mercoledì 7 maggio 2008

La reazione borbonica ed anti-piemontese in Sicilia e l'ipertassazione del nuovo governo.


La statistica di fine anno 1861, fatta dagli occupanti piemontesi, indicò che nel solo secondo semestre vi erano stati 733 fucilati, 1.093 uccisi in combattimento e 4.096 fra arrestati e costituitiDovunque erano diffuse la paura, l’odio e la sete di vendetta. L’economia agricola impoverita, quasi tutte le fabbriche erano state chiuse e il commercio si era inaridito in intere province. La fame e la miseria erano diventate un fatto comune tra la maggior parte della popolazione.

Il 1° gennaio 1862 in Sicilia insorse Castellammare del Golfo al grido[1] di "abbasso la leva, morte ai liberali, viva la repubblica". Furono uccisi il comandante collaborazionista della guardia nazionale, Francesco Borruso, con la figlia e due ufficiali. Case di traditori unitari vennero arse. Strappati i vessilli sabaudi, spogliati ed espulsi i carabinieri. Le guardie e i soldati accorsi da Calatafimi e da Alcamo furono battuti e messi in fuga dai rivoltosi. Il 3 gennaio arrivarono nel porto la corvetta “Ardita” e due piroscafi che furono accolti a cannonate, ma con lo sbarco dei bersaglieri del generale Quintini i rivoltosi furono costretti alla fuga. I piemontesi fucilarono centinaia di insorti tra cui alcuni preti. A Palermo comparirono sui muri manifesti borbonici e sulla reggia fu messa una bandiera gigliata, ed in pochi giorni si contavano più di 300[2] arrestati nel solo capoluogo.

A Marsala, durante la caccia ai patrioti siciliani, le truppe piemontesi circondarono la città e arrestarono oltre tremila persone, per lo più parenti dei ricercati, comprese donne e bambini, che furono ammassate per settimane nelle catacombe sotterranee vicine alla città, in condizioni disumane, dove erano prive di luce e di aria.

Proprio in gennaio furono abolite le tariffe protezionistiche per effetto delle pressioni della borghesia agraria del Piemonte e della Lombardia. Queste disposizioni dettero il colpo di grazia alle industrie dell’ex Reame provocando il definitivo fallimento degli opifici tessili di Sora, di Napoli, di Otranto, di Taranto, di Gallipoli e del famosissimo complesso di S. Leucio, i cui telai furono portati qualche anno dopo a Valdagno, dove fu creata la prima fabbrica tessile nel Veneto. Vennero smantellate, tra le altre attività minori, le cartiere di Sulmona e le ferriere di Mongiana, i cui macchinari furono trasferiti in Lombardia. Furono costrette a chiudere anche le fabbriche per la produzione del lino e della canapa di Catania. La disoccupazione diventò un fenomeno di massa e incominciarono le prime emigrazioni verso l’estero, l’inizio di una vera e propria diaspora. Con gli emigranti incominciarono a scomparire dalle già devastate Terre Napoletane e Siciliane le forze umane più intraprendenti.

A questo grave disastro si aggiunse l’affidamento degli appalti (e le ruberie) per i lavori pubblici da effettuare nel Napoletano ed in Sicilia ad imprese lombardo-piemontesi che furono pagate con il drenaggio fiscale operato dai piemontesi. La solida moneta aurea ed argentea borbonica venne sostituita dalla carta moneta piemontese, provocando la più grande devastazione economica mai subìta da un popolo.

A Catania vi fu un’insurrezione lo stesso 18 maggio, ma fu rapidamente repressa dalle truppe piemontesi che massacrarono 49 civili.

Il 30 giugno 1862, la banda dei patrioti comandata dai fratelli Ribera partì da Malta e sbarcò a Pantelleria, allo scopo di liberare l’isola dai piemontesi e per ripristinare il governo borbonico. Con l’aiuto di tutta la popolazione, i patrioti compirono numerose azioni contro i traditori collaborazionisti e le guardie nazionali che prevaricavano sulla gente.

Nell'agosto, in Pantelleria la banda Ribera non riuscì in un tentativo di giustiziare il sindaco, connivente dei piemontesi, ma inflisse numerose perdite ai reparti piemontesi che li inseguivano. L’imprendibilità e le quasi sempre vittoriose azioni dei patrioti di Ribera indussero i piemontesi ad inviare nell'isola altra 500 soldati sotto il comando del feroce colonnello Eberhard, già sperimentato in azioni di controguerriglia nel continente.

A Pantelleria, nel frattempo, i piemontesi, che avevano instaurato in tutta l’isola una feroce legge marziale, riuscirono a convincere quasi quattrocento isolani a collaborare con le truppe savoiarde. Formate tre colonne, il colonnello Eberhard, governatore militare dell’isola, fece avanzare il 18 settembre le truppe a raggiera per setacciare tutta l’isola. I patrioti erano nascosti in una profonda caverna posta quasi sulla sommità della Montagna Grande a 848 metri si altezza, in una posizione imprendibile, ma traditi da un pecoraio furono circondati e dopo una sparatoria, in cui morirono alcuni piemontesi, furono costretti ad arrendersi a causa del fumo di zolfo acceso davanti alla caverna che aveva reso l’aria irrespirabile. I patrioti ammanettati, laceri e smunti, furono fatti sfilare nelle strade di Pantelleria al suono di un tamburo e col tricolore spiegato, tra ali di gente commossa fino alle lagrime. Tutte le spese dell’operazione, lire 637, furono a carico del comune. Furono incarcerati a Trapani, ma alcuni, tra cui due fratelli Ribera, riuscirono a evadere dalle carceri della Colombaia. Dei rimanenti 14, processati il 14 giugno 1867, 10 furono condannati a morte per impiccagione e gli altri ai lavori forzati.

Il 1° ottobre a Palermo furono accoltellati simultaneamente, in luoghi diversi, tredici persone. Uno degli accoltellatori, inseguito e arrestato, confessò che gli era stato ordinato da un “guardapiazza” (quello che oggi viene chiamato mafioso) di colpire alla cieca e che erano stati pagati con danaro proveniente dal principe Raimondo Trigona di Sant’Elia, senatore del regno, delegato da Vittorio Emanuele II. Da successivi controlli fatti dal piemontese sostituto procuratore del re Guido Giacosa, evidentemente all’oscuro delle criminali intenzioni del governo piemontese, venne accertato che i moltissimi omicidi, avvenuti anche prima e molti altri dopo, avevano il solo scopo di “sconvolgere l’ordine” per poter permettere e giustificare la feroce repressione così da eliminare impunemente la resistenza siciliana antipiemontese. L’indagine, che portò a riconoscere la responsabilità di quei sanguinosi crimini al reggente della questura palermitana, il bergamasco (ma messinese di nascita) Giovanni Bolis, antico affiliato carbonaro con La Farina, fu, comunque, subito chiusa.

L’anno 1862 si chiuse, con una relazione alla Camera di Torino sulla situazione nell’ex Regno delle Due Sicilie con i dati ufficiali di 15.665 fucilati, 1.740 imprigionati, 960 uccisi in combattimento. Gli scontri a fuoco di una certa consistenza nell’anno furono 574. I meridionali emigrati all’estero furono circa 6.800 persone. Le forze piemontesi di occupazione risultarono costituite da 18 reggimenti di fanteria, 51 “quarti” battaglioni di altri reggimenti, 22 battaglioni bersaglieri, 8 reggimenti di cavalleria, 4 reggimenti di artiglieria.
Nei territori delle Due Sicilie si contavano circa 400 bande di patrioti legittimisti, comandate per la maggior parte da ex militari borbonici.

Il Piemonte, che era lo Stato più indebitato d’Europa, si salvò dalla bancarotta disponendo alla fine dell'anno l’unificazione del “suo” debito pubblico con gli abitanti dei territori conquistati. Furono venduti, con prezzi irrisori, ai traditori liberali tutti i beni privati dei Borbone e gli stabilimenti pubblici civili e militari delle Due Sicilie. Tutte le spese per la “liberazione” e dei lavori pubblici (affidati alle speculazioni delle imprese lombardo-piemontesi) furono addebitate proprio alle regioni “liberate”.

Le tasse...





Anche l’arretrato sistema tributario piemontese fu applicato nel Napoletano ed in Sicilia, che fino allora avevano avuto un sistema fiscale mite, razionale, semplice e soprattutto efficace nell’imposizione e nella riscossione, indubbiamente tra i migliori in Europa. Al Sud fu applicato un aumento[3] di oltre il 32 per cento delle imposte, mentre gli fu attribuito meno del 24 per cento della ricchezza “italiana”.

Vari spunti presi da cronologia.leonardo.it


[1] Civiltà Cattolica, anno decimoterzo, vol.I della serie quinta, ROMA, 1862, pag. 366
[2] Civiltà Cattolica, anno decimoterzo, vol.I della serie quinta, ROMA, 1862, pag. 111
[3] Civiltà Cattolica, anno decimoterzo, vol.I della serie quinta, ROMA, 1862, pag. 118

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