martedì 4 maggio 2010

Nuove prove sui cannoni di Capo Peloro



Lo studio e la trattazione della storia devono essere necessariamente affrontati con serenità ed equilibrio da parte del ricercatore, studioso o appassionato che sia, al fine di scoprire la verità. Metodo opposto è quello dell’obliterazione, offuscamento e liquidazione partigiana ed ideologica di importanti e duraturi periodi storici sia preunitari che post grande guerra, le cui testimonianze Messinesi sono troppo spesso con odio, timore e sufficienza, snobbate e vittime di errate attribuzioni; vedasi ad es. tutte le opere militari edificate dagli anni 30 del 900 in poi o vari esempi preunitari come i cannoni visibili nel litorale di Pace rinvenuti sulla locale spiaggia e spacciati per Inglesi, la torre del Faro detta erroneamente Inglese, la Real Cittadella e tanto altro.

La storia di Messina (con relativa sistemazione difensiva) prima e più di quella d’Italia, deve essere letta in base a tutti i suoi periodi storici e non solo alcuni, o meglio i soliti, con sistematica esclusione politico- ideologica di altri. Le generalizzazioni non servono, così come è sterile l’attribuzione forzata e fuorviante di certe testimonianze ad un dato periodo che fa comodo sponsorizzare, snobbando tutto il resto. Ciò non è utile a nulla se non ai propri fini. In questo caso bypassare un più che secolare periodo come quello borbonico, vissuto da Messina prima dell’unità, negando ostinatamente sia gli importantissimi episodi storici verificatisi, sia l’esistenza di un sistema di organizzazione difensiva legittimamente approntato ben prima dell’arrivo di garibaldini e piemontesi, non è corretto ne d’ ausilio alla ricerca della verità.

La cultura e la storia Messinesi non nascono di certo nel 1860 o meglio dal marzo 1861, ne si concludono alla fine dell’800 o con la grande guerra; ciò sarebbe offensivo e riduttivo verso i suddetti periodi purtroppo mai trattati e/o etichettati come negativi, pessimi, arretrati ecc. seppur facenti parte del patrimonio culturale della città. Lo studio della storia, con l’ausilio di specifiche competenze, è ben altra cosa.

In base a quanto riportato nella relazione ritenuta ufficiale, secondo cui i cannoni di Capo Peloro sono savoiardi, garibaldini, risorgimentali e quant’ altro, è bene evidenziare alcuni punti:

1) mentre alcuni mesi fa tali fonti ufficiali sostenevano, forse con eccessivo azzardo, tramite inattendibili stampe non corrispondenti allo stato dei fatti, carte ecc che i 3 cannoni (prima ritenuti solo 2 e poi attribuiti alla marina borbonica) fossero stati trovati sulla spiaggia di Faro da Garibaldi e da esso riutilizzati, adesso invece affermano che furono portati da altri luoghi, senza però dare una spiegazione logica e chiara sui fatti precedenti e successivi.

2) L’assenza di batterie borboniche all’arrivo dei garibaldini è dimostrata dal fatto che giunto l’ordine di ritirata, le artiglierie furono ovviamente smontate e portate via, quelle vetuste e/o non trasportabili sabotate. Le truppe in ritirata da presidi fissi portavano con se tutto quanto possibile ed utile anche in virtù della convenzione tra i due eserciti, che prevedeva anche l’equa spartizione delle artiglierie;

3) Nell’ agosto del 1860 i presidi borbonici erano quelli nella zona falcata, dunque la Piazza Duosiciliana esisteva ancora, avendo il suo cuore pulsante nella suddetta area, tanto è vero che si arrese solo dopo 7 mesi.

4) Non è ben chiaro il perché tali cannoni, che si ritiene trasportati da altri luoghi, non siano stati portati via da Garibaldi, per il proseguo della Campagna. In verità egli non avrebbe mai preso altrove vetusti pezzi del genere (a maggior ragione se ritenuti di fine 600 primi 700), non si capisce infatti quale stratega potesse utilizzare cannoni che nessun cannoniere avrebbe utilizzato, poiché facili al difetto se non all’esplosione per via dell’età. Inoltre il loro calibro era nel 1860 (in cui già si usavano i Paixans da 80 libbre) ormai talmente ridotto da “fare il solletico” alle navi borboniche, aventi protezioni di 70 cm al galleggiamento, ed armate coi i 30 libbre esplodenti standard;

5) A smentita del decreto citato dal Mezzacapo sulle batterie borboniche
disarmate, è opportuno segnalare lo scritto di M. Musci sulla “storia civile e
militare del Regno delle due Sicilie dal 1830 al 1849”, che tratta dell’
addestramento ( 1831) degli artiglieri nei territori del Regno al di qua ed al
di la del Faro e della riorganizzazione militare e classificazione delle piazze
e forti del regno, secondo cui nel 1833 risultavano in particolare:
• Messina- Piazza di prima classe;
• Real Cittadella di seconda classe;
• Castelli del SS Salvatore di terza classe;
• Gonzaga e torre del Faro di quarta classe, comandata da un capitano.


6) Si rammenta che le aree costiere siciliane furono difese adeguatamente già a partire dalla metà del 700. Nel 1799 la protezione antincursiva siciliana fu potenziata con 100 pezzi da 36 e 24 libbre posti in 27 batterie, mentre la Real Marina disponeva di 86 varie navi. Lo stesso anno il presidio della torre del Faro era considerato “campo trincerato”, retto da un colonnello e presidiato da varie truppe anglosiciliane (fonte “Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche”- USSME 2008). Nel 1810 presso la torre del Faro erano armate due batterie inglesi più diversi trinceramenti (fonte G. Cockburn 1811), secondo J. Purdy (1841) vi erano ancora due batterie inglesi insieme ad artiglierie armate nelle torri martello, coordinate dal telegrafo di forte Spuria ). Inoltre una relazione di A. Ulloa, datata 1852 su” I fatti di guerra de soldati napoletani”, cita l’ipotesi di una prosecuzione delle batterie inglesi edificate 40 anni prima sulla costa nord della città, in modo da unire i presidi di difesa marittima di Messina e della torre del Faro.

7) Nel giugno 1860 risultavano armati nella Piazza di Messina 32 vari pezzi di artiglieria (fonte A.Gay 1896).

8 ) Poiché si è nel campo delle ipotesi, tali artiglierie sembrerebbero di metà 700 circa, la produzione commissionata in Svezia (anche per il regno Duosiciliano e d’Italia poi), Inghilterra o altrove, era usanza molto diffusa. Riguardo il periodo, i calibri, la denominazione ecc, premesso che la misurazione è da effettuarsi secondo precise tecniche, le girandole di numeri e cifre valgono tanto quanto, dato che le artiglierie innanzitutto erano denominate in base alle varie unità di misura ( una libbra inglese non era la stessa di quella napoletana ecc), ed abbastanza convenzionali quali tipici pezzi da marina, è impossibile stabilire con certezza il luogo di fusione, poiché ognuno copiava l’altro e spesso si acquistavano artiglierie di altri stati, caricate poi con gli stemmi del regno acquirente. In molti casi si commissionava la fusione di un cannone all’estero per poi applicare il proprio stemma. Esistono specifici metodi utili a cercare di risalire all’origine di un cannone e che non si rifanno certo alla misurazioni citate.

9) Visto il periodo storico ipotizzato, allora i cannoni potrebbero anche essere attribuiti al regno spagnolo di Carlo II, all’indomani della fine della rivolta antispagnola (1674-1678);

10) Ricordando che si tratta di pezzi di marina in ghisa in cattivo stato di conservazione, lo stemma sulla cintura di volata del cannone più grosso ( gli altri due non sono mai stati esposti al pubblico) riporta una corona reale di notevole somiglianza con quelle spagnole. Lo stemma della marina sarda o del reggimento “La Marina” riproduceva una corona con aquila e due piccole ancore incrociate, quello ufficiale savoiardo dell’epoca una croce dentro uno scudo. Premesso che l’ancora era tipicamente impressa nei simboli delle artiglierie di marina ( vedi cannoni di Pace), la parte inferiore dello stemma risulta illeggibile, quindi si può solo ipotizzare cosa potesse esser riportato (una ancora, una croce, delle iniziali?). Per la corona con ancora è stato fatto un confronto visibile e molto verosimile con le immagini degli stemmi della Real Marina borbonica e del rgt. Real Marina, che riproducono appunto una corona sormontante un’ancora, di cui sul cannone si nota ancora la parte superiore sotto la corona stessa. I confronti sono stati fatti con alcuni testi di uniformologia, tra cui “L’ Armata del sud” Custodero -Pedone 2003, “Militaria” di G.S. Mazzini- 2006 e la raccolta delle tavole sulla “Marineria” di Diderot- D’ Alemberrt (Libritalia 2002). Al contrario invece, non è possibile visionare le prove ed i confronti circa la presunta croce savoiarda ne altre immagini.

11) L’inchiodatura dei cannoni era un metodo facilmente aggirabile creando un foro subito accanto al focone otturato; opera non certo difficile. Appunto perché i 3 pezzi hanno i foconi liberi e le volate occluse con palle metalliche ficcate e pressate a forza tanto da essere ammaccate, si intende che questa fu un‘azione di autosabotaggio (che tecnicamente si rifà proprio alla volontà di non lasciare al nemico armi intatte ed utilizzabili) più incisiva e non risolvibile. Un altro esempio è visibile presso il castello del SS. Salvatore (già presidio borbonico) in cui vi sono due cannoni, ad occhio da 24 libbre, con la volata occlusa da palle metalliche.

12) L’ inertizzazione è un azione che può riferirsi alla disattivazione di una qualsiasi arma anche non in tempo di guerra, effettuata per motivi di legge relativi alla sicurezza, al commercio ed il collezionismo. Il sabotaggio in tempi di guerra di artiglierie ad avancarica e non, è tutt’ altra cosa. In tempi moderni solitamente si procedeva allo smontaggio degli otturatori o facendo saltare le volate.

13) I genieri e gli artiglieri Duosiciliani erano perfettamente in grado di sigillare, ed occludere artiglierie. Si trattava inoltre di truppe regolari in ritirata ordinata, non sbandati in fuga, che nel caso di torre del Faro e gli altri presidi ebbero tutto il tempo di fare ciò che volevano, poiché a conoscenza dei fatti di Milazzo e del primo ordine di ritiro borbonico nella cittadella dato dal De Clary il 24 luglio 1860. Lo stesso pomeriggio le truppe garibaldine avrebbero attaccato quelle borboniche presso la torre Rizzo e Puntale Pistorio. Decisa una tregua, la notte del 24 quasi tutto l’esercito duosiciliano era riunito presso il piano di Terranova e la Real Cittadella e dislocato negli ultimi avamposti della zona falcata. Il 26 luglio con il patto De Clary- Medici fu sancito il definitivo abbandono borbonico dei restanti presidi di Gonzaga, Castellaccio e torre del Faro con imbarco per la Calabria o il trasferimento presso la zona falcata nei presidi dl don Blasco, Cittadella, batteria della Lanterna e SS. Salvatore. (fonte “Difesa dei soldati napoletani 1860”- Cav. C. Corsi).

14) I cannoni usati come bitte da ormeggio nei moli erano spesso posti non con la volata, come in questo caso, ma con la culatta (ovvero la parte retrostante più massiccia e resistente del cannone) all’insù. Infatti visto il luogo e la posizione del ritrovamento essi erano usati per l’ alaggio delle barche dei pescatori, i quali dato il luogo e l’uso non avevano alcun interesse e motivo di “abbellire” tre ferrivecchi ne effettuare chiusure del genere.

Conclusioni:

Risulta palese che i cannoni non furono usati da Garibaldi, ne è spiegata con ragionamenti logici e concreti la presenza dei pezzi in loco e l’otturazione delle 3 artiglierie. Ma questa è una verità consolidata da tempo, che smentisce le precedenti tesi diffuse ufficialmente e considerate attendibili, via via venute meno insieme alle ultime “ipotesi” che non dimostrano affatto la certa ed inequivocabile appartenenza savoiarda, l’uso garibaldino ecc ne identificano nulla. Quindi si ritiene perfettamente fuorviante ed inutile pensare di utilizzare tali relitti metallici per festeggiare eventi che nulla centrano con le artiglierie in questione. Nel dubbio sarebbe più facile infatti esporre testimonianze comprovatamente certe, evitando sprechi di danari pubblici per erigere monumenti non alla storia, ma a ciò che fa comodo ricordare a tutti i costi, anche a discapito della verità storica. A tal proposito, poiché non è certamente noto agli interessati, si ricorda e si consiglia che basterebbe ripristinare (magari a proprie spese) il monumento a Garibaldi, un tempo sistemato nella omonima piazzetta del Villaggio di Torre Faro e lasciato in rovina negli anni.

Dott. Armando Donato

Comitato Storico Siciliano - Messina

Componente del C. D. dell’ Associazione Amici del Museo di Messina

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma tu si che sei un grande, no come le fesserie degli esperti. Anzi tu sei esperto o meglio 'sperto. Se non c'eri tu che sai tutto come faremmo?

Anonimo ha detto...

no no io non sono spetto,""minchino"" alla grande e palese preparazione di lorsignori ahahah, i quali se non ci fossi stato io avrebbero continuato a sparare le solite falsità storiche, alla quali quelli come te credono,senza capirne nulla.Ed è questo ciò che vogliono, un gregge di pecore ignoranti. Nel frattempo se hai qualcosa di cui argomentare sul fatto specifico, esci dall'omertoso anonimato e presentati, altrimenti fammi la cortesia di tacere.
Armando