martedì 30 novembre 2010

Tommaso Romano. Dal Regno delle Due Sicilie al Declino del Sud



Riceviamo e pubblichiamo volentieri la segnalazione inviataci dall'autore siciliano
Buonasera, vorrei segnalare il mio ultimo libro pubblicato da Thule "Dal Regno delle Due Sicilie al Declino del Sud". Per maggiori informazioni www.tommasoromano.it, mentre per eventuali acquisti il libro è offerto dal sito www.tecnofferte.it. Ringrazio anticipatamente.

Cordialità

Tommaso Romano


Una nuova imperdibile pubblicazione di Tommaso Romano: "Dal Regno delle Due Sicilie al declino del Sud"

Pubblicato da Thule di Palermo (via Ammiraglio Gravina 95) il nuovo volume di Tommaso Romano "Dal Regno delle Due Sicilie al declino del Sud" (pp 104), un' analisi impietosa della crisi del meridione nata dalla conquista del sud di garibaldini e piemontesi, un ritratto dei principali protagonisti e delle loro contraddizioni, un indagine socio-economica e spirituale sulle reali condizioni del Regno delle Due Sicilie con la dinastia dei Borbone, continuatrice della più antica monarchia del sud. Il volume in sei agili capitoli è arricchito da citazioni illuminanti sulle condizioni pre post-unitarie del meridione, ed ha inoltre una selezione di canti e testi letterari del legittimismo fino a d'Annunzio e Pirandello. Conclude il saggio un ampia bibliografia con orientamenti bibliografici sui temi trattati e una ricca selezione di fotografie e documenti alcuni assolutamente inediti. Il libro non è solo un esame storico documentario, ma offre anche una prospettiva politico-economico sociale per il riscatto della Sicilia e del meridione. Ha scritto il noto filosofo Antonio Livi, Professore Emerito di Filosofia della Conoscenza alla Pontificia dell'Università Lateranense: "mi congratulo vivamente con il prof. Tommaso Romano per questo ben documentato lavoro che getta una nuova luce (di verità) sulla storia d'Italia e sulla lotta (militar-politica, oltre che culturale) al cattolicesimo".

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giovedì 25 novembre 2010

Dopo Giarre, spunta a Lentini un'altra Aquila Borbonica.


La storia

"In epoca Borbonica intorno il 1819(1) un ignoto artista lentinese in onore degli imminenti Festeggiamenti dei Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino Avvocati Fratelli e Patroni della Città, realizzò un vessillo con dipinto l'Aquila Reale con scudo squadrato"

L'arazzo borbonico di Giarre(CT)


(1)La data probabilmente è antecedente in quanto l'Aquila Borbonica rappresentò la Sicilia solo fino al 1816.

Ringraziamo Federico Franco per la segnalazione

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mercoledì 17 novembre 2010

(Marco Zambuto, sindaco di Agrigento) Il divario Nord-Sud nasce dopo l'Unità d'Italia




di MARCO ZAMBUTO

Come accade quando qualcuno, come il Presidente della Regione, pone un tema essenziale, trionfano retorica e denigrazione. Che è il modo per continuare a non sapere e lasciare che le cose scorrano come sempre. Interrogarsi sul valore da attribuire all'Unità d'Italia e alle sue conseguenze rimane un passaggio imprescindibile. Ecco perché, invece di sbandierare vuoti proclami o di indossare la maschera della sudditanza, occorrerebbe stare ai fatti, nella consapevolezza che non può esistere coscienza nazionale senza verità storica

Una storia di parte sarà sempre al servizio di una parte del paese. E l'UDC, come partito della Nazione, sa che la storia non è materia da lasciare agli storici e serve ad unire, non a dividere. Secondo un'autorevole tesi il divario tra Nord e Sud si sarebbe determinato a distanza di cinquant'anni dall'Unità d'Italia, a causa dell'industrializzazione del Nord-ovest.
Non si è però spiegato perché quell'industrializzazione sia stata limitata solo a determinate aree geografiche. Si trattò di un caso o di una precisa scelta strategica? E, per esempio, Mongiana (Calabria), una delle migliori industrie siderurgiche d'Europa, con 1.200 operai all'attivo, chiusa all'indomani dell'Unità, non rientrava forse in quella politica industriale che prevedeva, fin dall'unificazione, che un'area del paese dovesse produrre i beni ed un'altra li dovesse consumare? E tale industrializzazione non ha avuto bisogno di un sistema infrastrutturale (viario, ferroviario, portuale, energetico, ecc…) che si è infatti realizzato al Nord e non al Sud? E non continua ad averne bisogno ancora oggi? Senza dire che, dal punto di vista industriale, non è vero che, al 1861, esisteva un divario tra Nord e Sud. «La percentuale di popolazione attiva addetta all'industria era superiore al Sud che al Nord», ha scritto Amedeo Lepore.

Nel 1856, alla Mostra di Parigi, il Regno delle Due Sicilie veniva premiato come paese più industrializzato d'Italia. E, come hanno dimostrato Daniele e Malanima, i dati sui saggi salariali a Nord e a Sud, sia urbani che rurali, non rivelavano, al 1861, sostanziali differenze.
Tutto questo per dire che, sul piano industriale e infrastrutturale, sono state le scelte di politica economica post-unitarie a gettare le basi di quel divario che, inevitabilmente, ci portiamo appresso.
Il fascismo ha fatto solo il resto: da un lato, creando coi soldi pubblici l'IRI per salvare dalla crisi le grandi industrie del Nord e, dall'altro, obbligando, per esempio, i siciliani, che praticavano da tempo l'agricoltura specializzata, a tornare a produrre grano. Né l'Italia Repubblicana ha invertito la tendenza: si confronti quanto è stato speso al Nord e al Sud negli ultimi sessant'anni in scuole, strade, ferrovie, aeroporti, rete energetica, ecc…

La tanto vituperata Cassa per il Mezzogiorno spendeva ogni anno solo lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo.
Ma c'è un altro aspetto che non viene ricordato abbastanza e che è alla base di quello spaventoso fenomeno che ha svuotato di decine di milioni di persone le terre del Sud e che non si era mai conosciuto fino al 1861. Al Sud l'Unità d'Italia venne realizzata a vantaggio di una ristrettissima cerchia di proprietari terrieri. Lo Stato sabaudo confiscò le terre ecclesiastiche e demaniali e, infischiandosene della massa di contadini che reclamavano un pezzo di terra, le vendette per fare cassa a chi poteva comprarle. Con la conseguenza che una classe di ex gabelloti divenne più ricca e, nonostante le promesse di Garibaldi, venne impedito che nascesse una diffusa classe di piccoli proprietari terrieri. La conclusione drammatica fu la fine degli usi civici: ossia, di quell'istituto che per secoli, all'interno delle terre ecclesiastiche e demaniali, aveva consentito ai contadini di vivere. In conclusione, a volerli conoscere, i fatti dicono che la questione è reale e sentita. E che, i fatti, serve ricostruirli, metterli insieme ed evidenziare come gli uni non si spieghino senza gli altri. Serve soprattutto a capire che per troppo tempo i siciliani sono stati privati di quel complesso di infrastrutture necessario per sottrarsi all'infido giogo dell'assistenzialismo e per esprimere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio, quelle energie che, in breve tempo, lo porrebbero al pari di qualunque popolo d'Europa.

FONTE: http://www.gds.it/gds/sezioni/commenti/dettaglio/articolo/gdsid/134085/

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giovedì 4 novembre 2010

Generale Matteo Negri, un eroe borbonico siciliano



(Palermo, 21 giugno 1818 – Garigliano, 29 ottobre 1860)
Fonte: L'Alfiere

Il 29 ottobre del 1860, centocinquanta anni or sono, cadeva da eroe, sul ponte del Garigliano, difendendo l’arretramento difensivo dell’armata reale, il generale di Brigata Matteo Negri.

Nato a Palermo il 21 giugno 1818, primo di sei figli, dall’allora capitano Michele Negri, dei baroni di Paternò, e di Maria Antonia Termini dei duchi di Vaticani, entrò nel Real Collegio Militare della Nunziatella a soli 14 anni, il primo di ottobre del 1832. Ne uscì Alfiere dell’arma di Artiglieria il 1° marzo 1839.

Dotato di grande intelligenza, si dedicò allo studio della sua specialità e pubblicò testi di alto valore scientifico sulle nuove bocche da fuoco e sui fucili a canna rigata. Bruciò le tappe di una carriera più unica che rara. L’otto agosto del 1860 è promosso tenente colonnello ed il 7 settembre raggiunge Capua per obbedire al Sovrano.
Il nuovo comandante dell’Esercito Napolitano, generale Giosuè Ritucci, lo volle con sé, nominandolo sottocapo di Stato Maggiore. Il 19 settembre i garibaldini attaccarono su tutta la linea la piazza di Capua e Matteo Negri, comandando le artiglierie, diede prova di grande valore. Il 1° ottobre ancora onore e gloria per Matteo Negri. Il capitano Ludovico Quandel così lo definì: “Bravissimo sia per le cognizioni che possiede quanto per la fermezza e coraggio di cui è dotato, sarebbe stato utilissimo all’Esercito se i suoi consigli dati con militare franchezza fossero stati uditi. Egli però aveva trovati oppositori molti e tentennamenti oltremodo nocivi. Aveva ricevuto il comando superiore delle Batterie ed era perciò stato quasi allontanato dai consigli di guerra, sbaglio gravissimo e non solo”.

Il 18 ottobre l’esercito piemontese, forte di oltre quarantamila uomini, in violazione ai vigenti trattati di pace, attraversò la frontiera del regno, dagli Abruzzi, per soccorrere l’Esercito Meridionale di Garibaldi. L’avvenimento pose l’Esercito Napolitano nell’impossibilità di restare, in una stretta difensiva, al di là del Volturno presso la piazza di Capua. Fu perciò necessario farlo ritirare dietro un’altra linea difensiva più adatta alle nuove condizioni di forza.

Matteo Negri intanto è stato promosso colonnello e subito dopo Generale di Brigata. Dal 20 al 28 ottobre organizza l’arretramento difensivo di circa 19.000 uomini combattenti delle tre armi dell’esercito dal Volturno al Garigliano per stabilire la nuova linea di resistenza delle forze Napolitane.

Negli ultimi giorni di ottobre, il generale Cialdini, con una azione a sorpresa, cercò di passare il Garigliano con due reggimenti di lancieri, un reggimento di dragoni, 4 battaglioni di bersaglieri, appoggiati da 8 pezzi di artiglieria. In tutto poco più di 3.000 uomini. Il ponte in ferro sul Garigliano era difeso dal 3° e 4° Cacciatori e da un Battaglione del 3° di Linea, con il 14° Cacciatori di rincalzo, appoggiati da 24 cannoni da campo ed 8 pezzi da montagna. Sulla riva sinistra era in posizione avanzata il 2° Cacciatori con un paio di squadroni di Lancieri ed uno del 1° Ussari. Il Generale Matteo Negri aveva il comando dell’Artiglieria ed il generale Colonna il comando superiore. In questo scenario, il generale Matteo Negri viene mortalmente ferito in più parti del corpo. Noncurante delle gravi ferite continua a dare ordini, garantendo il passaggio dell’armata. Infatti, l’attacco frontale piemontese fu respinto e l’Armata Napolitana potè ripiegare, ordinatamente, verso Gaeta. Poco prima di spirare, mentre il cannone tuona vicino a lui, è attorniato dai primi soccorritori: il capitano Ludovico Quandel, il conte di Caserta Alfonso di Borbone, il capitano Raffaele D’Agostino. Tutto è ormai inutile. Il generale Negri rende l’anima a Dio confortato dai commilitoni.

Il Re Francesco II, appresa la ferale notizia stabilì: "Le sue rare virtù lo rendono degno di essere ricordato alla posterità; però dopo che avrà ricevuto in questa Piazza gli onori funebri, che troppo gli sono dovuti, saranno le spoglie racchiuse in un sepolcrale monumento che sarà eretto in questo Duomo".

Qui la lista in fase di completamento di tutti i siciliani che si distinsero con onore ed abnegazione nella difesa della loro patria

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