mercoledì 6 luglio 2011
Capo Peloro, i cannoni-obici mod. Millar e Paixhans armati nelle batterie garibaldine nell’estate del 1860
di Armando Donato M.
Responsabile Comitato Storico Siciliano - Messina
Messina 6 luglio 2011
Tra le batterie armate dai garibaldini sulla costa nord dello stretto di Messina nel 1860, indicate nella relativa carta delle coste con tanto di quota, tipi di artiglierie suddivisibili in cannoni, cannoni-obici, obici e mortai, nonché i tipi di affusto e settore di tiro; una in particolare fa ben comprendere come i tre noti cannoni recuperati in loco nel 2010, nonostante le evidenti forzature storiche, qualora ci fosse ancora qualche dubbio e come viene sostenuto da tempo, nulla hanno a che vedere con le grosse artiglierie usate in difesa costiera garibaldina.
Infatti così come segnala chiaramente la carta, la batteria N° III armata nei pressi della zona del recupero dei tre ferrivecchi (è bene tenere nella giusta considerazione che i luoghi in cui furono armate le batterie garibaldine, erano già stati sedi di più antiche postazioni, trinceramenti e fortificazioni in genere, protagoniste di numerosi eventi bellici) si componeva di artiglierie di grosso calibro di preda bellica napoletana, ovvero un pezzo da 24 libbre, due da 60 libbre e successivamente due da 80 libbre, tutti su affusti da marina.
Premesso ciò, non è necessario elencare ed esibire varie documentazioni d’epoca (ne esistono decine e decine di varia natura circa le batterie armate in loco), ma basta avere un minima conoscenza nel settore per comprendere che la batteria armava i cannoni-obici mod. Millar da 60 libbre da marina a bomba (prima metà dell’Ottocento), cioè quelli della ex pirofregata Veloce (poi Tuckery) smontati dalla nave, armati a fine luglio a Capo Peloro e gestiti degli stessi pochi marinai cannonieri borbonici ammutinatisi. Gli 80 libbre erano invece i famosi cannoni -obici mod. Paixhans da marina a bomba, (prima metà dell’800) usati a Messina anche nei fatti del 1848.
Il 24 libbre invece, calibro minimo utile, ampiamente utilizzato nelle batterie costiere poiché grazie al maggiore rapporto volata – alesaggio, in gittata rendeva di più dei grossi 36 libbre (armati in altre batterie), poteva essere uno dei tanti pezzi borbonici utilizzati in Sicilia già a partire dalla fine del Settecento inizi Ottocento, tenendo conto che qualsiasi regno (borbonico compreso) procedeva sistematicamente nel tempo al rinnovamento delle Piazze con nuove varie artiglierie e regolamenti sia a scopi difensivi che offensivi, eliminando quelle vetuste e inservibili.
Risulta più che evidente, leggendo la carta succitata, che dunque nel 1860 per la copertura costiera contro le moderne navi borboniche, veloci (sistemi propulsivi termici ausiliari), ben protette e armate per il tiro a lunga distanza (ad es. la pirofregata Borbone), erano necessarie grosse artiglierie quantomeno simili e di uguale potenza, non certo i tre pezzi in questione, da considerarsi come piccola e antica ferraglia inservibile e inefficace, progettata in epoche remotissime, rispondente ad esigenze superate da secoli avendo caratteristiche e prestazioni “ridicole” rispetto alla tecnologia di metà Ottocento.
I cannonieri garibaldini che di certo non erano pazzi suicidi, al fine di proteggere le coste da navi nemiche a dir poco pericolose, applicarono questi semplici e ovvi concetti, armando artiglierie il più possibile adeguate all’epoca, nonostante evidenziassero già i limiti prestazionali per via dell’età (20- 40- 80 anni) e fossero considerate vetuste per via dell’utilizzo di più moderne artiglierie. L’argomento è molto vasto e complesso, tuttavia in tal caso per chiarire il tutto sono più che sufficienti queste poche righe.
Minimo sforzo-massimo rendimento.
Armando Donato
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