mercoledì 29 dicembre 2010

(LA SICILIA) SOTTO I BORBONI SICILIA AL PASSO CON L'EUROPA


Modelli innovativi. La prof. Raffaele: «Anche dopo la Restaurazione, un'efficace azione in campo sociale»

Non è necessaria una radicale rivisitazione. Basterebbe guardare con gli occhi dello storico al periodo borbonico per capire che anche sotto il profilo dell'assistenza quella Sicilia non era la regione arretrata cui gli stereotipi più diffusi ci hanno abituato. Anzi: «Specie il primo periodo borbonico, quello del riformismo, segue le tracce dell'assolutismo illuminato dei grandi prìncipi europei. Nel campo dell'assistenza, c'è una fortissima consonanza con la realtà europea e a tratti un'accelerazione, un anticipo», osserva Silvana Raffaele, ordinario di Storia moderna alla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Catania.

I modelli sono piuttosto innovativi, per l'epoca: «Nel Settecento in Sicilia e a Napoli si aprono i Grandi alberghi dei poveri, opifici cui sono destinati i poveri che vengono tolti dalla strada e messi in condizione di lavorare, sul modello delle work houses di età elisabettiana», dice la professoressa, studiosa di quel periodo e autrice di saggi sulla famiglia, la società e la condizione della donna.
«Un secondo elemento è l'attenzione nei confronti della donna, mirata pur sempre al controllo sociale e a un concetto che collima con quello di onore, non soltanto siciliano ma europeo. Era infatti problema avvertito il passaggio di patrimonio, che doveva essere certo e sicuro. Per questo il padre doveva quindi non avere alcun dubbio quel figlio fosse suo. Di qui la necessità dell'assoluta fedeltà delle spose e lo stigma della prostituzione, che viene nettamente distinta. In questa logica, si aprono i conservatori della virtù, dove a tutte le donne ospitate viene insegnato un mestiere. A Catania ce ne saranno nove».

Segue la stessa impostazione la nascita delle «giunte dei figlioli proietti, primo esempio di struttura di tipo centralizzato per l'assistenza all'infanzia abbandonata». Una sorge a Palermo, svariate altre in Sicilia. Il «beneficio» non è solo la nota ruota fuori dai conventi, che serve ad affidare i bambini non voluti conservando l'anonimato. «Il Comune paga gli alimenti dei bambini fino a cinque anni per i maschi, dopodiché procura un lavoro, e indirizza le ragazze ai conservatori. La ruota di Catania, in venti anni, dal '40 al '60, ricevette quasi 10mila bambini, di cui l'83% morì», sottolinea la professoressa.
Dopo la restaurazione, i Borbone proseguirono una vasta azione di tipo sociale, stavolta sul modello francese. «La scuola primaria diventa gratuita: non obbligatoria perché non si potevano costringere le famiglie povere a privarsi delle braccia da lavoro. Nasce un sistema di scuola secondaria che prevede non solo licei e collegi per i dotti, ma anche scuole professionali attorno alle nuove professioni emergenti, diplomatici, militari etc. Era insomma una Sicilia in perfetta consonanza con l'Europa», afferma Raffaele.

Di lì a poco, nel 1877, ne "I contadini in Sicilia", così Sidney Sonnino descriverà le condizioni delle strutture di assistenza: «La classe dei cosiddetti galantuomini ha in mano tutte le amministrazioni comunali, e inoltre la gestione di tutto il denaro delle Opere pie [...]. Lo spettacolo diventa più doloroso ancora se dalle amministrazioni comunali, ci volgiamo a considerare le Opere pie e le condizioni della beneficenza pubblica in Sicilia. I monti frumentari sono diventati quasi dappertutto un mezzo nelle mani degli amministratori per esercitare l'usura per conto proprio e su più vasta scala [...].Le Opere pie sono considerate in genere dalla classe che le amministra come un campo che deve sfruttare per suo proprio vantaggio. Per gli onesti sono un mezzo di influenza e di favoritismo; per i meno onesti una sorgente di facili lucri e di illeciti guadagni».

Orazio Vecchio, 28 DICEMBRE 2010

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martedì 21 dicembre 2010

Augusta(SR) - Relazione del sopralluogo al telegrafo borbonico.



di Davide Cristaldi
Comitato Storico Siciliano

Quella del 19 dicembre è stata una giornata che ha messo un ulteriore tassello nella riscostruzione della storia borbonica siciliana.
Folto, interessato ed esigente il pubblico che ha partecipato alla spedizione di Cozzo Telegrafo, così come ho particolarmente apprezzato l'entusiasmo, la preparazione e la capacità di coinvolgimento di Ivan Alicata dell'associazione Natura Sicula e Luca di Giacomo dell'associazione Marilighea.

Fondamentale per il successo dell'iniziativa è stata la presenza dell'archeologo e storico locale Italo Russo, il primo ad aver trovato le fonti ed identificato i resti del telegrafo borbonico di Diavolodopera. Grazie a lui siamo entrati agevolmente nel sito ed abbiamo potuto ricostruire in maniera più che esaustiva quelle che furono le vicende storiche della stazione telegrafica.
Inaspettata quanto lieta la presenza di Carmelo Modica, uomo di provata fede borbonica che ho avuto modo di conoscere domenica quando si è unito alla nostra spedizione e con il quale spero si avvi presto una proficua collaborazione.

Da segnalare in Augusta la presenza dell'Associazione "Due Sicilie" guidata dal presidente Giacomo Casole, che ho avuto modo di conoscere sempre domenica, anche con la sua associazione mi auguro di poter organizzare presto qualcosa insieme.

Premessa storica

La zona in cui sorge il telegrafo ottico di Diavolodopera, altresì detto di "Diavolopri" o "Avolo d'Opra", è oggi conosciuto con il toponimo di "Cozzo Telegrafo" e si trova su un'altura tra Brucoli ed Agusta. La stazione telegrafica si trovava tra quella adiacente del fiume Simeto (Casa Portoghese) e quella del comune di Augusta (Terra Vecchia) Come appare nella legenda della cartina telegrafica del Regno delle Due Sicilie, "Diavolodopera" serviva anche per l'avvistamento e la segnalazione dei navigli che costeggiavano lo spazio di mare sottostante.
La data di costruzione esatta non la conosciamo, ma di certo risalente a qualche mese dopo il 1816, anno in cui fu costituito il Regno delle Due Sicilie ed istituito in Sicilia il sistema di comunicazione telegrafica ottica con il sistema Depillon (telegrafo a 3 braccia)

La spedizione

Partiti da Augusta abbiamo raggiunto Cozzo Telegrafo in 15 minuti circa. Questa montagnola, famosa per gli eventi bellici che la videro protagonista come importante caposaldo italo-tedesco per la difesa di Catania dall'esercito inglese guidato dal generale Montgomery, si presenta come un sistema irto di tunnel sotterranei, cunicoli, bunker, vasche per cannoni tutti costruiti durante la seconda guerra mondiale.
Giunti sulla sommità del cocuzzolo, il Sig. Russo ci ha mostrato il punto in cui sorgeva il telegrafo: abbiamo in effetti rinvenuto i resti dell'intonaco sui cui era poggiato il macchinario, i resti del muro perimetrale della casupola, di mattonelle della stessa e di tegole. Ma soprattutto, abbiamo trovato:

- due "T" (TELEGRAFO) incise nella roccia, rivolte verso i due telegrafi adiacenti,

- un bottone in ferro, arrugginito, con sopra quello che sembra essere un giglio borbonico (probabilmente smarrito da un ufficiale telegrafista) per il quale faremo una precisa perizia

- resti di piatti, zuppiere, vasellame in terracotta maiolicata in genere in uso nel'800, per i quali il Sig. Russo si occuperà di fare una perizia che dovrà stabilire la data certa.

La maggiorparte di questo materiale, così come diversi mattoni, sono stati rinvenuti anche a 20 metri di distanza, in tutte le direzioni, segno inequivocabile di un esplosione, certamente avvenuta durante i bombardamenti dell'ultima guerra: secondo i dati storici del nostro Armando Donato Mozer, responsabile del CSS per la provincia di Messina ed esperto di militaria, la stazione telegrafica borbonica fu fatta saltare la mattina del 15 luglio 1943 a seguito dei massicci bombardamenti inglesi, per terra e per mare, che alle 12.30 dello stesso giorno provocarono la caduta del caposaldo di Cozzo Telegrafo.

Finiti gli opportuni rilevamenti ed il sopralluogo, è stato esposto al pubblico un excursus storico del Regno delle Due Sicilie, è stata mostrata e spiegata la bandiera del Regno delle Due Sicilie così come la cartina telegrafica del Regno, oggetti rivelatisi particolarmente apprezzati come dimostra la salva di domande e curiosità a cui il sottoscritto ha riposto con piacere.
La stragrande maggioranza dei partecipanti era ignara della storia del Regno delle Due Sicilie e dei suoi primati, per questo la missione può dirsi più che compiuta.

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mercoledì 15 dicembre 2010

Riposto(CT) - Gli chiedono di eseguire l'Inno di Mameli, ma lui suona quello del Regno delle Due Sicilie



L'articolo, a firma di Salvo Sessa è apparso sul quotidiano LA SICILIA il 13 dicembre 2010.
I presenti raccontano che il maestro Di Donato, a conclusione del suo concerto all'organo, è stato invitato a suonare l'inno di Mameli. Con garbo si è rifiutato, optando, invece, per quello del Regno delle Due Sicilie.

La scelta sicuramente è stata dettata dallo strumento che suonava. Infatti, all'organo, l'inno di Paisello, "rende" molto meglio di quello savoiardo.
Infatti alla gente è molto piaciuto.


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lunedì 6 dicembre 2010

Alla ricerca del telegrafo ottico borbonico di Diavolodopera

 



Il Comitato Storico Siciliano, le associazioni Natura Sicula sez. Augusta e Marilighea hanno il piacere di invitare iscritti e simpatizzanti alla spedizione per la ricerca del telegrafo ottico di Diavolodopera, secondo alcuni documenti storici posto sulle alture di Cozzo Telegrafo, nei pressi di Augusta.

L'appuntamento è fissato per il 19 dicembre 2010 ore 09.30 a Piazza Fontana in Augusta(SR), indirizzo in cui è stato previsto il punto di raccolta.

Accompagnatore ufficiale alla spedizione sarà Ivan Alicata dell'associazione Natura Sicula, che ci condurrà sulle alture di Cozzo Telegrafo dove lo storico locale Italo Russo, per primo ad aver rinvenuto le tracce storiche della stazione telegrafica borbonica ci parlerà dei suoi studi.

Davide Cristaldi

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martedì 30 novembre 2010

Tommaso Romano. Dal Regno delle Due Sicilie al Declino del Sud



Riceviamo e pubblichiamo volentieri la segnalazione inviataci dall'autore siciliano
Buonasera, vorrei segnalare il mio ultimo libro pubblicato da Thule "Dal Regno delle Due Sicilie al Declino del Sud". Per maggiori informazioni www.tommasoromano.it, mentre per eventuali acquisti il libro è offerto dal sito www.tecnofferte.it. Ringrazio anticipatamente.

Cordialità

Tommaso Romano


Una nuova imperdibile pubblicazione di Tommaso Romano: "Dal Regno delle Due Sicilie al declino del Sud"

Pubblicato da Thule di Palermo (via Ammiraglio Gravina 95) il nuovo volume di Tommaso Romano "Dal Regno delle Due Sicilie al declino del Sud" (pp 104), un' analisi impietosa della crisi del meridione nata dalla conquista del sud di garibaldini e piemontesi, un ritratto dei principali protagonisti e delle loro contraddizioni, un indagine socio-economica e spirituale sulle reali condizioni del Regno delle Due Sicilie con la dinastia dei Borbone, continuatrice della più antica monarchia del sud. Il volume in sei agili capitoli è arricchito da citazioni illuminanti sulle condizioni pre post-unitarie del meridione, ed ha inoltre una selezione di canti e testi letterari del legittimismo fino a d'Annunzio e Pirandello. Conclude il saggio un ampia bibliografia con orientamenti bibliografici sui temi trattati e una ricca selezione di fotografie e documenti alcuni assolutamente inediti. Il libro non è solo un esame storico documentario, ma offre anche una prospettiva politico-economico sociale per il riscatto della Sicilia e del meridione. Ha scritto il noto filosofo Antonio Livi, Professore Emerito di Filosofia della Conoscenza alla Pontificia dell'Università Lateranense: "mi congratulo vivamente con il prof. Tommaso Romano per questo ben documentato lavoro che getta una nuova luce (di verità) sulla storia d'Italia e sulla lotta (militar-politica, oltre che culturale) al cattolicesimo".

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giovedì 25 novembre 2010

Dopo Giarre, spunta a Lentini un'altra Aquila Borbonica.


La storia

"In epoca Borbonica intorno il 1819(1) un ignoto artista lentinese in onore degli imminenti Festeggiamenti dei Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino Avvocati Fratelli e Patroni della Città, realizzò un vessillo con dipinto l'Aquila Reale con scudo squadrato"

L'arazzo borbonico di Giarre(CT)


(1)La data probabilmente è antecedente in quanto l'Aquila Borbonica rappresentò la Sicilia solo fino al 1816.

Ringraziamo Federico Franco per la segnalazione

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mercoledì 17 novembre 2010

(Marco Zambuto, sindaco di Agrigento) Il divario Nord-Sud nasce dopo l'Unità d'Italia




di MARCO ZAMBUTO

Come accade quando qualcuno, come il Presidente della Regione, pone un tema essenziale, trionfano retorica e denigrazione. Che è il modo per continuare a non sapere e lasciare che le cose scorrano come sempre. Interrogarsi sul valore da attribuire all'Unità d'Italia e alle sue conseguenze rimane un passaggio imprescindibile. Ecco perché, invece di sbandierare vuoti proclami o di indossare la maschera della sudditanza, occorrerebbe stare ai fatti, nella consapevolezza che non può esistere coscienza nazionale senza verità storica

Una storia di parte sarà sempre al servizio di una parte del paese. E l'UDC, come partito della Nazione, sa che la storia non è materia da lasciare agli storici e serve ad unire, non a dividere. Secondo un'autorevole tesi il divario tra Nord e Sud si sarebbe determinato a distanza di cinquant'anni dall'Unità d'Italia, a causa dell'industrializzazione del Nord-ovest.
Non si è però spiegato perché quell'industrializzazione sia stata limitata solo a determinate aree geografiche. Si trattò di un caso o di una precisa scelta strategica? E, per esempio, Mongiana (Calabria), una delle migliori industrie siderurgiche d'Europa, con 1.200 operai all'attivo, chiusa all'indomani dell'Unità, non rientrava forse in quella politica industriale che prevedeva, fin dall'unificazione, che un'area del paese dovesse produrre i beni ed un'altra li dovesse consumare? E tale industrializzazione non ha avuto bisogno di un sistema infrastrutturale (viario, ferroviario, portuale, energetico, ecc…) che si è infatti realizzato al Nord e non al Sud? E non continua ad averne bisogno ancora oggi? Senza dire che, dal punto di vista industriale, non è vero che, al 1861, esisteva un divario tra Nord e Sud. «La percentuale di popolazione attiva addetta all'industria era superiore al Sud che al Nord», ha scritto Amedeo Lepore.

Nel 1856, alla Mostra di Parigi, il Regno delle Due Sicilie veniva premiato come paese più industrializzato d'Italia. E, come hanno dimostrato Daniele e Malanima, i dati sui saggi salariali a Nord e a Sud, sia urbani che rurali, non rivelavano, al 1861, sostanziali differenze.
Tutto questo per dire che, sul piano industriale e infrastrutturale, sono state le scelte di politica economica post-unitarie a gettare le basi di quel divario che, inevitabilmente, ci portiamo appresso.
Il fascismo ha fatto solo il resto: da un lato, creando coi soldi pubblici l'IRI per salvare dalla crisi le grandi industrie del Nord e, dall'altro, obbligando, per esempio, i siciliani, che praticavano da tempo l'agricoltura specializzata, a tornare a produrre grano. Né l'Italia Repubblicana ha invertito la tendenza: si confronti quanto è stato speso al Nord e al Sud negli ultimi sessant'anni in scuole, strade, ferrovie, aeroporti, rete energetica, ecc…

La tanto vituperata Cassa per il Mezzogiorno spendeva ogni anno solo lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo.
Ma c'è un altro aspetto che non viene ricordato abbastanza e che è alla base di quello spaventoso fenomeno che ha svuotato di decine di milioni di persone le terre del Sud e che non si era mai conosciuto fino al 1861. Al Sud l'Unità d'Italia venne realizzata a vantaggio di una ristrettissima cerchia di proprietari terrieri. Lo Stato sabaudo confiscò le terre ecclesiastiche e demaniali e, infischiandosene della massa di contadini che reclamavano un pezzo di terra, le vendette per fare cassa a chi poteva comprarle. Con la conseguenza che una classe di ex gabelloti divenne più ricca e, nonostante le promesse di Garibaldi, venne impedito che nascesse una diffusa classe di piccoli proprietari terrieri. La conclusione drammatica fu la fine degli usi civici: ossia, di quell'istituto che per secoli, all'interno delle terre ecclesiastiche e demaniali, aveva consentito ai contadini di vivere. In conclusione, a volerli conoscere, i fatti dicono che la questione è reale e sentita. E che, i fatti, serve ricostruirli, metterli insieme ed evidenziare come gli uni non si spieghino senza gli altri. Serve soprattutto a capire che per troppo tempo i siciliani sono stati privati di quel complesso di infrastrutture necessario per sottrarsi all'infido giogo dell'assistenzialismo e per esprimere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio, quelle energie che, in breve tempo, lo porrebbero al pari di qualunque popolo d'Europa.

FONTE: http://www.gds.it/gds/sezioni/commenti/dettaglio/articolo/gdsid/134085/

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giovedì 4 novembre 2010

Generale Matteo Negri, un eroe borbonico siciliano



(Palermo, 21 giugno 1818 – Garigliano, 29 ottobre 1860)
Fonte: L'Alfiere

Il 29 ottobre del 1860, centocinquanta anni or sono, cadeva da eroe, sul ponte del Garigliano, difendendo l’arretramento difensivo dell’armata reale, il generale di Brigata Matteo Negri.

Nato a Palermo il 21 giugno 1818, primo di sei figli, dall’allora capitano Michele Negri, dei baroni di Paternò, e di Maria Antonia Termini dei duchi di Vaticani, entrò nel Real Collegio Militare della Nunziatella a soli 14 anni, il primo di ottobre del 1832. Ne uscì Alfiere dell’arma di Artiglieria il 1° marzo 1839.

Dotato di grande intelligenza, si dedicò allo studio della sua specialità e pubblicò testi di alto valore scientifico sulle nuove bocche da fuoco e sui fucili a canna rigata. Bruciò le tappe di una carriera più unica che rara. L’otto agosto del 1860 è promosso tenente colonnello ed il 7 settembre raggiunge Capua per obbedire al Sovrano.
Il nuovo comandante dell’Esercito Napolitano, generale Giosuè Ritucci, lo volle con sé, nominandolo sottocapo di Stato Maggiore. Il 19 settembre i garibaldini attaccarono su tutta la linea la piazza di Capua e Matteo Negri, comandando le artiglierie, diede prova di grande valore. Il 1° ottobre ancora onore e gloria per Matteo Negri. Il capitano Ludovico Quandel così lo definì: “Bravissimo sia per le cognizioni che possiede quanto per la fermezza e coraggio di cui è dotato, sarebbe stato utilissimo all’Esercito se i suoi consigli dati con militare franchezza fossero stati uditi. Egli però aveva trovati oppositori molti e tentennamenti oltremodo nocivi. Aveva ricevuto il comando superiore delle Batterie ed era perciò stato quasi allontanato dai consigli di guerra, sbaglio gravissimo e non solo”.

Il 18 ottobre l’esercito piemontese, forte di oltre quarantamila uomini, in violazione ai vigenti trattati di pace, attraversò la frontiera del regno, dagli Abruzzi, per soccorrere l’Esercito Meridionale di Garibaldi. L’avvenimento pose l’Esercito Napolitano nell’impossibilità di restare, in una stretta difensiva, al di là del Volturno presso la piazza di Capua. Fu perciò necessario farlo ritirare dietro un’altra linea difensiva più adatta alle nuove condizioni di forza.

Matteo Negri intanto è stato promosso colonnello e subito dopo Generale di Brigata. Dal 20 al 28 ottobre organizza l’arretramento difensivo di circa 19.000 uomini combattenti delle tre armi dell’esercito dal Volturno al Garigliano per stabilire la nuova linea di resistenza delle forze Napolitane.

Negli ultimi giorni di ottobre, il generale Cialdini, con una azione a sorpresa, cercò di passare il Garigliano con due reggimenti di lancieri, un reggimento di dragoni, 4 battaglioni di bersaglieri, appoggiati da 8 pezzi di artiglieria. In tutto poco più di 3.000 uomini. Il ponte in ferro sul Garigliano era difeso dal 3° e 4° Cacciatori e da un Battaglione del 3° di Linea, con il 14° Cacciatori di rincalzo, appoggiati da 24 cannoni da campo ed 8 pezzi da montagna. Sulla riva sinistra era in posizione avanzata il 2° Cacciatori con un paio di squadroni di Lancieri ed uno del 1° Ussari. Il Generale Matteo Negri aveva il comando dell’Artiglieria ed il generale Colonna il comando superiore. In questo scenario, il generale Matteo Negri viene mortalmente ferito in più parti del corpo. Noncurante delle gravi ferite continua a dare ordini, garantendo il passaggio dell’armata. Infatti, l’attacco frontale piemontese fu respinto e l’Armata Napolitana potè ripiegare, ordinatamente, verso Gaeta. Poco prima di spirare, mentre il cannone tuona vicino a lui, è attorniato dai primi soccorritori: il capitano Ludovico Quandel, il conte di Caserta Alfonso di Borbone, il capitano Raffaele D’Agostino. Tutto è ormai inutile. Il generale Negri rende l’anima a Dio confortato dai commilitoni.

Il Re Francesco II, appresa la ferale notizia stabilì: "Le sue rare virtù lo rendono degno di essere ricordato alla posterità; però dopo che avrà ricevuto in questa Piazza gli onori funebri, che troppo gli sono dovuti, saranno le spoglie racchiuse in un sepolcrale monumento che sarà eretto in questo Duomo".

Qui la lista in fase di completamento di tutti i siciliani che si distinsero con onore ed abnegazione nella difesa della loro patria

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martedì 26 ottobre 2010

(La Sicilia) Proposta di inserimento delllo stemma borbonico nel Gonfalone della Regione Siciliana




Gli studiosi messinesi, che si appellarono invano alla corretta realizzazione di uno stemma della Sicilia rispettoso della grande storia dell'Isola, protesa da sempre verso l'Europa per gli antichi legami con Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna e Spagna, presentarono all'allora Presidente della Regione Siciliana e per conoscenza al Re di Spagna, ai Presidenti della Repubblica Tedesca e della Repubblica Francese una dettagliata relazione con uno stemma ben preciso.
Le osservazioni dei componenti dell'Associazione Amici del Museo e del Rotaract Club di Messina, coordinati dal compianto araldista Principe Giovanni von Falkensburg, presentavano uno stemma composto dagli emblemi delle principali Case Regnanti dell'Isola......

......Infine, il quarto quarto, tre gigli d'oro in campo azzurro, due sull'altro, al bordo di rosso.
Elegante e regale stemma della dinastia Borbone che resse il Regno di Sicilia, insieme aquello di Napoli, dal 1735 al 1861.
Antico blasone dei Reali di Francia, i gigli o fiordalisi sono i più nobili fiori e rappresentano fin dalla loro origine la speranza, la purità, la chiara fama, il principe benigno ed il retto giudice.
Per concludere, gli studiosi messinesi auspicavano di collocare "sopra il tutto" o "nello scudetto del core" l'antico emblema del popolo siciliano, la mitica Triscele per aver così uno stemma corretto che racchiudesse in se tutta la grande storia di un popolo che per quasi un millennio fu Nazione. Non è mai troppo tardi per rivedere lo Stemma ed il Gonfalone della nostra nobile Terra, dato che, è noto l'interesse dell'attuale Presidente della Regione Siciliana per la riscoperta della storia dell'Isola.

Marco Grassi

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lunedì 25 ottobre 2010

(Video/Palermo) Conferenza e Messa su Francesco II ed i caduti duosiciliani



A cura di Alleanza Etica


Video della conferenza e della messa tenutasi a Palermo il 25 ottobre.
Interviste a Nino Sala(Alleanza Etica) e Antonio di Janni (Ordine Costantiniano sez. Sicilia)

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mercoledì 20 ottobre 2010

Sciacca. Anche l'Istituto Reale di Casa Savoja appoggia Maria Sofia

Lettere al direttore 19 Ott 2010 Sciacca: rispetto della storia

Il Comune di Sciacca ha deliberato di intitolare una piazza all'ultima Regina delle Due Sicilie, Maria Sofia von Wittelsbach, Principessa Reale in Baviera. Prima e dopo il voto dell'amministrazione comunale, l’Ircs, Istituto della reale casa di Savoia, ha sostenuto il doveroso omaggio alla consorte di Re Francesco II, figlio di Re Ferdinando II e della Venerabile Maria Cristina di Savoia. Oggi rinnoviamo il nostro pieno sostegno all'iniziativa, che s'inscrive nel ricordo della storia e si oppone alla diatriba creata da alcuni consiglieri comunali che hanno pubblicamente minacciato di far decadere l'amministrazione comunale se il sindaco renderà esecutiva la delibera, con il pretesto che intitolare una piazza alla Regina Maria Sofia, intersecante con Via Salvador Allende, infangherebbe il leader cileno. Una motivazione chiaramente ideologica, lontana dalla ragione e dal buon senso.
Chiediamo a tutti di non strumentalizzare il progetto e di non confondere la storia del Meridione, alla quale i Borbone hanno tanto contribuito, e dell'Italia con quella di un leader che non tutti giudicano allo stesso modo. Un personaggio che si dichiarava marxista ed ha inciso sulla vita di uno Stato sovrano che ha fortunatamente ritrovato la necessaria democrazia. Alla vigilia del 150esimo anniversario della proclamazione del Regno d'Italia, auspichiamo che si possa giungere presto alla condivisione, con buon senso, di un patrimonio storico nazionale, al quale tutti gli italiani hanno diritto. Il gioco al massacro della nostra memoria storica non giova a nessuno, mentre danneggia tutti e tende a privare le generazioni future di una parte essenziale del patrimonio comune, senza la quale l’identità nazionale non può dirsi completa.

Convinto del necessario superamento di posizioni antiche o anacronistiche e politicizzate, l’Ircs ringrazia l'amministrazione comunale di Sciacca per la sua doverosa iniziativa, invitandola a rendere esecutiva al più presto la delibera ed assicurando la sua presenza all'evento storico-culturale dedicato alla prozia della Regina d'Italia Maria José.

Alberto Casirati, presidente Ircs

fonte: http://agrigentonotizie.it/lettere-al-direttore/sciacca-rispetto-della-storia_53450.php

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venerdì 15 ottobre 2010

Maria Sofia. Lettera di protesta al Prefetto di Agrigento




Egr. Sig. Prefetto

Data la complessità e la delicatezza della questione, chiedo alla S.V. di concedermi un colloquio dove io possa esporLe tutto il risentimento di parte della città di Sciacca per il “quantomeno strano” comportamento del Sindaco.
Le dico anche che questa diatriba doveva già essere stata risolta, “solo” se il Sindaco avesse provveduto a spedire, (per l’approvazione definitiva dati tutti i pareri favorevoli avuti dalla delibera, dal registro di Storia Patria alla Toponomastica, alla Giunta che hanno votato a favore ed all’unanimità, trattandosi di Storia, non di politica, e regolarmente pubblicata), al Prefetto Dr. Postiglione la delibera in questione, cosa che non fu e non è stata fatta. Dato che ritenendo di essere nel giusto, e capito che c’era qualcosa sotto mi ero premurato di scrivere sia al Prefetto Postiglione, sia al Presidente della Repubblica.
Ora il Presidente della Repubblica chiese “lumi” al Prefetto di AG, il quale non avendo ricevuta alcuna delibera, chiese “lumi” al sindaco di Sciacca. Da quel momento non sappiamo più nulla, ecco perché mi rivolgo a Lei, affinchè Lei intervenga presso il Sindaco di Sciacca, perché questi si decida a dare applicazione alla delibera oppure a revocarla, motivandone il ritiro. Ho preferito non scrivere di nuovo al Presidente Napolitano, almeno non ancora, per evitare di dare conferma ai denigratori, di come si amministra la “cosa pubblica” nel Meridione. Ma se il Sindaco se ne dovesse infischiare, continuando a violare la Legge, che a quanto mi hanno riferito, una delibera non può essere “trattenuta” o le viene data attuazione o viene ritirata, motivandone il ritiro.
A Sciacca questo “trattenimento” dura ormai da più di 6 mesi.
La delibera in questione è la n° 88 del 14 aprile 2010
In attesa di un favorevole riscontro alla mia richiesta di avere un colloquio con la S.V. , anche per farLe esaminare tutta la documentazione e per potersi orientare un questa intricata vicenda.

Pino Marinelli – Sciacca


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mercoledì 13 ottobre 2010

Resoconto della commemorazione di Francesco II a Palermo




A cura del movimento Alleanza Etica di Nino Sala.

Cari amici il 29 settembre scorso si è svolta la solenne commemorazione dei caduti duosiciliani e dell'ultimo Re delle Due Sicilie Francesco II che ha visto una grande partecipazione di popolo e di autorità.

Siamo soddisfatti per la riuscita dell'evento e ringraziamo tutti coloro che sono intervenuti. Per l'occasione ci sono arrivati diversi messaggi di auguri e di apprezzamento verso l'opera difficile che da sempre portiamo avanti da parte di diverse istituzioni come dai comuni di Castronovo di Sicilia e Ficarazzi, dalla provincia di Palermo a firma dell'assessore Eusebio Dalì, dal comune di Pontelandolfo in provincia di Benevento (luogo della più grande strage di cittadini del sud ad opera dei piemontesi compiuta il 14 agosto 1861), dal sottosegretario ON. Gianfranco Miccichè e da sua Altezza Reale il principe Carlo di Borbone Due Sicilie duca di Castro. Ringraziando tutti loro per la sensibilità mostrata ne pubblichiamo i messaggi.



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Convegno duosiciliano a Palermo




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lunedì 11 ottobre 2010

(VIDEO) Discorso del responsabile messinese del CSS, Armando Donato Mozer
























Il vessillo borbonico torna a sventolare sul Castello Ruffo
Domenica 3 ottobre alle ore 10.30, presso il palazzo del Principe di Scaletta, a Scaletta Zanclea (ME)

Nell’ambito della Giornata Nazionale alle ore 10.30, dopo l’inaugurazione della nuova sezione museale, sempre all’interno del medievale Castello di Scaletta in occasione del “Bicentenario dello Sbarco Francese in Sicilia prontamente respinto dagli abitanti di Mili, Galati, S. Stefano e Briga“, che gode del Patrocinio del Comune di Messina, dell’Istituto Italiano dei Castelli e del Sovrano Militare Ordine Costantiano di San Giorgio, si è tenuta la conferenza sulle Fortificazioni della Riviera Jonica Peloritana tra il XVIII e il XIX Secolo.

Evento organizzato dall'associazione "Amici del Museo di Messina"



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venerdì 17 settembre 2010

167° anniversario della colonizzazione di Lampedusa e Linosa



Appuntamento a Lampedusa per la rievocazione dello sbarco dei soldati borbonici, ad opera dell'associazione culturale "Reggimento Real Marina" di Caltanissetta.

1843. Il 22 settembre il capitano di fregata cavaliere Bernardo Maria Sanvisente prende possesso delle isole di Lampedusa e di Linosa con la carica di "governatore di S.M. Ferdinando Il di Borbone, re del regno delle Due Sicilie, gran principe ereditario di Toscana, duca di Parma, Piacenza,Castro” ecc. ecc. (1810-1859). Come primo atto conferma agli enfiteuti, Gatt di Malta Fernandez, le sentenze di revoca già notificate nel 1839. Sanvisente si era imbarcato a Palermo il 18 settembre a bordo del Piroscafo Rondine con le istruzioni del re di costituire Lampedusa e in «colonia della real Casa di Borbone e di “costituirvi la novella ne con lo incivilimento del nuovo paese da edificarsi (cfr. Sanvisente, 1849). Giunto a Girgenti (Agrigento) il 19 settembre, prosegue per Lampedusa il 21 settembre insieme con il vapore L'Antilope recando con sé autorità ecclesiastiche e amministrative, gente di varie arti e mestieri con autorità di guardie urbane e sanitarie, un distaccamento militare al comando di un ufficiale. Le navi arrivano a Lampedusa alle ore 13 dei giorno seguente e colte da 24 maltesi, capeggiati da un certo Fortunato Frenda «che sposato una figlia di Salvatore Gatt. Pochi giorni dopo i maltesi, a eccezione di qualcuno, lasciano l'isola tornare a Malta e Fortunato Frenda si trasferisce con la famiglia sulla costa tunisina, il 6 marzo 1844. Inizia cosi la felice colonizzazione borbonica delle due isole.

1843/47. Con i piroscafi del governatore Sanvisente erano arrivate a Lampedusa 120 persone di cui 90 uomini e 30 donne, in maggior parte agricoltori e gli altri artigiani. Per questa popolazione iniziale sono subito costruiti sette edifici (i “Sette Palazzi”) con dieci appartamenti ciascuno, allineati di W: porto, cinque altri edifici isolati su una seconda linea parallela alla prima, e dieci altri sparsi qua e là, per un totale di 30 termine dei cinque anni salirono a 90. Altre opere pubbliche di prima necessità vennero approntate: l'olio, pastifici, magazzini viveri e granaglie, uffici sanitari, militari e doganali (“ricevitore di dogana” don Leopoldo Bracci, “persona di molto garbo”), il cimitero, l'ampliamento della chiesa esistente. L'incremento della popolazione di coloni durante i cinque anni successivi (1843-1847) è stato da 120 a 2.150.

Il 23 giugno 1847 Lampedusa riceve per la prima volta la visita delle reali maestà Ferdinando II e sua moglie, accompagnati dal real principe don Francesco di Paola.

Il Sanvisente descrive con aulica enfasi la visita che, a quanto sembra, fu improvvisa e inattesa: “Gli amati nostri Signori fecero sperimentare a tutti la loro munificenza e le loro largizioni furono ripartite alla nascente colonia. Mostraronsi a tutti con quella gaiezza ed affabilità che tanto distinguono i nostri Sovrani e il Re con la sua approvazione ci permise che a preferenza si fosse vantaggiata la classe delle nubili onde incoraggiare e favorire i matrimoni” Dice Carlo Secondat barone di Montesquieu, nello Spirito delle Leggi (Milano, 1819): “Ella è una regola cavata dalla natura che quanto più si scemano i matrimoni che far si potrebbero tanto più si corrompono quelli che sono fatti; quanto minor numero si ha di coniugati tanto minor fedeltà regna nei matrimoni"

“Fondato su tali principi pur troppo savi, mi è stato uopo aumentare per quanto possibile i mezzi di travaglio e sussistenza degli individui ad ogni sorte di arti e mestieri onde non fare che s'imbruttiscano nel vizio e nella incrudelita rozzezza, le quali cose, al dir di Senofonte, corrompono i corpi dì coloro che l'esercitano, obbligano a sedersi all'ombra o presso al fuoco, e non hanno tempo né per gli amici né per la società.”

“Molte cose vide la Maestà Sua in compagnia dell'inclito ed impareggiabile Principe di Satriano e tutto ciò che potette osservare lo fece minutamente. Abbenche in momento di sorpresa e di inaspettata visita senza essere per nulla preparato, fu immenso il gaudio nostro nel ricevere la sua piena approvazione e le gentili espressioni prodigate dalla rara bontà della sullodata Reale Altezza. E noi ci auguriamo ora delle novelle disposizioni per lo sollecito progredimento delle cose che restano a farsi”

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mercoledì 8 settembre 2010

Il feudalesimo in Sicilia nel periodo borbonico


Il feudalesimo in Sicilia

Nel panorama politico siciliano, i Borbone furono gli unici ad impegnarsi realmente nel combattere i residui di feudalità che ancora funestavano il popolo. Lo strapotere di principi e baroni era tale che il processo si svolse troppo lentamente, ma ciò bastò ai regnanti per essere malvisti e combattuti dalla casta baronale isolana.

Da Carlo di Borbone a Ferdinando IV, fu un susseguirsi di leggi atte a limitare il potere feudale e persino di togliere loro le terre, come la la Prammatica XXIV del 1792, ma sempre con scarsi risultati.

Tra i vari decreti contro la feudalità (la cui abolizione era stata confermata nel 1816, con la fondazione del Regno delle Due Sicilie) si ricordano, appunto, quelli del 11 dicembre 1816 e 19 dicembre 1838.
Ecco il decreto del 1838:

Decreto relativo al compimento dell'abolizione della feudalità, ed allo scioglimento de' dIritti promiscui in Sicilia.

Palermo, 19 Dicembre 1838.

FERDlNANDO II. Per Grazia Di Dio RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DI GERUSALEMME OC. DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO CC. CC. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA ECC. ECC. ECC.

Vedali i reclami che durante il nostro giro per le provincia della Sicilia ci sonò stati presentati dalle popolazioni, le quali hanno implorato la esecuzione delle leggi abolitive della feudalità , la pronta decisione delle annose cause pendenti fra' comuni e gli antichi loro feudatarii, lo scioglimento delle promiscuità , e la ripartizione delle terre per poterle chiudere e migliorare;

Considerando che l'agricoltura non può prosperare senza la proprietà assoluta di ogni fondo che dia il diritto di vietarne altrui l'ingresso.; che le terre non acquistino valore dove non esistano molti agiati coltivatori che l'amore della proprietà affezioni al suolo ; che le vaste contrade, nude, deserte, o mal coltivate che s'incontrano in Sicilia, nonostante la loro feracità naturale, ed il favore del clima , non potranno esser migliorale finché durerà la esistenza di più padroni sullo stesso fondo ;

Volendo accelerare la esecuzione delle leggi che da epoche remole hanno proscritta la indicata condizione delle proprietà, perniciosa egualmente alla pubblica prosperita , al ben essere delle popolazioni , ed agli stessi grandi proprietarii ;

Veduti i rapporti del nostro Luogotenente generale e degl'Intendenti, i voti de'Consigli provinciali, ed i pareri della Commissione nominata a quest' oggetto da Noi a' 17 del prossimo passato novembre, e riunita a Palermo;

Veduto l'articolo 9 della legge degli 11 di dicembre 1816, col quale fu conservata l' abolizione della feudalità in Sicilia, ugualmente che negli altri nostri domini continentali ;

Vedute le disposizioni della legge fondamentale dell'amministrazione civile del 12 dello stesso mese ed anno;

Abbiamo risoluto di decretare , e decretiamo quanto segue.

Art. 1. Gli Intendenti delle provincie della Sicilia verificheranno rigorosamenie , comune per comune , se vi esistano, e si esercitino ancora da qualsivoglia ex-feudatario, o corpo morale, o avente causa da essi , alcuno de' dritti feudali aboliti, e ne faranno distinto rapportò al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, il quale prenderà i nostri ordini proponendoci le misure da adottare.

2. Non credendo espediente che un tribunale di eccezione decida delle liti fra' comuni ed i loro antichi feudatarii, successori, o aventi causa, continueranno queste ad esser giudicate da' tribunali ordinarii ; ma i nostri procuratori generali e procuratori regii assumeranno da ora innanzi la difesa de' comuni , come parte principale, senza escludere però l'assistenza di qualunque interessato. Essi provocheranno quindi di uffìzio la spedizione de'giudizii; e per l'organo del nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia informeranno il nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, mese per mese, dello stato delle cause che difendono, del loro valore, e del successo.

3. Gli Intendenti delle stesse provincie procederanno allo scioglimento delle promiscuità ed alla divisione de' demanii comunali colle facoltà accordate loro nell'articolo 177 della legge del 12 di dicembre 1816, ed a norma del real decreto del primo di settembre 1819. Ne'casi di dubbio gl'Intendenti chiederanno l'avviso del nostro procurator generale presso la gran Corte de' conti di Palermo , il quale è incaricato di dar loro tutte le occorrenti dilucidazioni , e di corrispondere per questo ramo di affari col nostro Ministro Segretario di Stalo degli affari interni, cui sarà tenuto dar conto di ogni dubbio proposto e risoluto.

4. Lo stesso procurator generale sulle basi delle istruzioni approvate col decreto de' 10 di marzo 1810 formerà il progetto di quelle che dovranno servir di norma agli Intendenti per lo scioglimento delle promiscuità, per la divisione delle terre demaniali appartenenti ad ex-feudatarii, o a corpi morali di qualsivoglia titolo o denominazione, sulle quali i cittadini hanno esercitato gli usi civici, e per la suddivisione in quote fra i più poveri della parte che in compenso di tali usi ne sarà spettata a' comuni. Il progetto del procurator generale sarà proposto dal Ministro Segretario di Stato degli affari interni alla nostra sovrana approvazione fra il termine improrogabile di mesi due, inteso il Luogotenente generale.

5. Tutte le promiscuità non ancora sciolte, è quelle il di cui scioglimento non si trovi definitivamente approvato, lo saranno colle norme indicate ne' due articoli precedenti nel più breve tempo possibile, sotto la immediata responsabilità degl'Intendenti, i quali nella fine di ogni mese daranno conto al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni del progresso e de' risultamenti di tutte le indicate operazioni.

Quanto alle promiscuità, il di cui scioglimento trovasi già pronunziato ed approvalo, e per le quali sia stato accordato a' comuni un canone annuale in vece di terreni, vogliamo che ogn' Intendente esamini in Consiglio d'Intendenza colla massima diligenza e posatezza se sieno stati lesi i dritti imprescrittibili delle popolazioni che erano in possesso dell'esercizio degli usi per lo sostegno e pe' comodi della vita, se sia stato tradito lo spirito della legge che avea in mira di formar nuovi proprietarii, di favorire l'agricoltura, e dare un effettivo compenso degli usi civici in una quota delle stesse terre da distribuirsi a' più poveri. Del risultamento di ogni esame sarà diretto al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni ed al nostro Luogotenente generale un pieno e distinto rapporto, che ci sarà da essi rassegnato per le opportune risoluzioni. Questi rapporti verranno sottoscritti dall' Intendente e da tutti i consiglieri d'Intendenza.

6. Tutte le disposizioni contrarie a quelle del presente decreto sono abrogate.

7. I nostri Ministri Segretarii di Stato di grazia e giustizia e degli affari interni, ed il nostro Luogotetenente generale in Sicilia sono incaricati della esecuzione del presente decreto, ciascuno per la parte che lo riguarda.

Firmato, FERDINANDO.

Consigliere Ministro di Stato

Presidente interino del Cons. de' Ministri

Firmato, Marchese Ruffo.



Nella Legge Costituzionale del 1812 emanata dal Parlamento Siciliano fu scritto esplicitamente che la feudalità era abolita, ma leggendo bene gli articoli, si capisce che i feudi erano stati in realtà semplicemente trasformati in proprietà private, a disposizione dei baroni:

Ecco un estratto:

"XI. Che non vi saranno più feudi, e tutte le terre si possederanno in Sicilia come in allodii(1), conservando però nelle rispettive famiglie l’ordine di successione, che attualmente si gode. Cesseranno ancora le giurisdizioni baronali; e quindi i baroni saranno esenti da tutti i pesi, a cui finora sono stati soggetti per tali diritti feudali. Si aboliranno le investiture, relevi, devoluzioni al fisco, ed ogni altro peso inerente ai feudi, conservando però ogni famiglia i titoli e le onorificenze.

6 Cessando la natura e forma de’ feudi, tutte le proprietà, diritti e pertinenze per lo innanzi feudali, rimaner debbono, giusta le rispettive concessioni, in proprietà allodiale presso ciascun possessore. Placet."

Infatti, a differenza di Murat che nel 1806 aveva abolito la feudalità motu proprio, in Sicilia la legge abolitiva fu emanata dal parlamento Siciliano e dunque dai baroni.

I danni creati da una legge scritta da "controllori che erano gli stessi controllati" non tardarono ad evidenziarsi: i contadini che fino ad allora avevano usufruito degli usi civici delle terre feudali adesso non potevano più farlo, mentre i baroni forti di tale acquisizione si sentivano sempre più potenti.

Quella Costituzione che fu fatta passare per "opera di modernizzazione", altro non era che un furto alle popolazioni contadine, che in quegli anni raggiunsero il livello più basso e vergognoso della povertà.

Ecco infatti cosa si scrisse a proposito della legge del 1812:

"coloro che l'avevano sancita furono i primi a frustrarne l'applicazione" ed ancora...."Nulla di strano che dalle ulteriori dicharazioni del Parlamento spuntassero fuori restrizioni, che attenuavano i danni che la predetta abolizione avrebbe portato agli ex baroni" (Società siciliana di storia patria, 1933)

Ma d'altronde, cosa dovevano ammodernizzare questi baroni visto che "per due secoli neanche un singolo ponte fu costruito o riparato in questo paese di monti, valli e correnti torrentizi, e il denaro raccolto svaniva in conti incomprensibili o addirittura inesistenti" (Storia della Sicilia medievale e moderna, 1983) tant'è che nel 1820 non esisteva ancora una strada che collegasse Trapani con Palermo (Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione umana , 2002)

Tra i compiti della Deputazione del Regno di Sicilia vi era infatti la gestione e l’amministrazione delle strade, dei ponti, e del sistema delle Torri costiere della Sicilia.

Come potè compiere Re Ferdinando, il grave errore di firmare quella legge, ben sapendo che avrebbe provocato quei danni?Probabilmente la convinzione di aver perso per sempre la parte continentale del Regno, a vantaggio dei francesi, lo stato di subalternità nei confronti dei principi siciliani e delle truppe inglesi, che ben presto trasformarono la sua permenenza a Palermo in una prigione dorata.

A perorare questa tesi fu l'affronto dell'esiliazione, voluta dagli inglesi, della regina Maria Carolina.

(Spesso si legge che i Borbone istituendo il Regno delle Due Sicilie con una fusione di quello Napolitano e quello Siciliano, avevano tradito i Siciliani e dunque che il loro trono fosse decaduto, ma alla luce di questi fatti e della Costituzione del Regno delle Due Sicilie nel 1816 - avvenuta peraltro con un accordo ufficiale tra le Potenze al Congresso di Vienna, che lo riconobbero - si capisce come mai il Parlamento Siciliano fu abolito ed abrogata la Legge Costituzionale del 1812.)



La vicenda della "feudalità" tuttavia non si concluse mai, dopo il 1838 seguirono nuovi decreti e decreti interpretativi, perchè il potere delle baronìe era troppo forte ma tanto bastò a portare in Sicilia i moti del '48 (con l'appoggio di Francia ed Inghilterra) e creare un regno indipendente svincolato dai Borbone.

Stesso registro del 1860, ma con attori diversi vedi Garibaldi ed i Savoja.

Ma l'annosa questione del baronaggio ha radici lontane, essa infatti ha inizio quando Federico III d'Aragona, concesse alle baronie siciliane diritti su diritti per convincerle a sostenere la sua guerra contro gli Angioini, per la riconquista di Napoli.

Nelle Leggi costituzionali Fredericiane "Si Aliquem et Volontes", fu istituita per i baroni la "commerciabilità dei feudi"(2) che consentiva loro di venderli, acquistarli o cederli, insomma una forma di proto-privatizzazione: "Questa disposizione, a causa anche della cattiva interpretazione che ne venne data, creò una vera e propria anarchia baronale favorendo l'illegalità" (Terre, casali e feudi nel comprensorio barcellonese, 2009) .

Infatti il vero fine delle ricche concessioni elargite era l'ottenimento dell'appoggio militare ed economico dei baroni per l'aggressiva politica estera di Federico, il quale era ansioso di recuperare il maltolto (Napoli) in mano agli Angiò, forte delle rivolte anti-angioine che si erano verificate nelle province del Sud continentale come Reggio Calabria ed in Puglia e che portarono, in una determinata fase, le armate Aragonesi a prendersi la Calabria, la Basilicata e a dare persino battaglia agli angioini nelle acque del golfo di Napoli.

(1)Allodio=bene posseduto in piena proprietà

(2)Ad apportarne le prime limitazioni fu proprio Ferdinando di Borbone con la Prammatica del 1788.


Davide Cristaldi

Comitato Storico Siciliano

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200° DELLA CACCIATA DELLE TRUPPE FRANCESI DA PARTE DEGLI ABITANTI DI MILI(ME)




Un anno di iniziative per commemorare degnamente il 200° della cacciata delle Truppe Francesi da parte degli abitanti di Mili e dei Casali limitrofi.
Duecento anni fa, il 18 Settembre 1810, gli abitanti di Mili e dei vicini Casali bloccarono energicamente un tentativo di sbarco delle truppe francesi di Gioacchino Murat sulla spiaggia di Mili.

Un episodio importantissimo della nostra storia, unico nel sui genere in Europa, dove il popolo in modo compatto respinse l'invasione delle truppe di Napoleone Bonaparte per difendere la propria Patria, il proprio Re e la propria Fede. L'Associazione Amici del Museo di Messina, in sinergia con l’Istituto Italiano dei Castelli e l’Ordine Costantiniano di San Giorgio, ha in programma varie iniziative, che si svolgeranno per tutto l'anno, per ricordare degnamente questa significativa pagina di eroismo ed amor patrio per troppo tempo dimenticato e ignorato.

PROGRAMMA:

- Venerdì 17 Settembre 2010, Messina, Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca - Conferenza Stampa di Presentazione delle Iniziative;
- Sabato 18 Settembre 2010
- Domenica 3 Ottobre 2010


Associazione Amici del Museo di Messina

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giovedì 2 settembre 2010

I consiglieri di sinistra bloccano Maria Sofia a Sciacca



Borbone, nuova polemica
Pino Marinelli si dimette per protesta dalla Commissione toponomastica

L'amministrazione comunale «dimentica» di adottare una delibera e lui si dimette dalla Commissione toponomastica. Pino Marinelli, 60enne saccense di origini pugliesi, ha riacceso con le sue dimissioni la polemica riguardante l'intitolazione di una pizzetta cittadina a Maria Sofia Wittelback, principessa del regno di Baviera e sposata nel 1859 con il Borbone ultimo re del regno delle Due Sicilie. Dopo la deliberazione della giunta municipale, la piazzetta adiacente al viale Salvador Allende non è mai stata intitolata alla regina dei Borbone, con grave disappunto di Marinelli, che oltre ad essere componente della commissione toponomastica, è anche segretario regionale del comitato delle Due Sicilie [oggi Comitato Storico Siciliano, aderente alla rete delle Associazioni delle Due Sicilie ndr]

All'epoca, nel giugno scorso, scoppiò una feroce polemica, con ambienti della sinistra locale che si opponevano all'intitolazione della piazzetta ad un personaggio borbonico. La delibera venne praticamente sospesa, ma non annullata, ed i proponenti (c'era stata anche una raccolta di firme pro Maria Sofia) hanno atteso fiduciosi: «Io mi dimetto per affermare l'inutilità della Commissione toponomastica - dice Marinelli - non avendo la stessa la libertà di idee storiche e sociali, costretta a sottoporre le proprie decisioni al benestare di ambienti politici di sinistra che sostengono il sindaco. La Giunta - continua - ha votato all'unanimità una delibera di intitolazione di un pezzo di marciapiede, sconfessandola di fatto, prendendola e chiudendola in un cassetto per non dispiacere a certi politici».
Marinelli aveva contestato tale scelta ed aveva scritto al presidente della Repubblica in persona: «So che la vicenda è finita nelle mani del prefetto - dice - e con essa la mia richiesta di adottare la delibera n° 88 del 14 aprile 2010 esitata all'unanimità dalla giunta comunale di Sciacca, con cui chiedevo di sapere se vi fossero delle illegalità. Il Presidente della Repubblica si è rivolto al prefetto per avere notizie della famigerata delibera - aggiunge - ma l'atto non sarebbe mai arrivato ad Agrigento».
Marinelli è pronto a dare nuovamente battaglia, si chiede per quale motiva si osteggia la memoria di una figura storica dell'Italia, quando in città ci sono vie intitolate a tanti altri popoli che da invasori hanno stazionato in Sicilia: «Mi pare che ci siano addirittura intitolate a persone che sono state giudicate tiranni - conclude - vedremo come andrà a finire».
Mesi fa, in città erano nato un movimento che contestava l'iniziativa di Marinelli.

Giuseppe Recca, 29/08/2010

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giovedì 12 agosto 2010

MORTE DELL’INQUISIZIONE (di Amelia Crisantino - Repubblica)




In un libro di Vittorio Sciuti Russi la storica decisione di Ferdinando, re ammirato nell’Europa della ragione

IL BORBONE ILLUMINISTA CHE MISE FINE AGLI ORRORI

di Amelia Crisantino

C’è stato un momento in cui tutta l’Europa colta parlava della Sicilia. E - per una volta - non per criticarla. Gli intellettuali ne erano incuriositi e l’additavano come esempio, nelle corti si lodava il coraggio del suo re. La regina, poi, veniva descritta come amica degli illuministi e dei massoni. Una vera sovrana dalla mente libera, che esprimeva le sue opinioni senza aspettare il permesso del confessore.
Ferdinando e Maria Carolina erano giovani, si presentavano alla ribalta internazionale con un gesto eclatante: in Sicilia avevano trovato il coraggio di cancellare il tribunale dell’Inquisizione, erano i nuovi campioni della lotta contro l’oscurantismo. Il futuro avrebbe provveduto a deludere le attese ma nel 1782 - ’anno in cui l’Inquisizione di Sicilia viene abolita - i Borbone di Napoli hanno tutte le carte in regola. Non solo per figurare fra i riformatori, ma per essere indicati come modello da imitare.

Uno studio dello storico Vittorio Sciuti Russi su “Inquisizione spagnola e riformismo borbonico fra Sette e Ottocento” (edito da Olschki, 371 pagine, 39 euro)
Ricostruisce con molta cura il dibattito europeo sulla soppressione del "terrible monstre", facendoci quasi entrare nel crescendo culminante il 16 marzo 1782. Quel giorno, Ferdinando firma un decreto abolitivo molto argomentato: il sovrano si richiama alla purezza della religione cattolica nell’Isola, dove mai avevano messo radici le eresie professate in Europa, e accusa il Tribunale di operare con procedure segrete contrarie al diritto comune. Il decreto - che era un modello anche di "buona comunicazione" - riepilogava gli ultimi avvenimenti. Da Napoli, la monarchia aveva chiesto che venissero riformate le procedure segrete che rendevano temibile il Tribunale, e l’Inquisitore generale aveva opposto un diniego. L’ultimo Inquisitore era un palermitano, nella testimonianza di numerosi viaggiatori figurava come uomo tollerante e affabile. Ma, compreso nel suo ruolo di Inquisitore generale, Salvatore Ventimiglia dichiarava al Re che "l’inviolabilità del segreto" era l’anima dell’Inquisizione e si irrigidiva nelle sue posizioni: il Tribunale non era riformabile, "sarebbe meglio opprimerlo che cambiar la forma della processura". Il decreto reale parlava tutt’altro linguaggio, adoperava parole che esprimevano la più matura cultura giuridica illuminista: per il re, gli abitanti del Regno di Sicilia non potevano "ingiustamente restare oppressi", ed era un dovere della sovranità procurare che vivessero "liberi da ogni timore di violenza".

A Palermo, ad accogliere ed esaltare le decisioni sovrane troviamo il viceré Domenico Caracciolo. Il quale celebra la cerimonia dell’abolizione come una solennità civile, coinvolge le più alte cariche del Regno e si porta appresso anche il marchese di Villabianca: quasi come un cronista, direttamente nella sua carrozza per fargli osservare tutto dalla prima fila. E nei Diari Villabianca dettagliatamente tramanda gli avvenimenti, le parole di Caracciolo e gli umori degli invitati; sino a scrivere "ce la spassammo tutti facendo corte alla persona del principe". Unica preoccupazione, che la "real clemenza" di Ferdinando mantenesse nei loro stipendi gli impiegati di quello che - negli ultimi tempi - era sembrato più un carrozzone di sottogoverno che un terribile tribunale. Villabianca segue le vicissitudini dei licenziati, ce le racconta: alcuni mantennero intero lo stipendio, altri ebbero il mezzo soldo. Con le rendite della soppressa Inquisizione si istituirono quelle che Domenico Scinà avrebbe chiamato "tre cattedre vistose": si finanziò l’insegnamento della fisica sperimentale, della matematica e dell’astronomia. Dove prima venivano consumati i roghi dell’Inquisizione, si pensò a impiantare un Orto Botanico.

Era un altro mondo, quello della ragione, che metteva le sue radici. Scrive Sciuti Russi che, nell’Europa dei Lumi, la soppressione del Tribunale siciliano rinvigorì la fiducia nel trionfo della ragione. La cerimonia di Palermo era stata celebrata il 27 marzo e dopo soli tre giorni, da Roma, Pietro Verri annunciava al fratello che il viceré Caracciolo aveva ottenuto dal sovrano la cancellazione del Tribunale. Nell’Europa colta Caracciolo era più conosciuto di re Ferdinando, e a lui venne dato il merito di una scelta che ribaltava l’immagine dell’isola. La ricostruzione storica avrebbe mostrato che si trattava di decisioni prese alla corte di Napoli, ma era stato il viceré a dargli risonanza internazionale: era bastata la lettera - riportata da Sciuti Russi in appendice al volume - in cui raccontava al suo amico d’Alembert cos’era accaduto, pubblicata sul “Mercure de France” del primo giugno 1782 e poi ripresa da altri giornali e libri. L’opinione pubblica internazionale mostra la sua forza laica e il riformismo dei Borbonedelle Due Sicilie era ovunque riconosciuto e ammirato, diventava un modello per l’Europa.

A Palermo intanto, abolito il Tribunale, tutti gli interessi sono puntati sulle sue carte. Cosa fare di un archivio che contiene le prove di tante complicità, crimini e diffuse connivenze? Lo stesso Inquisitore generale suggerisce di rendere eterno il silenzio, bruciando le carte assieme ai simboli del Tribunale. Ferdinando risponde ordinando di trasferire a Napoli l’archivio segreto. A questo punto i siciliani tergiversano, poi finiscono per appigliarsi a un argomento sempre decisivo: "l’ingente spesa che v’abbisogna".
Le carte piene di "scabrosissime materie", rischiavano di divulgare quanto con tanta cura si era mantenuto segreto. E come speciale grazia fu chiesto di "poter mandare alle fiamme coll’ultima circospezione tutte le carte". Così il 27 giugno 1783, più di un anno dopo l’abolizione ufficiale, un grande falò consumava la memoria storica del Tribunale. Bruciavano carte che - nelle parole del marchese di Villabianca - Dio liberi se fossero commerciate, era lo stesso che infettare e imbrunire di nere note molte e molte famiglie di Palermo".

Amelia Crisantino
Giornalista di Repubblica redaz. Palermo e ricercatrice storica

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martedì 20 luglio 2010

Approfondimento sulle tradizioni borboniche nel territorio di Naso



Il Comitato Due Sicilie di Naso(ME) ha il piacere di invitare amici ed iscritti al convegno sulle "Tradizioni borboniche nel territorio di Naso", domenica 25 luglio 2010 alle ore 17:00.

Nel corso della serata, si svolgerà l'inaugurazione del comitato locale a cura della reponsabile Katiuscia Cormaci.

Interverrano i relatori dott. Rifici Filippo e Alessandra Grasso dell'Università di Messina.

Ospiti Fiore Marro e Davide Cristaldi rispettivamente presidente nazionale e coordinatore per la Sicilia dei CDS.

L'evento si concluderà con una degustazione di prodotti tipici del Sud.

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giovedì 15 luglio 2010

Un telegrafo ottico borbonico sulla Torre Carlo V



Grazie alla mappa della Rete telegrafica del Regno delle Due Sicilie è stato scoperto che anche Porto Empedocle era dotata di una stazione telegrafica, in comunicazione con quella agrigentina situata sulla “Rupe Atenea”(1).
Mentre ad ovest, si ergeva il telegrafo di “Realmonte”(probabilmente situato sulla torre di Monte Rosso) in contatto diretto con quello di “Molo di Girgenti”.

La ricerca
Affinchè ogni telegrafo possa essere correttamente visibile a lunghe distanze è necessario che la struttura non abbia alle spalle (background) colline, alberi, case in quanto le sue esili braccia rischierebbero di non essere ben distinte, ragion per cui ogni telegrafo era posizionato in modo da avere sempre come“sfondo” il cielo o il mare. In questo modo si riusciva ad ottenere il necessario “contrasto”.

Un altro metodo per affinare la ricerca di una stazione telegrafica, consiste nel verificare se nel presunto punto telegrafico è possibile vedere i luoghi in cui si troverebbero i telegrafi adiacenti.

La torre di Carlo V sembrerebbe il punto migliore in cui ospitare un telegrafo, infatti dalla sua sommità è possibile vedere le stazioni telegrafiche sopracitate, inoltre un eventuale nave che volesse comunicare telegraficamente con la Torre, non avrebbe problemi di “contrasto”, come dimostra il fotomontaggio.

Alcuni testi vengono in aiuto di questa tesi.
Scrive ad esempio l’Amico: “Costruivasi nel 1732 un camposanto presso la sommità della Rupe Atenea nella quale è istallato un telegrafo, come altro è anche posto nel molo”(2).

Nel’800 la Torre di Carlo V era conosciuta come “Regia Fortezza del Molo di Girgenti” ed era presidiata da una guarnigione borbonica. E’ noto che nel 1806 il tenente colonnello Federico Omodei inventò un codice per segnalare alle forze militari della zona, eventuali sbarchi nemici o barbareschi(3).
Dunque già prima dell’avvento del telegrafo ottico l’edificio era utilizzato per l’avvistamento e le comunicazioni.

(1)Dizionario topografico della Sicilia - Vito Amico, Gioacchino di Marzo - Vol. I - Palermo - 1855 - pag.529
(2)Ivi
(3)Comunicazioni e Trasmissioni – Pippo Lo Cascio –Rrubettino - pag. 194

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mercoledì 23 giugno 2010

Alla ricerca del telegrafo ottico di "Reginella"



La delegazione di Messina del Comitato Storico Siciliano ha il piacere di invitare iscritti e simpatizzanti alla spedizione per la ricerca del telegrafo ottico di "Reginella", secondo alcuni documenti storici posto sulle alture di Messina, nei pressi di Portella Castanea.

Guida ed accompagnatore della spedizione, che si terrà domenica 25 luglio 2010, sarà Armando Donato Mozer, guida turistica e responsabile messinese del Comitato Storico Siciliano.


L'appuntamento è alle ore 09:00 dinnanzi la Stazione FS di Messina Marittima.
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lunedì 21 giugno 2010

Via Maria Sofia e Piazza Francesco II a Castelvetrano(TP)



Caro Presidente, Compatrioti ed Amici,
un altro passo avanti nella riconquista della nostra memoria storica è stato fatto.
Il passo fatto oggi è di estrema importanza nella nostra storia, in quanto la Città di Castelvetrano e vicinissima a Marsala, dove tutt'ora lo stato italiano stà sperperando milioni di Euro per festeggiare una unità d’italia(1) alla quale ormai credono(?) “solo” il napoletano di Roma e tutti gli addetti ai lavori (leggasi Sgarbi & Compari) che incassano prebende milionarie da dispensare ad amici, parenti ecc.

L’evento è stato suddiviso in due parti.

La prima si è svolta nell’aula consiliare del comune di Castelvetrano, presieduta, dal Vice Sindaco di Castelvetrano, nonché Assessore agli Affari Culturali, il Professore Francesco Saverio Calcara, il quale ha spiegato ai numerosi presenti il perché della manifestazione(2). Dopo l’intervento del Vice Sindaco ha parlato l’Ambasciatore di Casa Borbone, il quale ha proceduto a leggere il messaggio di “gioia e soddisfazione” di S.A.R. Carlo di Calabria per l’intitolazione della Piazza a Francesco II di Borbone e della via attigua alla Regina Maria Sofia.

Al termine della lettura del messaggio si è proceduto alla consegna della Medaglia d’oro al Gonfalone della città e un Diploma nel quale viene conferito alla Castelvetrano il titolo di “Città”. Dopo l’intervento dei rappresentanti della legazione siciliana di Palermo del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Dr. Di Janni e della rappresentanza Vaticana la riunione si è spostata nei siti per l’inaugurazione per la seconda parte della Cerimonia.

Oltre alle suddette Autorità erano presenti:
il Corpo dei Vigili Urbani in Grande uniforme
L’arma dei Carabinieri
La Guardia di Finanza
La Polizia di Stato,
Il Corpo della Croce Rossa con le Crocerossine
E numerosi collaboratori in abito d’epoca
Rai tre Sicilia e Sicilia Uno emittente di Palermo che hanno ripreso la manifestazione.
Onore alla Città di Castevetrano e alla sua Amministrazione.

Castelvetrano 19 giugno 2010Pino Marinelli
Segretario (pro tempore)

1) Le minuscole sono intenzionali.

2) Nota: Il Prof.Calcara ha tenuto a precisare che per evitare problemi con l’ufficio della storia patria inserendo il cognome “Borbone” aveva scritto che la via sarebbe stata intitola a Maria Sophia di Baviera e non Borbone. Ebbene l’ufficio della storia patria ha restituito la delibera, per una correzione ovvero: Si prega di sostituire quel “di Baviera” con Maria Sophia di Borbone, in quanto la Baviera non ha nulla a che fare con la Storia del Sud.

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mercoledì 9 giugno 2010

La raccolta firme per l'abolizione di via Cialdini a Riposto su La Sicilia




"Sindaco, cambi il nome della via intitolata a Cialdini"
"Per troppi anni la via di Riposto è stata intitolata al generale Enrico Cialdini, assassino di tanti figli del Sud! Ponete rimedio a questo scempio: i morti gridano ancora vendetta dalle loro tombe!Sindaco, provveda, lo chiedono i siciliani, lo chiede la Verità, lo chiede la Storia!".
E' una delle tante e-mail che, ogni giorno, arrivano da tutta Italia al sindaco Carmelo Spitaleri, perchè cambi la denominazione della strada cancellando il nome di Cialdini "che non esitò a mettere a ferro e fuoco interi paesi del Sud, passando per le armi uomini, donne e bambini".

Messaggi che sono frutto dell'appello lanciato dal "Comitato Due Sicilie" [oggi Comitato Storico Siciliano, aderente alla rete delle Associazioni delle Due Sicilie ndr] che ha fatto propria la richiesta avanzata a marzo da un cittadino di Torre Archirafi, Rosario Pistorio.Cialdini mostrò la sua ferocia come luogotenente dell'ex regno borbonico con il cannoneggiamento di Mola di gaeta e degli eccidi compiuti in due paesi del Sannio: Casalduni e Pontelandolfo.
"Alla luce delle istanze che sono pervenute contenenti la richiesta di annullare l'intitolazione della strada al Gen. Cialdini - assicura Spitaleri - posso annunciare che stiamo prendendo in considerazione l'ipotesi di modificazione dell'intitolazione della strada nel più ampio contesto di una revisione della toponomastica generale"

SALVO SESSA

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venerdì 28 maggio 2010

Sul Regno delle due Sicilie e sulla resa della Cittadella


Articolo uscito sul settimanale Centonove

Vi scrivo per segnalarti l'articolo che ho letto sul vostro settimanale, anzi gli articoli alle pagina 40-41 a firma di Marino Rinaldi sulla commemorazione di Garibaldi.
Il signor Rinaldi nella stessa pagina scrive due articoli contraddittori e diversi riguardo l'ingresso di Garibaldi a Messina.
Testualmente cita così:"Dopo la sconfitta di Milazzo il generale borbonico Clary fece ritirare le sue truppe dalla Sicilia.
Il 25 luglio 1860 venne firmata la resa dei borboni ed il giorno successivo Garibaldi ottenne la resa della Cittadella".


Nel secondo articolo invece riporta che tutti i presidi borbonici "caddero il 12 marzo 1861".
In verità il primo ordine dato dal De Clary circa il ritiro borbonico nella cittadella è datato 24 luglio 1860. lo stesso pomeriggio le truppe garibaldine avrebbero attaccato quelle borboniche presso la torre Rizzo e Puntale Pistorio.
La notte del 24 quasi tutto l'esercito duosiciliano era riunito presso il piano di Terranova e la Real Cittadella e dislocato negli ultimi avamposti della zona falcata.
il 26 luglio con il patto De Clary-Medici fu sancito il definitivo abbandono borbonico dei restanti presidi di Gonzaga, Castellaccio e torre del Faro con imbarco per la Calabria o il trasferimento presso la zona falcata nei presidi di Don Blasco, Cittadella, batteria della lanterna e SS. Salvatore.

Il Garibaldi entrerà a Messina sollo il 27 luglio, ad accordi conclusi.
Messina fu l'ultima roccaforte duosiciliana di Sicilia e la penultima del regno, arrendendosi soltanto il 12 marzo 1861, con applicazione dell'ordine di resa la mattina del 13.
La resistenza duosiciliana di Messina ai piemontesi durò dunque ben 8 mesi, mentre l'ultima roccaforte del Regno delle Due Sicilie fu Civitella che si arrese il 20 marzo 1861, tre giorni dopo la proclamazione ufficiale del regno d'Italia.

Amando Donato
Responsabile Comitato Storico Siciliano - Messina

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giovedì 20 maggio 2010

Pubblicazione delle prime firme per via Maria Teresa a Riposto


Cari amici, allego le prime mail ricevute e vi invito a continuare a scrivere al Sindaco di Riposto, Dott. Carmelo Spitaleri, all'indirizzo:

sindaco@comune.riposto.ct.it

ed, importante, in copia conoscenza a:

comitato@comitatosiciliano.org

Chiedete al sindaco di rimuovere il nome di Cialdini da quella via di Riposto e ripristinare l'antica intitolazione alla regina Maria Teresa, regina delle Due Sicilie.

Seguono le firme.

Egr. sig. Sindaco, sarebbe per Ella motivo di orgoglio, ripristinare la
intitolazione della Piazza della Sua Città a Maria Teresa,
Regina delle Due Sicilie, cancellando quella dedicata ad uno di più feroci
criminali della Storia moderna.
Questo è l'accorato appello di un uomo dl Sud.
Con osservanza

Vito Nigro
Villa Castelli (Brindisi)
--

Si prega di ripristinare il nome della via di Riposto una volta dedicata a Maria Teresa, regina delle Due Sicilie e moglie di Ferdinando II, modificata tanti anni orsono con "Via Enrico Cialdini".
Non abbiamo nessun interesse a mantenere questo nome che ci ricorda solo massacri e lutti.
Grazie.
Cordialmente.
Domenico Blasi

--

Scrivo in risposta alla lettera del Sig. Pistorio di Riposto, apparsa su LA
SICILIA il 15 marzo 2010, perchè desidero condividere la sua proposta di
modificare il nome della via intitolata al generale Cialdini ed invitando
tutti nel contempo ad una serena riflessione sui presunti " meriti ? si
possono chiamare tali i suoi interventi così crudeli, eccessivi, esagerati?"
del militare piemontese e se questi siano sufficienti per rappresentare una
via a Riposto.
Le sarei veramente grato Sig. Sindaco se anche Ella si facesse carico di
rivedere le gesta di questo milite e agisse di conseguenza. Distinti
Ossequi.
Comm. Lo Presti prof. Santi.

--

Egr. Sig. Sindaco,
Le invio la mia firma per il ripristino della via
di Riposto al nome della regina Maria Teresa e quindi alla definitiva
cancellazione del nome di Cialdini. In fede
Gaetano (Nino) Alimenti

Comitati Due Sicilie Lombardia
Forza e Onore

--

Egregio Dott. Spitaleri,

La prego di voler "cacciare" dalla Sua città quel criminale di guerra di Cialdini, un vile macellaio, chiamato da Crispi a stroncare le rivolte contadine.

Ci aiuti Signor Sindaco a farci restituire l'Onore che ci hanno tolto rendendo giustizia a Maria Teresa di Borbone.

Pino Marinelli

Segretario Regionale Comitati Due Sicilie
Sciacca (AG)

--

al Sindaco di Riposto, Dott. Carmelo Spitaleri

Egr, sig, Sindaco,
con la presente intendo chiedere il suo cortese interessamento affinchè
venga ripristinato il nome di un'antica via di Riposto una volta dedicata a
Maria Teresa, regina delle Due Sicilie e moglie di Ferdinando II, che fu
modificata tanti anni orsono con "Via Enrico Cialdini".

Una riflessione seria ed imparziale sulle figure storiche che hanno
caratterizzato il nostro passato, oltre a restituire una dignità storica a
questa città, sarebbe l'occasione per i ripostesi di conoscere qualcosa in
più del loro passato e del periodo storico risorgimentale che, sebbene portò
alla cosiddetta Unità, fu foriera di lutti, di veri e propri sterminii, di
sangue e di altri abusi, dei quali Cialdini fu certamente uno dei principali
autori.

Le brutalità del Generale Cialdini furono talmente eccessive che persino i
suoi soldati ne rimasero inorriditi. Ecco cosa scrisse nel suo diario un
bersagliere valtellinese e commilitone di Cialdini durante i fatti di
Pontelandolfo: "Entrammo nel paese. Subito abbiamo cominciato a fucilare
preti e uomini, quanti capitava, indi i soldati saccheggiavano e infine
abbiamo dato l'incendio al paese, abitato da circa 4.500 persone... Quale
desolazione! Non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale
rumore facevano quei poveri diavoli, che la sorte era di morire chi
abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case".

Per tanto, mi affido alla sua sensibilità umana, alla sua indubbia cultura
ed amore per la verità, alle competenze specifiche che scaturiscono dalla
sua carica istituzionale.

Ringraziandola vivamente le esprimo la mia più sentita gratitudine.
Con osservanza

Angelo Tinì

--

Egregio Signor Sindaco,
La prego di voler ridare all'attuale via Enrico Cialdini il suo antico nome e cioè quello di via Maria Teresa regina delle Due Sicilie.
Grazie
Nestore Spadone
Bari

--

Per il Sindaco di Riposto Dott. Carmelo Spitaleri

Le scrivo questa brevissima lettera per chiderLe di ripristinare l’antico
nome della via oggi dedicata al generale Enrico Cialdini e dedicarla
nuovamente alla regina delle Due Sicilie Maria Teresa moglie di Ferdinando II

Grazie per l’attenzione,
L. Angelo

--

Gentilissimo signor Sindaco Spitaleri,

con la presente la invito di tutto cuore a cambiare il nome a una strada della vostra bellissima cittadina, la strada sarebbe la via Enrico Cialdini, la mia ( nostra proposta) sarebbe
di chiamarla via Maria Teresa, che come si sa fu una Regina delle due Sicilie cioé la consorte di Re Ferdinando II Re delle due Sicilie.
Anche se i Borboni certamente non sono stati i migliori regnanti della nostra bellissima terra, se lo meritano sicuramente di piú di Cialdini che fú un sanguinoso Generale Piemontese, che portó morte e distruzzione a Sciacca cosí come in tutta la Sicilia e il Sud.

La ringrazio anticipatamente e le porgo i miei gentili saluti
Andrea Giuffré

P.S. spero che tutti i sindaci Siciliani prendono esempio dal Sindaco sindoni di capo D'orlando, un uomo , un patriota della nostra terra

--

Ho appreso con orrore e costernazione che a RIPOSTO, ameno comune della costa Catanese, quindi cittadina del Sud, c'è una via, pure importante che porta sul lungomare, intitolata " Via Generale(sic!) Enrico Cialdini".
Ma come si fa ad intitolare una strada ad un "criminale di guerra", ad un "macellaio" che senza rimorso alcuno e senza pietà, dalla sera alla mattina ha fatto massacrare paesi interi di gente del Sud ( Pontelandolfo, Casalduni,) facendo passare per le armi tutti gli abitanti (donne,anziani e bambini compresi)?. Come si può "onorare" un pavido che durante l'assedio di Gaeta si faceva forte della maggiore gittata dei suoi cannoni rigati per starsene al sicuro dal pericolo e che ,pur quando si stava concordando la capitolazione e firmare la resa, ha fatto sempre continuare a bombardare la città ( e l'ospedale) causando ancora morti inutili e innocenti? E che poi,invece,nella terza guerra d'indipendenza, si dimostrò vile e pavido al cospetto degli austriaci, senza mai attaccarli ma indietreggiando sempre?
E a quest'uomo, che tanti morti causò al Sud, a quest'uomo che si esprimeva in "francese", a quest'uomo che considerava la gente del Sud " beduini peggio degli Africani" e "Caffoni" (con due effe), il Sud, il nostro magnifico Sud, gli intitola pure una strada?.

Da Wikipedia ENRICO CIALDINI
La lotta contro il brigantaggio
( I partigiani e gli insorti del Sud li chiamarono Briganti )
..... In una seconda fase, comandò una dura repressione messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro centri abitati: cannoneggiamento di Mola di Gaeta (oggi è un rione di Formia) del 17 febbraio 1861, eccidio di Casalduni e Pontelandolfo, nell'agosto 1861. L'obiettivo strategico consisteva nel ristabilire le vie di comunicazioni e conservare il controllo dei centri abitati. Gli strumenti a sua disposizione venivano, nel frattempo, incrementati, con l'istituto del domicilio coatto e la moltiplicazione delle taglie. Le forze a sue disposizione consistevano in circa 22 000 uomini, presto passate a cinquantamila unità nel dicembre del 1861.
A cavallo degli anni 1862 e 1863 le truppe dedicate alla repressione vennero aumentate sino a centocinquemila uomini (circa i due quinti delle forze armate italiane del tempo) ...

....Nel corso della Terza guerra d'indipendenza ebbe il comando di una delle due armate italiane, quella schierata a sud del Po verso Mantova e Rovigo. Per tutta la prima parte della guerra non assunse alcuna posizione offensiva, limitandosi a dimostrazioni, sino a neppure iniziare l'assedio della fortezza austriaca di Borgoforte, a sud del Po.....

Valutazioni complessive del personaggio
...La figura di Cialdini fu tra quelle maggiormente osannate dalla propaganda Sabauda, anche per controbilanciare le figure di Mazzini, più ancora di Garibaldi, più in generale per contrapporre un Risorgimento monarchico ad un Risorgimento democratico anche sul piano delle figure militari, dei condottieri. Recentemente, nel clima di critica di tutta la storia unitaria d'Italia, alcuni autori, spesso ispirati da opposta e ancor più limitante finalità politico-ideologica più che da reale volontà di storici, hanno teso a inquadrare la figura di Cialdini come fra le più negative della vicenda risorgimentale, in particolare per il ruolo avuto nella violenta repressione del brigantaggio meridionale...

Faccio appello alla sensibilità del Sindaco e della Giunta tutta ma sopratutto alla solidarietà che unisce tutta la gente del Sud affinchè venga posto immediato rimedio a questo obbrobrio.

Nunzio Porzio (nupo) da Napoli 27/04/2010

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Magari si riuscisse in quest’altro tentativo di togliere di mezzo un’ulteriore targa toponomastica ad un altro criminale del “risorgimento”; saremmo veramente sulla buona strada. Siamo con te, Sindaco.
Antonio Claudio Amitrano – Quarto Flegreo (NA) *

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"Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia. Dopo di che il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è stato. E il mondo attorno a lui lo dimentica ancora più in fretta".
Milan Kundera

Un criminale di guerra non merita intitolata una via.

De Luca Luigi

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Gent.mo Dott. Carmelo Spitaleri, Sindaco di Riposto

chiedo di ripristinare l'antico nome di Maria Teresa, regina delle Due
Sicilie e moglie di Ferdinando II e congedare per sempre il generale
Cialdini.

grazie.

Giacinto De Santis

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Egregio Dott. Spitaleri,
Le scrivo in merito all'iniziativa di Rosario Pistorio volta al cambio di denominazione dell'odierna Via Cialdini. Sembrerà inutile e superfluo, ma voglio anch'io sottolineare che il generale modenese fu un criminale di guerra macchiatosi di efferati delitti perpetrati ai danni dal popolo delle Due Sicilie. Costui venne a completare l'opera di conquista dei suoi predecessori, mise a ferro e a fuoco le nostre città, ordinò massacri, sevizie e saccheggi, poiché per lui la nostra era una terra da assoggettare, poiché per lui il nostro era un popolo da sottomettere. Nessuna città dovrebbe ricordare nella propria toponomastica un così bieco personaggio; nessuna una città del nostro antico stato dovrebbe ricordare nella propria toponomastica un così bieco personaggio; Riposto non dovrebbe ricordare nella propria toponomastica un così bieco personaggio. Come ha scritto Rosario Pistorio, mantenere detta denominazione alla via de quo suona come un'offesa al buon senso: sarebbe opportuno cambiarla intitolando la strada una personalità che meglio possa rappresentare i valori della sicilianità.
Cordiali saluti
dott. Giuseppe Bartiromo
(Cava de Tirreni)

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Egregio Sindaco, Iniziativa Tutti aderisco promossa dai "Comitati Due Sicilie"

"Una Causa di Strada Nuova intitolazione della "Via Enrico Cialdini ",
Dedicandola a, Maria Teresa, regina delle Due Sicilie, moglie di Ferdinando II.

Ci Pensi bene!

vitinatronnolone@virgilio.it

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Scrivo in risposta alla lettera del Sig. Pistorio di Riposto, apparsa su LA SICILIA il 15 marzo 2010, perchè desidero condividere la sua proposta di modificare il nome della via intitolata al generale Cialdini ed invitando tutti nel contempo ad una serena riflessione sui presunti meriti del militare piemontese e se questi siano sufficienti per rappresentare una via a Risposto.

Sono certo che la scelta di dedicare una via ad Enrico Cialdini, causa l'eccessiva enfatizzazione dell'epopea risorgimentale, fu imparziale e troppo frettolosa, per di più avvenuta a scapito di altri personaggi dell'epoca, sicuramente più degni.

Una riflessione seria ed imparziale sulle figure storiche che hanno caratterizzato il nostro passato, oltre a restituire una dignità storica a questa città, sarebbe l'occasione per i ripostesi di conoscere qualcosa in più del loro passato e del periodo storico risorgimentale che, sebbene portò alla cosiddetta Unità, fu foriera di lutti, di veri e propri sterminii, di sangue e di altri abusi, dei quali Cialdini fu certamente uno dei principali autori.

Le brutalità del Generale Cialdini furono talmente eccessive che persino i suoi soldati ne rimasero inorriditi. Ecco cosa scrisse nel suo diario un bersagliere valtellinese e commilitone di Cialdini durante i fatti di Pontelandolfo: "Entrammo nel paese. Subito abbiamo cominciato a fucilare preti e uomini, quanti capitava, indi i soldati saccheggiavano e infine abbiamo dato l’incendio al paese, abitato da circa 4.500 persone... Quale desolazione! Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli, che la sorte era di morire chi abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case"

Nel condividere la iniziativa, viedo al Sindaco che legge di considerare l'effettiva portata, sul piano identitario meridionale, dell'uso di nomi NON NOSTRI ai fini di intitolare strade, piazze, corsi, gallerie, ecc ...., che molto hanno contribuito a demolire la Nostra forte identita Merdionale.

Ing. Vincenzo Mogavero
Via Breccia, 4
84080 - Capezzano Salerno

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Ill.mo Sig. Sindaco di Riposto, Dott. Carmelo Spitaleri,
La invito a ripristinare l'antico nome dell'odierna via Enrico Cialdini alla
nostra Regina Maria Teresa, moglie del Re Ferdinando II del Regno delle Due
Sicilie.
Conoscere e non Rinnegare la propria storia è la condizione essenziale per
ritenersi un Popolo.
Certo che vorrà approvare questa richiesta La ringrazio fin da ora.
Dr. Andrea Monteleone

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Appoggio all'iniziativa

Paolo Guaglione

Editoria & Comunicazione Multimediale s.r.l.

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Trovo giusta liniziativa, alla quale mi asocio, di intitolare una via a
Maria Teresa, regina delle Due Sicilie, piuttosto che lasciarla intitolata
al generale Cialdini, massacratore di gente del Sud.

Fabio Manfredi Selvaggi

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La Presente per chiedere di ripristinare l'antico nome della via attualmente dedicata al generale
Enrico Cialdini, affinchè ritorni ad essere intitolata a Maria Teresa, regina delle Due Sicilie.


Grazie mille
cordiali saluti Giovanna Belmonte

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Gentile Sindaco, è indecoroso e disdicevole che le vie, piazze ecc. siano ancora intitolate a chi, con il sangue ed atrocità varie, ha debellato un regno illuminato per quei tempi. Non è azzardato affermare che i vari Cialdini, Piva, Garibaldi sono stati i primi esecutori di eccidi di massa dei tempi moderni. Le inutili stragi di Pontelandolfo e Casalduni (solo anziani e donne), i martiri di Fenestrelle e di tante altre valorose popolazioni del Regno, per non dimenticare la piazzaforte di Messina, ultimo baluardo a salvaguardia del Regno ci impongono una seria riflerssione circa il proceso unitario e le celebrazioni del prossimo anno. Via Cialdini dalle strade ed inseriamo SAR Maria Teresa. Non dimentichiamo l'ultima valorosa Regina, S.A.R. Maria Sofia, che fino alla Sua morte ha difeso l'onore del Regno curando i soldati napoletani nella terza guerra d'indipendenza al fianco degli austriaci per combattere coloro che avevano annientato il loro regno ma non la loro dignità.

ANTONI SOPRANO

SI VIS PACEM PARA CORDA

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Gentile Dott. Spitaleri,
la invito a rimuovere l'intitolazione al generale piemontese Enrico Cialdini e ripristinare l'antica via dedicata alla regina Maria Teresa delle Due Sicilie.

Mi appello al suo buon senso ed all'amore che prova per la nostra terra, affinchè anche nella toponomastica sia fatta giustizia e reso onore a chi merita la nostra riconoscenza.

Cordialità
Davide Cristaldi
Comitato Due Sicilie sez. Sicilia

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Egr. sig. Sindaco.
Il sig. Cialdini fu solo un mediocre soldato piemontese che nulla portò
alla nostra terra, se non spiacevoli fatti bellici, e che quindi non merita di
essere ricordato in terra siciliana. Ritengo sia sicuramente più dignitoso
intitolare la Piazza della Sua Città a Maria Teresa Regina delle Due Sicilie.

Grazie
Cordiali Saluti

Armando Donato ( Messina )

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Al signor sindaco di Riposto, Carmelo Spitaleri io Messina Rosario, segretario
della regione Calabria dei Comitati delle due Sicilie, chiedo alla S. V. di
voler prendere in considerazione, di voler rimuovere il nome di Cialdini da qua
ella via di RIPOSTO, e voler ripristinare l'antica intitolazione alla regina
Maria Teresa, regina delle due Sicilie.. certo del suo amore per la sua terra,
ed anche lei consapevole che Cialdini è stato un uccisore di meridionali,
nostri fratelli.

Distinti Saluti.

Saro Messina

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Signor Carmelo Spilateri, Sindaco di Riposto,

Appoggio la richiesta dei suoi concittadini per la sostituzione dell
intitolazione della strada a Cialdini.
Questo personaggio non conosceva ne amava ne ha dato lustro alcuno alla
città che Ella governa. Il suo nome è stato imposto per il servizio reso ai nuovi conquistatori
sabaudi, per cancellare la memoria storica dei cittadini del Sud (ex Regno Borbone)
Lascio che si presenti con le sue parole :
« Enrico Cialdini, plenipotenziario a Napoli, nel 1861, del re Vittorio. In
quel suo rapporto ufficiale sulla cosiddetta "guerra al brigantaggio",
Cialdini dava queste cifre per i primi mesi e per il solo Napoletano:
8 968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati;
10 604 feriti;
7 112 prigionieri;
918 case bruciate;
6 paesi interamente arsi;
2 905 famiglie perquisite;
12 chiese saccheggiate;
13 629 deportati;
1 428 comuni posti in stato d'assedio. »

Con Ossequi Rosalba Valente

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Egr. Sig.Sindaco,
da siciliana, mi vergogno profondamente che una delle vie del paese di cui lei è primo cittadino, porti il nome di un feroce massacratore di inermi duosiciliani.
Per questo motivo, le chiedo di rimuovere il nome di Cialdini da una delle vie del suo paese, ripristinando l'antica intitolazione alla regina Maria Teresa, regina delle due Sicilie. Grazie.
Cordialmente
prof.ssa Benedetta Bonaccorso

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Egregio Dott. Carmelo Spitaleri,

Sto riscoprendo da pochi anni la storia della mia terra, una storia cancellata dai libri di scuola,
una storia troppo scomoda e quindi ancora attuale e rivelatrice delle vere cause della questione meridionale
e delle ragioni della ingiusta dicotomia economica Nord-Sud.

Mi rivolgo a Lei per invitarla, in qualità di sindaco di Riposto, a rimuovere il nome di Cialdini dalla via della Sua città
e ripristinare l'antica intitolazione alla regina Maria Teresa, regina delle Due Sicilie.

Non riesco a credere come fa quel generale ad avere ancora oggi delle vie intitolate proprio in quei territori, che
considerava abitati da "beduini affricani" e quindi meritevoli di quegli efferati eccidi di cui si è macchiato.
Ha fucilato e messo a ferro e fuoco il mio paese anche il giorno di Natale, mentre le donne e i bambini andavano
a messa. E' notizia di oggi che Bronte è stata esclusa dalle celebrazioni del 150esimo con la evidente volontà di
omettere pagine vergognose della nostra storia. Ricorrenze tese al festeggiamento senza macchia e non alla riflessione e alla riconciliazione.

RingraziandoLa anticipatamente, Le porgo i più sentiti saluti.

Alfonso Vellucci

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