mercoledì 23 marzo 2011

Sulla storia dei Camiciotti di Messina (1848)



Aver voluto associare, il sacrificio di intrepidi fanciulli con il risorgimento messinese, ha di fatto, esercitato sull’immaginario delle generazioni di giovani siciliani e messinesi, la convinzione, che accadimenti storicamente fasulli, fossero stati il risultato, di un sacrificio oltraggioso per chi l’aveva commesso. Il sangue degli innocenti sarebbe ricaduto sopra i loro carnefici. In verità, quello che si paventava come il risultato di una carneficina, era un fatto di guerriglia bella e buona.

Non semplici giovani volontari, imbelli ed innocenti, ma reparti di fanteria siciliana, conosciuti ed inquadrati in un vero esercito di resistenza. I camiciotti, cioè la fanteria leggera volontaria, nasce come corpo indipendente di rivolta a Napoli; durante il periodo in cui, i partenopei fedeli alla casa di Borbone, combattevano contro i ribelli Murattiani. Di loro viene ricordato una memoria, legata alla battaglia del Ponte della Maddalena. Erano gente di fatica e di galera, vestiti con lunghi camicioni che si scontrarono presso tale ponte, contro le truppe del generale francese Broussier il 23 gennaio 1799, respingendo in un primo momento l’esercito repubblicano. Dovendo soccombere però, contro una realtà militare molto organizzata e potente. Contemporaneamente, durante la rivolta dei moti 1847 – 48 i siciliani, alzarono i labari della ribellione, recuperando anche essi le insegne, dei reparti di fanteria di volontari, sotto l’appellativo dei Camiciotti con specifico riferimento, a fatti di guerriglia, accaduti mezzo secolo prima a Napoli.

Seguendo la cronaca, riportata in un diario di guerra, di un insospettabile patriota italiano, Luigi Anelli che sarà pubblicata in più volumi l’anno 1864 a Milano, presso la pagina 252 del II volume, intitolato: La Storia d’Italia dal 1814 al 1863, descrive gli accadimenti, successivamente ricondotti dalla propaganda anti napoletana, associati ai camiciotti Messinesi.

…laonde nel mattino succedente, comparendo da ogni banda il nemico, corsero ad affrontarlo. Ma anche nei Napoletani era animo invitto ed il contrasto divenne terribile. Al convento della Maddalena per gli androni e le celle, monaci e cittadini mescolati nella zuffa pugnano e muoiono da prodi; un gruppo di combattenti serrati in mezzo ai nemici, anziché arrendersi, si travolge in un pozzo del convento.
Cosi ché, un fatto di guerra fra truppe regie e truppe regolari dell’esercito siciliano, viene dipinto come oltraggio; un singolo episodio esercitato, dai soldati borbonici contro ignari giovani che anelavano alla Italia, in un periodo storico travagliato e glorioso.


E in molti, abboccano all’inganno, messo su come opera di teatro drammatico, dalla censura e dalla propaganda anti napoletana.
In realtà, i cosiddetti camiciotti siciliani, tutto erano che ignari ed ardimentosi giovanotti. Erano gente fuoriuscita dalle patrie galere pronti a tutto, che a costo della vita, ammazzavano per poco pur di evitare le carceri regie. Inquadrati in una sorta di guardia municipale, erano posti a disposizione del municipio. Così che, oltre all’esercito regolare di Sicilia, esisteva anche, una guardia di ardimentosi divisa in battaglioni denominati appunto, dei camiciotti: a Palermo ne esistevano 6 battaglioni, a Catania 4, a Messina 2 e un solo battaglione a Siracusa.

Alessandro Fumia
fonte: http://zancleweb.wordpress.com/2011/01/25/i-camiciotti-di-messina/

2 commenti:

Anonimo ha detto...

i camiciotti non volevano unire la sicilia all'Italia,volevano solo la divisione del regno di Sicilia dal regno di Napoli. i camiciotti quindi erano contro il regno delle due sicilia un aborto nato nel 1816 unendo i due regni sotto un unica corona.

Anonimo ha detto...

L'osservazione non fa una grinza rispetto a quanto lei segnala; ma vede, se una volta per tutte, si incominciasse a discutere la storia, seguendo le carte e non gli slogan, tutti ne avremmo grande giovamento. Annullare la storia perchè fa comodo a una parte rispetto a qualunque altra opinione, è un esercizio antico come il mondo, conosciuto ed appellato, sotto il vocabolo "censura." Ma visto che viviamo in democrazia, e visto che grazie a Dio, non siamo sotto regime autoritario, ogni tanto fa bene ascoltare l'opinione altrui. Per non tirarla per le lunghe, le segnalo una fonte, tratta dall'opera di Luigi Natoli la sua Storia della Sicilia; nella quale a pagina 270, nel capitolo II ed intitolato, La rivoluzione federale segnalava: "....il 12 gennaio 1848, sopraggiunsero alcuni rivoltosi capeggiati Vincenzo Buscemi nella piazza di fieravecchia a Palermo, dove scoppiava un grosso tumulto: fra i popolani si aggirava il giovane Giuseppe La Masa venuto due giorni prima da Firenze che aizzava il popolo a ribellarsi. Allora il giovane avvocato Paolo Paternostro salì sulla fontana che ornava la piazza, ed arringò la folla che si veniva facendo sempre più numerosa con il grido: viva Pio IX! viva l'Italia! viva la Sicilia. Il La masa scrisse un proclama in nome di un comitato provvisorio, della piazza d'armi di fieravecchia ed improvvisò una bandiera fatta di cenci rossa bianca e verde. Ma Santa Astorina moglie di Pasquale Miloro portò una bandiera a coccarde tricolori preparate dal marito nella notte. Si cominciarono a suonare le campane a stormo mentre gli insorti, si divisero a squadre per controllare il borgo. Il primo scontro avvenne contro la cavalleria e vi trovò la morte Pietro Omodei."
Con ciò non le sto segnalando che la rivolta siciliana avvenuta nei moti 1847 - 48 fu posta sotto le insegne d'Italia, ma semplicemente le faccio presente, che in quella rivolta, parteciparono tante anime, decine delle quali, se non centinaia appartenevano a cittadini di una penisola che aspirava a diventare nazione. Ciò non toglie che migliaia di siciliani chiedevano che si ritornasse al tempo in cui, la Sicilia s'animava sotto la natia bandiera. Ma questa è un'altre storia che sono sicuro lei conosce molto bene. Salvo aver dimenticato che, anche fra i siciliani, vi erano insorti che non la pensavano alla stessa maniera.

Alessandro Fumia