja.

Ma l'annosa questione del baronaggio ha radici lontane, essa infatti ha inizio quando Federico III d'Aragona, concesse alle baronie siciliane diritti su diritti per convincerle a sostenere la sua guerra contro gli Angioini, per la riconquista di Napoli.

Nelle Leggi costituzionali Fredericiane "Si Aliquem et Volontes", fu istituita per i baroni la "commerciabilità dei feudi"(2) che consentiva loro di venderli, acquistarli o cederli, insomma una forma di proto-privatizzazione: "Questa disposizione, a causa anche della cattiva interpretazione che ne venne data, creò una vera e propria anarchia baronale favorendo l'illegalità" (Terre, casali e feudi nel comprensorio barcellonese, 2009) .

Infatti il vero fine delle ricche concessioni elargite era l'ottenimento dell'appoggio militare ed economico dei baroni per l'aggressiva politica estera di Federico, il quale era ansioso di recuperare il maltolto (Napoli) in mano agli Angiò, forte delle rivolte anti-angioine che si erano verificate nelle province del Sud continentale come Reggio Calabria ed in Puglia e che portarono, in una determinata fase, le armate Aragonesi a prendersi la Calabria, la Basilicata e a dare persino battaglia agli angioini nelle acque del golfo di Napoli.

(1)Allodio=bene posseduto in piena proprietà

(2)Ad apportarne le prime limitazioni fu proprio Ferdinando di Borbone con la Prammatica del 1788.


Davide Cristaldi

Comitato Storico Siciliano

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200° DELLA CACCIATA DELLE TRUPPE FRANCESI DA PARTE DEGLI ABITANTI DI MILI(ME)




Un anno di iniziative per commemorare degnamente il 200° della cacciata delle Truppe Francesi da parte degli abitanti di Mili e dei Casali limitrofi.
Duecento anni fa, il 18 Settembre 1810, gli abitanti di Mili e dei vicini Casali bloccarono energicamente un tentativo di sbarco delle truppe francesi di Gioacchino Murat sulla spiaggia di Mili.

Un episodio importantissimo della nostra storia, unico nel sui genere in Europa, dove il popolo in modo compatto respinse l'invasione delle truppe di Napoleone Bonaparte per difendere la propria Patria, il proprio Re e la propria Fede. L'Associazione Amici del Museo di Messina, in sinergia con l’Istituto Italiano dei Castelli e l’Ordine Costantiniano di San Giorgio, ha in programma varie iniziative, che si svolgeranno per tutto l'anno, per ricordare degnamente questa significativa pagina di eroismo ed amor patrio per troppo tempo dimenticato e ignorato.

PROGRAMMA:

- Venerdì 17 Settembre 2010, Messina, Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca - Conferenza Stampa di Presentazione delle Iniziative;
- Sabato 18 Settembre 2010
- Domenica 3 Ottobre 2010


Associazione Amici del Museo di Messina

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giovedì 2 settembre 2010

I consiglieri di sinistra bloccano Maria Sofia a Sciacca



Borbone, nuova polemica
Pino Marinelli si dimette per protesta dalla Commissione toponomastica

L'amministrazione comunale «dimentica» di adottare una delibera e lui si dimette dalla Commissione toponomastica. Pino Marinelli, 60enne saccense di origini pugliesi, ha riacceso con le sue dimissioni la polemica riguardante l'intitolazione di una pizzetta cittadina a Maria Sofia Wittelback, principessa del regno di Baviera e sposata nel 1859 con il Borbone ultimo re del regno delle Due Sicilie. Dopo la deliberazione della giunta municipale, la piazzetta adiacente al viale Salvador Allende non è mai stata intitolata alla regina dei Borbone, con grave disappunto di Marinelli, che oltre ad essere componente della commissione toponomastica, è anche segretario regionale del comitato delle Due Sicilie [oggi Comitato Storico Siciliano, aderente alla rete delle Associazioni delle Due Sicilie ndr]

All'epoca, nel giugno scorso, scoppiò una feroce polemica, con ambienti della sinistra locale che si opponevano all'intitolazione della piazzetta ad un personaggio borbonico. La delibera venne praticamente sospesa, ma non annullata, ed i proponenti (c'era stata anche una raccolta di firme pro Maria Sofia) hanno atteso fiduciosi: «Io mi dimetto per affermare l'inutilità della Commissione toponomastica - dice Marinelli - non avendo la stessa la libertà di idee storiche e sociali, costretta a sottoporre le proprie decisioni al benestare di ambienti politici di sinistra che sostengono il sindaco. La Giunta - continua - ha votato all'unanimità una delibera di intitolazione di un pezzo di marciapiede, sconfessandola di fatto, prendendola e chiudendola in un cassetto per non dispiacere a certi politici».
Marinelli aveva contestato tale scelta ed aveva scritto al presidente della Repubblica in persona: «So che la vicenda è finita nelle mani del prefetto - dice - e con essa la mia richiesta di adottare la delibera n° 88 del 14 aprile 2010 esitata all'unanimità dalla giunta comunale di Sciacca, con cui chiedevo di sapere se vi fossero delle illegalità. Il Presidente della Repubblica si è rivolto al prefetto per avere notizie della famigerata delibera - aggiunge - ma l'atto non sarebbe mai arrivato ad Agrigento».
Marinelli è pronto a dare nuovamente battaglia, si chiede per quale motiva si osteggia la memoria di una figura storica dell'Italia, quando in città ci sono vie intitolate a tanti altri popoli che da invasori hanno stazionato in Sicilia: «Mi pare che ci siano addirittura intitolate a persone che sono state giudicate tiranni - conclude - vedremo come andrà a finire».
Mesi fa, in città erano nato un movimento che contestava l'iniziativa di Marinelli.

Giuseppe Recca, 29/08/2010

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