mercoledì 30 settembre 2009

Garibaldi, la massoneria ed il ruolo dell'Inghilterra nella conquista delle Due Sicilie


Ho avuto la fortuna di visitare il museo del Risogimento di Milano in cui sono presenti decine di scaffali e vetrine contenenti grembiuli, sciarpe, attestati, simboli vari, medaglie delle varie logge massoniche italiane relative a Garibaldi ed altri.
Nel 1863, il Gran Maestro della Loggia di Sicilia era proprio Giuseppe Garibaldi(1).

E' degno di nota il programma di accoglienza che gli inglesi avevano preparato per la famosa visita di Garibaldi a Londra, avvenuta dopo la conquista delle Due Sicilie:

"Mentre Garibaldi appressavasi all' Inghilterra per la via di Gibilterra, più meeting si adunavano a Londra per fornire i preparativi di uno splendido ricevimento. La più importante di queste adunanze fu tenuta a Wellington-Club Strand ove si raccolsero i deputati del Commercio, delle Società operaje ed altre congregazioni politiche.
Martedi, al Wellington club Strami, ebbe luogo un meeting dei delegati del commercio di molte società operaie e corpi organizzati onde prendere risoluzioni sul modo di ricevere Garibaldi, che si aspettava a Southampton il 3 aprile.
Intervennero al meeting 100 delegati, non che il signor Taylor, membro del Consiglio municipale e segretario del Comitato di ricevimento della città.
Il presidente, signor Cramer, avendo aperta la seduta, il segretario onorario disse che Garibaldi, dopo aver fatto una corta visita al signor Seely, membro del Parlamento , all' isola di Wight, giungerebbe probabilmente a Londra la settimana dopo, e che in questa occasione i delegati decisero di formare una processione, il 3.° dei volontari di Londra, della brigata degli operai, servirebbe di guardia d' onore, col pieno consenso del comandante maggiore Richardson.
Il sig. Richardson disse che il Comitato della città si riunirebbe fra pochi giorni, e che era da desiderarsi che il Comitato degli operai e quello della città s' intendesse per rendere la dimostrazione più imponente. Disse poi le ragioni del viaggio di Garibaldi.
Le risoluzioni adottate furono le seguenti:
1. Il meeting ha udito con piacere che il generale Garibaldi è per visitare l'Inghilterra e considera come stretto dovere per ogni classe d' inglesi di unirsi per dare il benvenuto al patriota ed eroe italiano.
2. Il meeting raccomanda che Garibaldi sia ricevuto e scortato a Londra da una organizzata processione delle società di amici (friendly) ed operaio, e da ogni altro corpo di operai desiderosi di prendervi parte;
3. Che gli operai debbano offrire un banchetto a Garibaldi;
4. Che mentre il comitato rimane sempre il comitato degli operai, sarà pronto a cooperare con ogni altro Comitato.
Il signor Richardson annunziò che il sig. Slapleton porrebbe alla disposizione della processione del Comitato ogni quantità di carri o cavalli che saranno necessarii, gratis. Disse di più, essere sua intenzione di proporre, nella prima riunione del Consiglio municipale, che si presentino a Garibaldi le franchigie della città di Londra, e che gli si dia un banchetto al palazzo di città o al Guildhall.
Dopo le altre solite formalità, il meeting si sciolse.
I signori Richardson e Taylor scrissero al Morning Post per dire che Garibaldi arriverebbe a Southampton il 3 aprile, che passerebbe 10 o 12 giorni all' Isola Wight, e che probabilmente giungerebbe a Londra il 16.
Leggevasi nel Times: - Fra pochi giorni uno degli uomini più rimarchevoli delI' Europa porrà il piede sulle nostre spiagge - "
(2).

Cosa disse Garibaldi durante quella cerimonia di accoglienza degna di un principe, lo troviamo scritto in "Letture di famiglia,Tohuar, Firenze, 1863":

"Garibaldi nei vari discorsi tenuti in diverse occasioni al popolo inglese ha ripetuto che senza il soccorso prestatogli dall' Inghilterra non si sarebbe fatta l'Italia , perchè fu l'ammiraglio Mundy che protesse il suo sbarco a Marsala e il passaggio dello stretto di Messina, ma sarebbe stato giusto anche il ricordare che senza l'aiuto ben più efficace dell' Imperator Napoleone non si sarebbe strappata la Lombardia agli artigli dell'Austria, che senza la protesta armata francese contro ogni intervento nelle cose d'Italia, noi non avremmo potuto portare a così buon punto l'unificazione della patria, nè Francesco Secondo sarebbe stato solo a resistere contro il molo popolare che tanto aiutò Garibaldi a levarlo di trono; e che infine, quando trincerato in Capua ed ultimamente a Gaeta serbavasi abbastanza in forze per tentare di riprendere il regno; senza la inibizione d'ogni intervento straniero fatta dalla Francia all' Europa, l'esercito italiano non avrebbe potuto traversare le Marche, sconfiggere la bordaglia guidata da Lamoricière e prestar man forte a Garibaldi sul Volturno e sul Garigliano e compiere l'espugnazione di Gaeta".

Ancora su "Roma, Napoleone III e i ministeri italiani sguardo al passato e all'avvenire, Livorno, 1868" si legge:

"Garibaldi nel 64 a Londra rispondendo alle dimostrazioni di simpatia nel palazzo di cristallo diceva: «Senza l'ajuto di Palmerston, Napoli sarebbe ancora Borbonica, senza I' Ammiraglio Mundy, non avrei potuto giammai passare lo stretto di Messina"

Sempre in uno dei suoi discorsi al popolo inglese, accorso per acclamare solennemente Garibaldi, l'eroe di Marsala disse:

"Non è la prima volta che ho ricevuto prove non solo in parole, ma in fatti ( applausi ). Questa simpatia mi venne mostrata in varie circostanze della mia vita, e più specialmente nel 1860, quando senza l' aiuto della nazione inglese sarebbe stato impossibile compiere quanto facemmo nell' Italia meridionale ( grandi applausi }. Il popolo inglese ci somministrò uomini, armi, danaro; egli soccorse a tutti i bisogni dell' umana famiglia nei suoi sforzi per conquistare la libertà. Quel che dissero e fecero gl' Inglesi per noi, merita l' eterna gratitudine degl' Italiani (fragorosi applausi ). Per rispondere ad alcune nobili e generose parole del sindaco, vi dirò non aver sacrificato alcuna parte della mia vita per la causa dell' umanità; credo però aver fatto qualche cosa, una parte del mio dovere, del dovere di ogni uomo ( applausi ). Non mi resta che rendervi i più vivi ringraziamenti per la vostra generosa simpatia e per la vostra cortese accoglienza"(3).

In quei giorni si segnalarono degli scontri tra sostenitori di Garibaldi ed irlandesi.

Davide Cristaldi


(1) Memorie per la storia de' nostri tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai giorni nostri - Torino - 1865
(2) Cronaca della guerra d'Italia - Rieti - 1865
(3) Ivi.


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lunedì 28 settembre 2009

La Sicilia tra tradimenti ed eroismi, durante l'invasione garibaldina


La caduta del Regno delle Due Sicilie, era ormai nell'agenda delle principali nazioni europee(Francia ed Inghilterra) che si servirono del Piemonte e delle sue mire espansionistiche (ma soprattutto del suo debito pubblico mostruoso).

Tra le cause maggiori del crollo della nazione duosiciliana, vi è sicuramente l'infiltrazione degli ideali massonici e (pseudo)liberali all'interno della classe dirigente politica (ma soprattutto militare) dello Stato; ben nascosti dietro l'apparentemente positivo valore dell'unificazione nazionale(1).

I soldati e gli ufficiali borbonici, nella loro stragrande maggioranza, rimasero fedeli al loro giuramento, non si può dire lo stesso dei generalissimi come il nostro Lanza, che in più di un occasione tolsero letteralmente la testa di Garibaldi dalla lama della baionetta.

Questi soldati ed ufficiali a causa della loro lealtà, crearono non pochi problemi ai piani dei generali traditori: nemmeno gli errori tattici potevano giustificare la vittoria di Garibaldi perchè la differenza numerica e militare tra l'esercito borbonico e quello garibaldino era tale che un esito diverso dalla disfatta del Dittatore era impossibile.
Ecco cosa accadde infatti quando Von Meckel si ravvide dell'errore commesso:

"Il 30, nel mattino, Lanza manda a chiedere a Garibaldi una sospensione d'armi, da trattarsi, ov'egli acconsenta e ne fissi l'ora, a bordo della nave ammiraglia britannica. Fu risposto, che l'armistizio comincerebbe a mezzodì; a un'ora avrebbe luogo il convegno. Intorno alle 10, una colonna di truppe borboniche, sopraggiunta d'improvviso dalla strada di Misilmeri, attacca vigorosamente la Porta di Termini, quella stessa pur cui era entrato Garibaldi, sbaraglia gli appostamenti degl'insorti, rincaccia gli accorsi garibaldiani, prende d'assalto con impeto irresistibile otto barricate e s'impossessa della Fiera Vecchia. Era De Mechel, che, tardi riavutosi dall'errore, avea battute le orme dell'avversario, ed ora, privo d'istruzioni, agiva di suo capo. Invano Lanza manda ufficiali sopra ufficiali ad arrestarne i progressi, invano l'inglese ufficiale Wilmot, che, recando il consenso dell'ammiraglio, erasi trovato in mezzo alle schiere vincitrici, affermava la tregua. De Mechel avanzava sempre, e, già a pochi passi da Via Toledo, un movimento contemporaneo da Palazzo Reale avrebbe bastato per ripigliare con sicuro successo il resto della perduta città. Divenuto universale fra gl' insorti lo scoramento, i garibaldini gridano: siamo perduti, i Siciliani gettano le armi ed i nastri tricolori, chiedendo mercé. A quella vista desolante, Garibaldi, accorso ove più ferveva la mischia, si precipita innanzi alla barricata, cui accorrevano i regii. In quel mentre una bomba lanciata dal castello cade a un passo da lui, i Napoletani spianano i fucili pigliandolo a mira; nello stesso istante una voce possente ordina risolutamente di non far fuoco. De Mechel, maledicendo a Lanza, obbediva"(2).

In passato, ma ancora oggi il Regno delle Due Sicilie viene identificato come uno stato povero, ma non è così: esistono diversi documenti che dicono il contrario, tabelle che ci indicano chiaramente lo stato economico delle ex Due Sicilie, ma vale più di ogni altra prova l'assenza dell'emigrazione dal Sud Italia.

Anzi, incredibile a dirsi, il Regno delle Due Sicilie era un paese di immigrazione.
Qualche anno fa, è uscito un articolo su una nota rivista telematica svizzera, che raccontava dei flussi migratori esistenti tra la Confederazione ed il Regno di Napoli.
La pasta Voiello, nota in tutto il mondo come simbolo della gastronomia italiana, ha in realtà un'origine svizzera come ci racconta SwissInfo, infatti il suo fondatore non faceva Voiello di cognome, ma Von Wittel, e proveniva dal cantone tedesco. L' italianizzazione del suo cognome fece si che la sua ditta divenisse famosa per la più napoletana delle paste.
Di tracce svizzere nel regno borbonico se ne trovano parecchie, vedi i reggimenti svizzeri dell'esercito, quindi lo stesso Von Meckel.
E che dire della Pasticceria Svizzera di Catania, di proprietà dei Caveziel. Ma anche a Palermo sono segnalate famiglie di orgine elvetica.

Nei libri di storia c'è scritto che nelle Due Sicilie si pativa la fame, che la miseria era dilagante, ma non si è mai fatto il raffronto tra il contadino siciliano e quello lombardo o piemontese(o quelli francesi ed inglesi).
Si parla di povertà come se la povertà oggi non fosse esistente, dando ad essa un significato assoluto, quando la povertà ne ha uno relativo.Esistono studi e leggi che identificano la soglia di povertà: dunque un povero contemporaneo non è certamente paragonabile ad un povero dell'800.
Sono convinto che agli occhi di un contemporaneo, la povertà di un uomo del'800, sarebbe certamente insopportabile.
Quello che sappiamo di sicuro è che il contadino brianzolo dopo l'Unità si fa la fabbricheta, quello siciliano la fa pure, ma a New York.....

Però le statistiche dell'epoca ci dicono che la Sicilia era la terza regione per occupati nel settore industriale, e la prima in percentuale alla popolazione.

Nel corso dell'ultimo pezzo del Di Bella, si è parlato dei tradimenti dei comandanti siciliani come Landi e Lanza, soprattutto su quest'ultimo si ha la prova certa del suo tradimento, infatti la famosa fede di credito di 14 ducati che Garibaldi staccò a Lanza, è ancora oggi conservata e disponibile alla pubblica visione, presso l'archivio storico del Banco di Napoli, nel capoluogo partenopeo.
E' noto inoltre che a Palermo, durante l'imbarco "forzato" del numeroso esercito borbonico per ordine del Lanza, un soldato napoletano gli chiese: "Eccellé, o’ vvi quante simme. E ce n’aimma’í accussí ?". Ed il Lanza gli rispose : "Va via, ubriaco"

A causa di queste ed altre situazioni, ricordate anche dagli articoli di Di Bella, passa oggi l'idea sbagliata che a tradire furono soprattutto i comandanti siciliani.
Ciò avviene perchè i libri dell'epopea risorgimentale hanno sempre nascosto le gesta eroiche che accaddero dall'altra parte della barricata.
Come non ricordare ad esempio le imprese del colonnello palermitano Ferdinando Beneventano del Bosco, il quale aveva ben capito la mossa di Garibaldi, che sarebbe piombato dritto su Palermo:

"L' astuta tattica di Garibaldi è bene intesa dal generale Colonna e dal Maggiore Del Bosco, che invano insistono presso De Mechel onde ritorni senza indugio in Palermo, dove sicuramente, diceano, poteva l'avventuriere, abile partigiano qual é, ripiegare, sapendola sfornita delle più elette soldatesche dilungate ad inseguirlo sopra falsa via. De Mechel tien fermo, continua la marcia per Corleone, a piccolissime tappe, ostinandosi a dire a Del Bosco, che, presago della sventura, gli proponeva di prendere almeno la via di Marineo: «Marciate per Corleone con l'avanguardia ; prenderò tutto sopra di me.» E Del Bosco fremente arriva a Corleone, attacca i garibaldini guidati dall' Orsini, lor toglie due cannoni, e per lungo tratto li insegue senza poterli raggiungere"(3).

O altri purtroppo meno noti come il tenente Benedetto Pavone, il brigadiere Cesare Anguissola, il colonnello Francesco Cobianchi e tanti altri che attendono ancora l'onore del riconoscimento storico.

Concludo con questa massima che secondo me rappresenta in poche righe il nostro passato e, spero, il nostro futuro:

"La società ha bisogno di grandi scosse, o di tristi prove, per ricondurla agli eterni principi d'ordine e di governo" - Capefigue

Davide Cristaldi

(1) Quanto può durare un matrimonio forzato?
(2) Delle recenti avventure d'Italia - Venezia - 1864
(3) Ivi.

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martedì 22 settembre 2009

Quando l'Etna eruttò una valanga d'acqua.



Quando ero piccolo, rimanevo sempre affascinato dai cunti che gli anziani del paese facevano a noi giovani.
A volte erano storie di caccia, altre disavventure, ma tutte avevano come tema 'a Muntagna, nome con cui l'Etna viene chiamata dagli abitanti dei paesi posti sulle sue pendici.

Tra tutte queste storie ve ne era una in particolare che mi affascinava e che richiedeva sempre una buona dose di pazienza da parte del narratore per la mia insistenza a chiedere le repliche dinnazi ai miei amici, affinchè si ricredessero.

- Il nonno del nonno del nonno di mio nonno che a sua volta raccontava a mio padre che poi raccontò a me - inziava la storia - che un giorno lui ed altri paesani, acchianaru 'a Muntagna per andare a cacciare. A quel tempo - soggiunse - non esistevano strade, ed allora capitava che si rimaneva fuori per più giorni. Dovendosi passare la notte ci fu uno che suggerì di accamparsi sul letto di un torrente asciutto, ma altri proposero di serenare ai bordi e così fecero. L'indomani trovarono l'alveo del torrente completamente bagnato: era stata l'Etna che aveva eruttato acqua! -

Come per tutti i racconti a cui si prestava ascolto, a quell'età non si dubitava mai sulla veridicità, anzi si approfittava di quelli inediti per avere la soddisfazione di essere i primi a raccontarli agli amici.

Capitò che in età più adulta, tornati i ricordi di quelle storie, volli verificare se effettivamente l'Etna avesse davvero mai eruttato acqua. A dire la verità più andavo avanti nelle ricerche è più mi convincevo che la storia era stata inventata di sana pianta e che quella volta Giovanni si era preso gioco di noi.D'altronde come poteva un vulcano eruttare l'acqua?

Un giorno mentre sfogliavo vecchie carte, mi capitò tra le mani una delle tante guide turistiche della Sicilia del sette-ottocento borbonico, già a quel tempo esistenti e pure compilate dettagliatamente da viaggiatori e scienziati regnicoli o forestieri; questi ultimi poi consideravano la visita del Regno delle Due Sicilie e della Sicilia in particolare, un viaggio fondamentale per i loro studi: dalla lettura di diverse guide straniere mi sono fatto la personalissima opinione che la Sicilia fosse molto più ricercata allora.

Dalle mie parti ad esempio, rappresentava un'escursione irrinunciabile la visita al Castagno dei Cento Cavalli, un fagacee millenario che verdeggia ancora oggi nel territorio di S. Alfio e che secondo la leggenda protesse sotto il suo grosso fusto e le alte fronde 100 cavalieri con Regina di Sicilia al seguito, dalla furia di un temporale.

- Per 8 tarì a cavallo o mulo, Mastro Giuseppe di Giarre si offriva di accompagnare i viandanti -(1) si leggeva in una guida del 1864.

Proprio su questo documento trovai un indizio che poteva essere utile alla mia ricerca:

- It [il percorso per il Castagno] also crosses a wide dry bed, said to have been formed by a torrent of hot water, which in the eruption of 1755 was caused by the sudden melting of the snow in the upper regions of the mountain, and which rushed down to the sea with irresistible violence, bearing away houses, trees, and other obstacles in its furious career - (2)

- Il percorso attraversava anche un largo ed arido letto (torrente), di cui si dice essere stato formato da un torrente di acqua calda, durante l'eruzione del 1755, causato da un repentino scioglimento della neve, nelle zone alte della montagna, che si precipitò in mare con violenza inarrestabile, travolgendo case, alberi e tutti gli ostacoli lungo la sua furiosa discesa -

La storia di Giovanni aveva dunque dei fondamenti di verità e quella scoperta mi aveva soddisfatto parecchio e fornito lo stimolo per continuare le ricerche e così feci.

Davide Cristaldi

(1) "A handbook for travellers in Sicily: including Palermo, Messina, Catania - George Dennis, John Murray"
(2) Ivi, pag.453


(fine prima parte)

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giovedì 17 settembre 2009

Per la prima volta nella storia, in napoletano un'interrogazione al Parlamento UE

Ecco il video segnalato da Agrigento, dal vicepresidente del CDS-Sicilia, Salvatore Carreca:


Attendiamo adesso il coraggioso deputato siciliano che delizierà l'Emiciclo con la lingua di Trinacria.
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L'unità d'Italia fatta con il sacrificio della Chiesa.


Alcuni preti vengono arrestati durante il periodo della confisca

Essendo da sempre la Sicilia molto ricca di beni ecclesiastici, questi finirono nelle mire dei nuovi governanti piemontesi spinti dalle pressioni delle politiche anti-clericali che come è noto, accompagnarono tutto il Risorgimento.
Vi fu chi vi si oppose al censimento ed alla vendita dei beni beni ecclesiastici, come il deputato D'Ondes-Reggio nella tornata del parlamento torinese del 23 luglio 1862. Ma ci fu anche chi considerava i beni della Chiesa come beni "nazionali" e quindi lo Stato aveva diritto ad impossessarsene.

Ma se era vero che i beni della Chiesa erano dello Stato, perchè questi non furono ceduti ai contadini anzichè essere venduti all'asta?Perchè si doveva ricomprare dal nuovo Stato un bene di cui era proprietaria la comunità che da sempre ne usufruiva?Difatti da questa operazione finanziaria, rimasero senza lavoro decine e decine di migliaia di contadini che lavoravano con buon soldo presso le aziende agricole gestite dalla Chiesa.

Fatto sta che dalla vendita dei monasteri, di terreni, di beni, lo stato italiano ne ricavò ben 700 milioni che contribuirono i maniera sostanziale al pareggio di bilancio e sanare quel debito pubblico mostruoso che il Piemonte portava in dote.
Tutto ciò che non si vendette passò al Demanio, infatti parecchie caserme di oggi, furono monasteri al tempo delle Due Sicilie.
Accadde il 7 luglio del 1866 che fu promulgata una legge che prevedeva il pagamento ai comuni, che ospitavano beni ecclesiali, di un 1/4 del ricavato della vendita.Ma tale quarto veniva calcolato sul valore del bene dichiarato dai preti(che era bassissimo) e non sul valore di vendita finale.Ragion per cui al netto delle tasse ai comuni andavano gli spiccioli.

Ecco il regio decreto per la sopprressione degli Enti Ecclesiastici:

(N.3848)

Legge per la liquidazione dell'asse ecclesiastico.
15 agosto 1867

VITTORIO EMANUELE II
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA' DELLA NAZIONE
RE D'ITALIA

Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato:
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Art. 1 Non sono più riconosciuti come enti morali:
1° I capitoli delle chiese collegiate, le chiese ricettizie, le comunìe e le cappellanie corali, salvo, per quelle tra esse che abbiano cura di anime, un solo beneficio curato od una qnota curata di massa per congrua parrocchiale

2° I canonicati, i benefizi e le cappellate di patronato regio e laicale dei capitoli delle chiese cattedrali;

3° Le abbazie ed i priorati di natura abbaziale ;

4° I benefizi ai quali, per la loro fondazione, non sia annessa cura d'anime attuale, o l'obbligazione principale permanente di coadiuvare al parroco nell'esercizio della cura ;

5° Le prelature e cappellanie ecclesiastiche, o laicali ;

6° Le istituzioni con carattere di perpetuità, cho sotto qualsivoglia denominazione o titolo sono generalmente qualificate come fondazioni o legati pii per oggetto di culto, quand'anche non erette in titolo ecclesiastico, ad eccezione delle fabbricerie, od opere destinate alla conservazione dei monumenti ed edilizi sacri che si conserveranno al culto. Gli istituti di natura mista saranno conservati per quella parte dei redditi e del patrimonio che, giusta l'articolo 2 della legge 3 agosto 1862, n° 753 , doveva essere distintamente amministrata, salvo quanto alle confraternite quello che sarà con altra legge apposita ordinato, non differito intanto il richiamo delle medesime alla sorveglianza dell'autorità civile.

La designazione tassativa delle opere che si vogliono mantenere perchè destinate alla conservazione dei monumenti, e la desigi azione degli edifizi sacri da conservarsi al culto, saranno fatte con Decreto reale da pubblicarsi entro un anno dalla promulgazione della presente legge.

Art. 2. Tutti i beni di qualunque specie appartenenti agli anzidetti enti morali soppressi sono devoluti al Demanio dello Stato sotto le eccezioni e riserve infra espresse:........
(1)

D'altronde tra i motivi che scatenarono la famosa "Rivolta del 7 e mezzo", che proprio in questi giorni compie l'anniversario, vi fu proprio "l'abolizione dei Corpi Religiosi" come scrisse il comandante della Guardia Nazionale di Palermo, sig. Gabriele Camozzi.
Raffaele Cadorna, il generale che rase letteralmente al suolo Palermo, arrivò a scrivere che la rivolta era fomentata dai preti e dalle monache che partecipavano in armi alle squadre in rivolta.
Un ufficiale piemontese scrisse il 24 settembre 1866 al "Progresso di Vicenza" e al "Diritto" del 1° ottobre: "oggi continuano a fucilare; ne ammazzano dai cinque ai sei alla volta.Frati e preti sono lasciati in balia dei soldati.Ti puoi immaginare il massacro che si fa!"(2).

Che vi fosse un odio eccessivo contro i religiosi lo dimostrano le famose invettive garibaldine contro i preti, ma anche altre meno note come quelle lanciate nel 1861 da Giacomo Oddo dal suo libro pubblicato a Milano, "Il brigantaggio o l'Italia dopo la dittatura di Garibaldi", nel quale scrive:
"A noi ci fa più male un prete che cento briganti affamati, e tutti i preti sono nostri nemici e tutti lavorano indefessamente a nostro danno e scorno"
Ed ancora:
"Io non posso qui nominare tutti i preti nemici alla nostra causa, bisognerebbe nominarli tutti, rarissime essendo le eccezioni, e questa lunga litania riescirebbe di poco frutto"

Questo come altri libri del genere non poterono non generare un clima di "caccia alle streghe" nei confronti dei religiosi e perciò appare molto probabile che di massacri ve ne furono davvero, ma bisognerebbe fare una ricerca molto più approfondita per ottenere il numero esatto negli anni che seguirono l'Unità.
Ecco cosa si legge nella "Difesa del duca di Modena dalle accuse del Sig.Gladstone(3) - Marchese di Normanby - traduzione in italiano - Venezia - 1862", a pag.38:

"II Contemporaneo di Firenze, nell'agosto 1861, pubblicava la seguente Statistica di soli nove mesi di reazioni nelle provincia meridionali: Morti fucilati istantaneamente - 1841 ; morti fucilati dopo poche ore — 7127; feriti - 10604, prigionieri - 6112; sacerdoti fucilati - 54; frati fucilati - 22; case incendiate - 918; paesi incendiati - 5; famiglie perquisite - 2903 ; chiese saccheggiate - 12 - ragazzi uccisi - 60; donne uccise - 48; individui arrestati - 13629; comuni insorti - 1428. Sono cifre che fanno raccapriccire; eppure non son tutte! Povera Italia!"


(1) Manuale di tutte le leggi, decreti e regolamenti relativi alla liquidazione dell'Asse Ecclesiastico - Ministero delle Finanze - Firenze 1868 - pag.108
(2) La Civiltà cattolica - vol.102 - serie VI - Roma - 1866 - pag.237
(3) Sir. Gladstone, lo stesso che scrisse, senza averle mai vedute, che le prigioni napolitane erano orrende, con lo scopo di delegittimare il governo di Ferdinando II.


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giovedì 10 settembre 2009

Storia di Giuseppe Alessi di Castrogiovanni (Enna) fondatore dell'Accademia Gioenia di Catania


Nato ad Enna il 15 febbraio 1774
Morto a Catania il 31 di agosto 1837

Giuseppe Alessi, che, lontano dalle brighe civili, e fra le domestiche mura, tutta spese la sua vita agli studi o alla utilità o allo splendore della nostra comune patria consacrandola, é uno di quei sapienti siciliani che non é guari furono dall'indiano morbo fatalmente mietuti. A ragione ora Sicilia lo piange, e dolorosa reclama che le sue virtù con quelle degli altri benemeriti dappertutto si proclamino, dappoiché, essendo ella dalla prisca magnificenza decaduta, solo il conforto le rimane di poter essere almeno conosciuta per le opere dell'ingegno e del cuore dei suoi cittadini, ancorché perduti, che valgano da un canto a rafforzare i superstiti nella patria carità, e a mostrare dall'altro allo straniero che in niun tempo i petti dei Siciliani son chiusi allo amore della sapienza, e che se in una età di sciagure han molto essi potuto, solamente volendo, ancor più potrebbono se le presenti circostanze mutassero e la prosperità venisse un'altra fiata a rallegrare questa isola prediletta dalla natura.

Da Saverio Alessi e da Luisa Maddalena nacque Giuseppe il di 15 febbraio 1774 in Castrogiovanni, città che col titolo di Enna fu assai dalle antiche istorie celebrata. Ad un suo zio materno, per integrità di costumi ragguardevole, fu affidata la morale e letteraria educazione del fanciullo, cui furono sempre in sin dalla puerizia instillati in animo i più puri ed efficaci ammaestramenti di virtù. Cominciati gli studi nella città natale, fu indi a qualche tempo mandato in Catania a compierli, ove per le speziali cure di monsignor Ventimiglia erano venuti molto in fiore. Ivi il giovine Alessi studiò l'eloquenza sotto Raimondo Platania che professavala nel seminario dei cherici; e siccome questi, di molto ingegno dotato, non avea saputo rimanersi pago a quelle amene discipline senz'altro, e internato si era nello filosofiche scienze, cosi trovossi in istato di potere ammaestrare l'Alessi nella filosofia e nelle matematiche altresì, che cominciavano a scortarlo ad un pensar sodo, e dalle frivolezze lo distoglievano. Apprese in seguito gli studi in divinità da Antonino Pennisi domenicano da Aci-Reale, che nell'istesso seminario dei cherici professavali, e che colla forza dell'ingegno avea saputo lodevolmente dalle scolastiche vanità disvilupparsi. Sebastiano Zappalà ultimamente, più per memoria che per ingegno distinto, gl'insegnò la ecclesiastica giurisprudenza. Alessi però tornato in patria ebbe il dolore di veder trapassare gli amati suoi genitori, e di dovere assumere al tempo stesso il carico della domestica economia e della educazione dei suoi fratelli. Ei già avea cominciato a far conoscere il suo merito, che lungo tempo non potea star nascoso in una città non grande, e pertanto fu eletto in età di soli ventidue anni maestro di belle lettere, e non molto appresso di filosofia. Assunto il ministerio di prete, e con esso l'obbligo di condurre a virtù i suoi simili, di ammaestrarli cercò colla sua voce dal pergamo e in patria e nelle ville circostanti. Due volte portossi in Catania per ottenere una parrocchia o quella di s. Bartolomeo, o l'altra di s. Cataldo che successivamente vacarono, ma non difettò di merito, solo l'età non reputata acconcia fu di ostacolo a' suoi desideri. Inviato in Palermo dai suoi cittadini collo incarico di procurare alla lor patria un vescovado, si legò in istretta dimestichezza coi più dotti uomini che vi fioriano, e singolarmente col Decosmi, che in alta stima lo tenne.

Vero é che spesso la elezione degli studi particolari dalla naturale inclinazione di ciascheduno dipende, ma ancor più spesso vien determinata da talune circostanze che nella vita umana inaspettatamente si presentano, e le disposizioni dell'animo destano, dirigono, invigoriscono. Per la qual cosa il nostro Alessi, avuto in sorte di nascere in una città che mille gloriose reminiscenze per gli antichi avvenimenti civili offre al pensiero, e mille presenta in ogni luogo al guardo indagatore tra monumenti ed oggetti o per la vetustà delle arti da venerarsi, o per la utilità che natura chiude in suo seno da studiarsi, fu mosso potentissimamente in sin dalla sua giovinezza ad abbandonarsi alla storia naturale e civile, ed alla archeologia di Enna: le quali investigazioni estese tosto con senno a tutte le città della isola, perché tutte esser patria debbono dei buoni Siciliani, e dove più cose rinvenia da rischiarare, con maggiore affetto vi attendea. Alternava di quando in quando la lettura dei classici latini e greci, né le sacre discipline intralasciava. Ottenuta a concorso dopo mille opposizioni la cattedra di giurisprudenza ecclesiastica nella università di Catania, fu obbligato a lasciare la stanza di Enna, a lui molto cara, e trasferirsi nell'altra città, della quale tosto divenne uno dei principali ornamenti.

Giuseppe Alessi rivolgea frattanto in animo tutto che al progredimento della siciliana coltura era bisognevole, e non ignorava che l'isola nostra avea veduto in ogni secolo sorger più congregazioni di dotti, le quali o senza scopo alcuno vagando, o maggiormente di frivoli subbietti poetici intertenendosi, di niuno, o di pochissimo, e non ben manifesto utile erano elle sempre mai riuscite alla civiltà del popolo, solo mostrando di essere state accomodate alla età particolare in cui furono instituite. Vedea però che, mutati i tempi, novelli bisogni sorgeano, pei quali non più in prezzo tener si poteano le arcadiche pastorellerie, e che una generazione era venuta di gravi e severe investigazioni oltremodo desiderosa. Per questa considerazione trovossi in comunanza di taluni prestanti ingegni, che generosamente si travagliarono a gittar le fondamenta ad una novella accademia che appositamente si fosse intrattenuta della storia naturale della Sicilia, e delle fisiche scienze: opera veramente degna del suolo e del tempo che nascer vedeala: e che se per essa la dotta Catania ha ricevuto i più sinceri plausi dai sapienti stranieri, nel suo primo nascimento diede una luminosa testimonianza di essersi anco in Sicilia sentito il vantaggio di quel felice rivolgimento che per la intellettuale coltura si era operato nelle altre nazioni di Europa. Denominavasi Gioenia l'accademia a gloria del cavalier Giuseppe Gioeni per la sua litologia vesuviana, e pel museo che fondò di storia naturale, dagli stranieri conosciuto. Quanto si adoperò e quanto scrisse per quell'accademia l'Alessi, cel fa considerare come fervido e dotto naturalista. Nobile pensiero di quei primi fondatori si fu, come ho detto, di studiare ed illustrare le cose naturali dell'isola, e a maggiormente riuscire nel lor proponimento stabilirono di creare un apposito gabinetto. Alessi, siccome dei più zelatori, fu uno di quei deputati che l'accademia nella sua prima instituzione elesse per mettersi in comunicazione con tutti i soci corrispondenti e coi collaboratori dell'isola, per fare acquisto dei più rari ed interessanti oggetti naturali di Sicilia. Già intendevano taluni a formare un piano che la fisica e naturale scienza dell'Etna comprendesse, altri intorno alla flora etnea lavorava, chi alla geologia di quel monte, e chi alla mineralogia siciliana avea rivolto l'animo, ma Giuseppe Alessi cominciava le sue fatiche con la descrizione fisico-mineralogica della sua città natia, di Enna, e il di 11 novembre 1824 una memoria leggeane alla presenza del marchese delle Favare, allora luogotenente generale in Sicilia, ed una carta topografica all'accademia presentava, disegnata dal dotto inglese Riviers, e faceale dono eziandio di una ordinata serie dei minerali dell'ennese territorio.

L'Etna che da gran tempo avea tratto l'attenzione e di siciliani e di stranieri, e che vantar potea dotti scrittori delle sue eruzioni, non avea pur tuttavolta una storia che tutte le sparse notizie insieme raccogliendo ed ordinando dalla età più oscura ai giorni nostri pervenisse, senza lasciar cosa che all'assunto avesse potuto giovare. La eruzione accaduta a 18 maggio 1818 diede occasione a cosiffatto lavoro, perciocché essendo tratta in cima a quel monte il 2 luglio dell'anno stesso una folla di colti osservatori, insieme al conte Brocchi a Carlo Gemmellaro ed al prussiano Federigo Bonti vi si recò l'Alessi, e su quell'altezza istessa, scosso dal maestoso spettacolo che natura gli offeriva, magnifici concepimenti al pensiero vedea presentarsi di siciliana utilità, e tra le varie riflessioni fatte con quei valorosi geologi, il piano immaginò di una storia critica degli incendi etnei, che per tutti i secoli si stendesse a cominciare dai tempi favolosi. Questo divisato lavoro in più ragionamenti distese, che tutti in diversi anni si fece a leggere nella catanese accademia; prendendo le mosse dai tempi immemorabili e favolosi in fino all'anno mille ottocento trentatré, in cui l'autore finì di scrivere: opera che per le lodi di giornali italiani e stranieri é stata altamente celebrata. Bello e compiuto é il lavoro; molti vuoti supplisce, spezialmente nei tempi greci e latini; il dubbio e le incertezze con critiche osservazioni rischiara sulla filosofia, sulla cronologia e sulla filologia; e se talvolta vide l Alessi quello che veder non avrebbe dovuto, e nelle sue disanime andò fallito, dee notarsi a colpa della immensità e della disagevolezza delle sue ricerche, singolarmente nei tempi favolosi, nei quali tace la tradizione, e fra le oscurità é d'uopo ravvolgersi.

Oltre alle anzidette fatiche, due altre memorie compose che in quella stessa accademia furono lette, cioé l'una sopra gli ossidi di silicio, ed i silicati appartenenti a Sicilia, e sull'utile che trar se ne possa, e l'altra sulla vera origine del succino. Nella prima favellò di varie specie di minerali o conosciute o novellamente scoperte in Sicilia, e facendo conoscere gli usi e i lavori a che posson valere per la prosperità dell'agricoltura delle arti e de'mestieri, compianse la nostra miseria, ché potendo essere co' naturali tesori della isola indipendenti dagli stranieri, ci facciamo schiavi di quelle nazioni che della nostra infingardaggine profittano. Generoso sentimento di animo siciliano tendente a scuotere i cittadini dalla inerzia loro, e a procurare i vantaggi della comune loro patria! In bella mostra schierò sotto gli occhi degli ascoltatori la collezione di quei minerali che avea per suo studio raccolto in Sicilia, e dopo di averne colla sua orazione minutamente descritto i caratteri , e notato i luoghi particolari ove rinvengonsi, ne fe' dono al gabinetto di quella accademia. O ignota o non ben certa era pei naturalisti la origine del succino, e da più tempo Alessi vi avea posto l'animo. Molte varietà ne avea raccolte in Castrogiovanni, le quali sottoposte all'esperienze praticate con Gaetano Mirone e Salvatore Platania , alla presenza di Carlo Gemmellaro, gli fecero conoscere la vera origine del succino in una gomma transudante, sotto la corteccia e tra il liber di una legnile della specie del pino, o di tal albero somigliante, la quale scoperta con una sua memoria presentò all'accademia; ove iteraronsi gli esperimenti, e si videro corrispondere a quelli che già dall'Alessi si erano tentati. Fu lodata da tutti questa memoria, ed il giornale di farmacia di Parigi ne diede un compendio.

Scrisse in seguito l'Alessi un discorso che può servire d'introduzione alla zoologia del triplice mare che cinge Sicilia, ed un altro sulle ossa fossili ritrovate in ogni tempo in questa isola e recentemente scoperte in Siracusa, con osservazioni geologiche. La Sicilia in ogni tempo ha mostrato le zanne ed i denti molari degli elefanti fossili, ed i nostri musei n'eran pieni. Ma non molto dopo al 1830, nel qual anno molte scoprironsene nella grotta di Maredolce in Palermo, ordinate dal Bivona ed illustrate dallo Scinà, varie altre se ne rinvennero nel sito di Grotta Santa in Siracusa, nella quale occasione scrisse l'Alessi il suo discorso, e pria che lo Scinà avesse pubblicato il suo opuscolo, avealo egli presentato all'accademia. Ma per queste ed altre fatiche e per lo acceso zelo Alessi che nella prima creazione di quell'accademia era stato eletto membro del comitato, fu indi segretario alla classe di scienze fisiche, direttore del gabinetto, e finalmente segretario generale, col qual carico due relazioni distese che un picciol quadro racchiudeano de' lavori nel corso di due anni eseguiti, con tanto ordine, precisione e nobiltà annodati ed esposti, che piacevole ne riesce la lettura.

Fondavasi in Palermo l'Instituto d'incoraggiamento di agricoltura, arti e mestieri, e nei capoluoghi delle altre valli le società economiche si stabilivano, tendenti tutte a promuovere la prosperità nazionale, e con essa la civiltà, e la gloria del popolo siciliano. Tra' componenti della società economica della valle di Catania videsi l' Alessi, e con tutti gli altri attendere, perché conseguito si fosse l'ottimo scopo che loro era posto avanti. Per questa ragione ei nella generale adunanza del 30 maggio 1835 lesse un breve ragionamento sulla scoperta della magnesia solfata in Sicilia. E quando il governo per mezzo dell'Instituto di Palermo a tutte le società delle valli dava incarico di proporre i mezzi più acconci affine di estirpare le cavallette che in moltissima copia erano venute ad invadere e devastare le nostre più ubertose campagne, Alessi un'apposita memoria leggea , nella quale i suoi pensieri sull'assunto manifestava.

L'affetto per le naturali e fisiche scienze che tanta parte occupava dell'animo suo, non riusciva di ostacolo a quello per la patria erudizione, che forse con più potere che l'altro signoreggiavalo, ed i moltiplici suoi lavori, chiara testimonianza ce ne danno. A gloria dell'isola nostra qual pubblico professore della università di Catania, nel ripristinamento degli studi varie orazioni ci disse, che il senno degli avi nostri ricordavano. Con piacere rimembriamo la orazione latina intorno all'ingegno che hanno i Siciliani per le invenzioni, la quale meritò le Iodi della Biblioteca Italiana, e per l'abbondanza del santo amore di patria, e per la ricchezza di squisita erudizione, e per la eloquenza latina con cui fu scritta. Le altre orazioni poi sulle leggi siciliane, sopra Caronda e le sue leggi, l'elogio del cav. Giuseppe Gioeni, ed altro che in diversi anni nella sala della stessa università di Catania e' lesse, fanno conoscere quanto innanzi sentisse nella patria erudizione, e quanto amore ponesse nel diffonderla, eleggendola a subbietto dei suoi discorsi, meglio che le altre astratte, e speculative trattazioni, perciocché grande é l'efficacia dei fatti, e tra questi più vigorosi a muover l'animo della gioventù siciliana sono in ispeziallà quelli che le più belle glorie domestiche rammentano. Questi discorsi, e gli elogi de' due catanesi Girolamo Recupero, dotto naturalista, e di Lorenzo Rizzo Morelli tolto in gioventù alle speranze della patria, che promettevasi di vedere tosto in lui un anatomico di gran fama, davano a conoscere di avere acquistata l'Alessi qualche facoltà nel dire, se non per la purità di linguaggio italiano, che in ciò più nel latino riusciva, certo per la maniera di presentare le cose.

Cotidianamente Alessi studiava la storia di Sicilia, e conoscendo che questa assai manchevole sarebbe specialmente pei tempi antichi, se non si cercasse di vantaggiarla colla spiegazione delle monete, delle medaglie, delle iscrizioni, degli avanzi dei templi, dei teatri, e di tutt'altro, che alle rovine de' secoli é sopravvissuto, dalle quali investigazioni può sicuramente attingersi qualche profittevole conoscenza intorno i costumi, le usanze, e gli avvenimenti civili del popolo, con ardore allo studio dell'archelogia consacrossi, ed attese alla lapidaria, alla numismatica, alla iconografia, alla paleografia, alla diplomatica. Come appendice alla raccolta delle iscrizioni del Torremuzza, può considerarsi la lettera, che pubblicò sulle ghiande di piombo inscritte, trovate nell'antica città di Enna, per dilucidazione delle quali rammenta la loro origine, rischiara quelle ritrovate in Sicilia, ed altrove, e favella sulla maniera di lanciarle. Divisamento di Giuseppe Alessi fu di provare in questa lettera, che come gli antichi nelle prime guerre pugnarono con sassi, cosi a questi furono sostituite, nelle età successive, le palle o ghiande di piombo.

Se tutte io qui volessi partitamente esaminare le illustrazioni di alcuni sepolcreti ed iscrizioni appartenenti alla antica città di Catania , e delle medaglie greco-sicole di Enna, di Etna, di Taormina, di Girgenti, di Siracusa, e di altre nostre antiche città, lunga opera sarebbe, e possono agevolmente gli eruditi leggerle nel Bullettino archeologico di Roma, in quello di Ferrara, nelle siciliane Effemeridi, e nel Giornale di scienze lettere ed arti per la Sicilia.

Conosciuto quanto Giuseppe Alessi nella patria erudizione valesse, gli amici tutto di lo spingevano a scrivere la storia generale di Sicilia, ed e' tra per la immensità e per la disagevolezza del lavoro, e si anco per l'età, che di molto si era avanzata, loro scusavasi, dicendo di non potersi sottomettere a cosi gran peso. Purtuttavolta le iterate istanze degli amici lo vinsero, ed Alessi mise mano all'opera proponendosi di scriver prima la storia antica da' tempi favolosi insino alla caduta dell'impero romano, nella quale e' vedea l'origine, la grandezza ed il decadimento dell'isola nostra; riserbandosi poscia di scrivere la storia moderna, che dalla caduta dell'impero romano sino a' nostri giorni si distendesse. Di tale storia però non altro abbiamo alla luce che le due parti del primo volume, e la prima del secondo: ma, se pur vero é quel che si dice, possiamo sperare di vederla tutta comparire colle stampe essendo stata dallo autore pria di morire compiuta. Nella prima parte del primo volume cominciando a favellare dei Ciclopi, giunge sino alla guerra ed alleanza de' Sicani coi Sicoli. La seconda parte comprende il corso del tempo dai Sicoli fino allo arrivo delle greche colonie, e la descrizione fisica geografica storica della Sicilia dalla età favolosa sino alla venuta de' Greci. Nella prima parte poi del secondo volume dopo di aver presentato lo stato della Sicilia pria dell'arrivo delle colonie greche, passa ad esaminare la loro origine, il loro stabilimento, la fondazione delle nostre antiche città, e i governi, e i governanti, e le lingue e le costumanze e le divinità e i riti e le cerimonie e i giucchi, e tutt'altro, sino alla morte di Anassila.

Se noi ci faremo a considerare il titolo che Alessi volle donare all'opera cioé quello di Storia crìtica della Sicilia, facilmente si argomenterà ch'e' prese tutt'altra via per trattare l'assunto, che quella che batter si dee da coloro che amano di esser detti propriamente storici. La vera storia coglie le fisonomie de' tempi, e il carattere delle persone, annoda ed ordina i fatti, gli effetti e le cagioni ravvicina e congiunge, e la catena non interrotta degli avvenimenti civili con nobiltà e decoro presenta, disdegnando le favole e le cose incerte, e senza allargarsi in minute e stucchevoli disamine, che ogni leggitore agghiacciano, e distolgono dal principale subbietto. Cosi che la vera storia dev'esser critica senza presentare agli occhi altrui tutto l'apparato delle critiche osservazioni. L'opera di Giuseppe Alessi, sotto altro aspetto ravvisata, é utilissima, perché immensa erudizione presenta da poter servire di materiale a chi vuole, e può scrivere la vera storia di Sicilia , che tuttora ci manca. E' chiamò critica la storia per le osservazioni archeologiche, politiche, filosofiche e di ogni genere, rafforzate con l'autorità de'lunghi tratti di antichi scrittori e di poeti, e di filosofi, e di storici. Ed egli stesso confessava, che la parte favolosa potea riguardarsi siccome una introduzione allo studio della sicula archeologia.

Per l'amore alla patria erudizione e per la sua infaticabilità, era degno Alessi di vivere a' tempi di Mongitore, de' Di Blasi, degli Schiavo e di altri tali che nella passata generazione in pro delle cose siciliane si travagliarono; ma il corso del tempo che da quei benemeriti lo disgiunse, fe' sì che avesse avuto più coltura e politezza nelle sue erudite trattazioni. Ma il soverchio affastellamento di erudizione ed il giudizio rarissime volte vanno insieme congiunti, ordinariamente pugnan tra loro, ed il trionfo dell'uno é a discapito dell'altro. Per questo talvolta, sforzandosi di rischiarare la verità con ammassar testimonianze di autori e di fatti, senz'averne accorgimento ad Alessi la vera critica falliva. Spesso asserì cose che nemmeno avrebbe dovuto notare per dubbie, spesso parvegli inconcussa un'autorità, che in niun conto avrebbon gli altri tenuto, spesso di autori moderni si valse a pruovare le cose antiche, ed anco qualche fiata per inedita diede qualche o moneta che dappiù tempo conosceasi, o medaglia che della sua legittimità facea dubitare: e in ciò a mio credere più contribuiva la celerità con cui scrivea, e le cose scritte pubblicava. Bella é la erudizione, ma, se non sobria, é dannosa. Giuseppe Alessi quasi non volendo era trascinato ad usarne senza misura e senza esame per lo imperioso amore alle cose nostre, e più per la tenacità della memoria, ch'ebbe maravigliosa sin da fanciullo quando ripetea lunghissimi tratti de'classici, e per la sua viva immaginazione, che non gli dava tempo di ordinare e di confrontare convenientemente ciò che alla mente gli si presentava.

Per la moltiplicità delle opere, tutte per argomento e per utilità siciliane, era ad eminente grado dì reputazione venuto. Lodavanlo i più pregiati giornali di Sicilia, come parimente quelli della penisola della Francia e d'altrove: le adunanze letterarie patrie, o straniere, nel numero dei loro componenti aggiungevamo, e siccome il suo nome conosciuto era nell'Italia e di là dalle Alpi, ricercato venia da quei viaggiatori che si conducevano in Catania. In guiderdone ai tanti suoi meriti ebbe un canonicato nella chiesa collegiata, fu eletto rettore nel collegio delle arti, ed era stato nominato con altri per un vescovado, ma non so per qual ragione conseguire non poté quello del quale sarebbe stato meritevole.

Cupido di gloria, i suoi pensieri insin dalla età giovanile ad essa rivolse, e con ogni possa procurò di acquistarla. Questo ardente amore della propria reputazione non lo inebriò talmente da farlo inorgoglire, o da fargli riguardar gli altri con austero sopraciglio, che anzi serviagli sempre di sprone ad opere novelle, e tutto che si fosse stato di indole grave e severa, di urbani modi usava nel conversare, a tempo di piacevoli motti valeasi, e sempre con giudizio alla condizione ed alla intelligenza diversa di ciascheduno accomodavasi. Amorevole co' suoi congiunti, la santità della amicizia teneva cara, e costante e generoso amico addimostravasi. Amava sinceramente la patria, ma come che fervido siffatto amore sentisse nel suo petto, non abbandonavasi ciecamente a guisa che fanno coloro che alle picciole ed inette cose vanno dietro, ma meglio desiderava contribuire con l'opera sua a promuovere il comun bene de' Siciliani, utili dottrine diffondendo, massime di virtù instillando, e ragionamenti pubblicando che avessero potuto ricordare la prisca magnificenza di Sicilia, il cui decoro principalmente era guida, e norma alle sue azioni: né la asprezza delle fatiche lo scoraggiò, né gli ostacoli che frapporre si sogliono in verun modo lo arrestarono. A quei giovani studiosi che a lui per consiglio ricorrevano, e' quasi come affettuoso padre a' figliuoli con tutta benignità soccorreva, ora nel miglior sentiero da battere i meno esperti avviando, ora con sani ammaestramenti fortificando quelli che a lui pareano essere bene avviati. Desideroso era dell'onore della università di Catania, alla quale per la cattedra di giurisprudenza ecclesiastica appartenea, e per quanto gli era possibile vi si adoperava, inculcando a tutti i professori ch'eglino un sol corpo componevano, come solea dire, e che perciò l'utile reciproco doveano con amorevolezza ricercare, e che un'anima sola un sol pensiero avere doveano diretto a promuovere la coltura e la civiltà. Per la qual cosa e', tutto che era professore di dritto canonico, la mancanza degli altri allo stesso tempo suppliva, e tra le altre lezioni diede quelle di filosofia e di pandette. Questo sentimento di fraternità proccurava di fare allignare in tutte le unioni letterarie, e nella Accademia Gioenia principalmente, e nella Società Economica, nelle quali con buoni modi gli animi discordi a concordia componea, anzi ogni cagione di liti appena nata spegnea, cosicché discacciando lo spirito di parte , col suo esempio, piucché qualunque altro, alle belle ed utili fatiche i suoi compagni spronava. Pieno avea l'animo di generoso desiderio di veder progredire gli studi, e ad essi costantemente attendeva, né le vicissitudini del 1820, quando Sicilia vide per tutto movimenti e passioni, velo distolsero, che appunto in quell'anno metteva alle stampe l'elogio di Lorenzo Rizzo Morelli il di 19 luglio dell'anno stesso tolto alle speranze di Catania. Giuseppe Alessi quel denaro che qualche volta ai comodi della vita negava, tutto per libri e per oggetti naturali di belle arti e di antichità profondeva. Le stanze della sua casa poteano considerarsi come un museo, perciocché da ogni parte ordinatamente scorgevansi gessi, monumenti antichi, roccie, minerali, insetti, conchiglie straniere e sicule, ossa fossili, pietre incise, collezioni di stampe, di vasi, d'idoletti grecosicoli ed egizi di bronzo, di creta, di granito, con due preziosi e ricchi medaglieri di medaglie greco-sicole e romane d'oro, di argento, di rame. Amante com'era delle belle arti, ed in ispecial modo della scoltura e della pittura, eccellenti quadri avea raccolto, e scrisse su taluni argomenti di storia di Catania divisati in pittura, per uso del principe di Manganelli.

Era di bella persona, di statura alta, di complessione robusta, grave nel portamento; il naso avea regolarmente conformato, e più traente all'aquilino, gli occhi vivi e penetranti, alta e convessa la fronte, il colore del volto tra bilioso e pallido, calva la testa. Tale Giuseppe Alessi offriasi, già pervenuto al sessagesimoterzo anno dell'età, pria che le calamitose vicende del cholera avessero bersagliata Sicilia, e ci godea l'animo vedendo che tra tanti altri sapienti cercava sempre il meglio e l'utile della sua patria: ma quando questo feroce tempo di sciagure sopragiunse, quando, oltre a mille altri danni, i buoni senza compianto trapassavano, e senza estrema pompa co' vili e co' tristi erano indistintamente confusi, Giuseppe Alessi finia di vivere in Catania il di 31 di agosto 1837, fra le braccia di un'amata sorella che pietosamente soccorrevalo ; ad essa, e ad un'altra che stava per esalar l'anima sentimenti di religione e coraggio inspirando, senza mutar viso a quei mali che atrocemente imperversavano. E' trapassò; ed ora altro di lui non ci rimane che la dolce rimembranza delle virtù.

Bernardo Serio

(Biografie e ritratti d'illustri Siciliani morti nel cholera l'anno 1837 - Palermo - 1838)

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martedì 8 settembre 2009

Sciacca - Il segretario siciliano Pino Marinelli entra a far parte della Commissione Toponomastica.



E' con piacere che comunichiamo la notizia della nomina del segretario regionale Pino Marinelli a membro della commissione toponomastica del comune di Sciacca (AG).

L'importante riconoscimento, avvenuto il 2 settembre scorso, premia l'impegno instancabile del nostro segretario nella battaglia culturale che da anni porta avanti per la Sicilia e per la sua città.
Ricordiamo che l'anno scorso, grazie all'intervento di Pino Marinelli, un'importante piazza del comune saccense è stata dedicata al sovrano borbonico Ferdinando II.

Un ringraziamento va al vice-sindaco Carmelo Brunetto per la fiducia riposta, mentre al Segretario del Comitato Due Sicilie vanno tutti i nostri auguri, certi dell'impegno e della costanza che metterà nel suo nuovo incarico.

Coordinamento CDS-SICILIA

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