In mezzo al verde intenso delle querce e sullo sfondo la Rocca Busambra , ecco dove sorge il palazzo reale di Ficuzza, voluto da Ferdinando IV di Borbone.
Ad appena 45km da Palermo, posto lungo la vecchia carrozzabile che a fine ‘700 portava a Corleone, il palazzo era certamente un posto allettante e facilmente raggiungibile in mezza giornata di carrozza da parte del Re e dei suoi amici. Ferdinando di Borbone arrivò in Sicilia alla vigilia di Natale del 1798. Era in fuga da Napoli, dopo la rivoluzione nel capoluogo partenopeo. In Sicilia passò diversi anni e a Ficuzza, dopo la costruzione del Palazzo, praticamente ininterrottamente quasi due anni e mezzo, dal 1810 al 1812.
La passione per la caccia e l’amore per gli svaghi indussero il Sovrano a cercare anche nell’Isola quelle attività che praticava a Portici e soprattutto a San Leucio dove si trovavano immense riserve di caccia e la splendida reggia di Caserta.
In questi luoghi, perlopiù appartenenti agli arcivescovi di Monreale e di Palermo, oltre che a privati siciliani, vi erano edifici che fece ristrutturare per servirsene durante le brevi escursioni che effettuava appena fuori Palermo.
Sin dal Medioevo, la caccia fu attività prediletta dai sovrani europei e ancor di più da quelli napoletani nel Settecento e all’inizio dell’Ottocento. In quasi tutti i casi di creazione dei Siti reali, i Borbone si limitarono, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX sec., a migliorare la proprietà che generosamente i nobili siciliani vendettero loro. Nel caso del Sito reale di Ficuzza, egli volle costruire gli edifici appositamente per una Casina di caccia.
Presso la Galleria regionale di Sicilia, a Palazzo Abatellis, esiste un disegno originale tracciato da Ferdinando di Borbone stesso per la sua Casina di Ficuzza. Esso riporta l’immagine di un edificio a pianta pentagonale. Ciò a testimonianza del vivo interesse che il sovrano aveva per il suo progetto su Ficuzza. Ma poi non ne fece nulla. Il progetto venne successivamente affidato ad Alessandro Emanuele Marvuglia, figlio del più famoso Giuseppe Venanzio. Infatti già nell’ottobre del 1801, all’architetto venivano pagate in due trance le spese del modellino del Palazzo che doveva sorgere su Cozzo Castellaccio, vicino all’attuale villaggio di Ficuzza. Ma neanche questa volta se ne fece nulla. Il Re – pressato dalle difficoltà del regno, dovute alle rivoluzioni e agli sconvolgimenti istituzionali – preferì ancora una volta rimandare e provvedere a soddisfare la sua passione venatoria utilizzando le altre riserve di caccia .
Infine nel 1802 l’incarico venne affidato all’architetto Chenchi, ingegnere della Regia Corte e della Reale Commenda della Magione, e nello stesso anno iniziarono i lavori di costruzione con l’aiuto del partitario Antonino Torregrossa. Fu quest’ultimo che ebbe il compito di selezionare le migliori maestranze allora disponibili sul mercato, sia per la costruzione che per gli arredi e le decorazioni della nuova Casina di caccia.
All’inizio dell’anno seguente dovette accadere qualcosa se il Re decise di far venire un capomastro direttamente da Napoli per seguire i lavori di costruzione, tale Vincenzo d’Amico. Il Sovrano tolse la direzione dei lavori a Chenchi e l’affidò a Giuseppe Venanzio Marvuglia. Allo stesso Giuseppe Venanzio Marvuglia si affiancò l’architetto Nicolò Puglia e il capomastro Matteo Chiti. Già il Marvuglia era stato incaricato dal Sovrano per la sistemazione del Parco della Favorita e aveva lavorato anche nella residenza privata del Re nella famosa Palazzina Cinese, acquistata dall’avvocato palermitano Benedetto Lombardi, giudice della Gran Corte criminale e civile del Regno di Sicilia.
In questi luoghi, perlopiù appartenenti agli arcivescovi di Monreale e di Palermo, oltre che a privati siciliani, vi erano edifici che fece ristrutturare per servirsene durante le brevi escursioni che effettuava appena fuori Palermo.
Sin dal Medioevo, la caccia fu attività prediletta dai sovrani europei e ancor di più da quelli napoletani nel Settecento e all’inizio dell’Ottocento. In quasi tutti i casi di creazione dei Siti reali, i Borbone si limitarono, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX sec., a migliorare la proprietà che generosamente i nobili siciliani vendettero loro. Nel caso del Sito reale di Ficuzza, egli volle costruire gli edifici appositamente per una Casina di caccia.
Presso la Galleria regionale di Sicilia, a Palazzo Abatellis, esiste un disegno originale tracciato da Ferdinando di Borbone stesso per la sua Casina di Ficuzza. Esso riporta l’immagine di un edificio a pianta pentagonale. Ciò a testimonianza del vivo interesse che il sovrano aveva per il suo progetto su Ficuzza. Ma poi non ne fece nulla. Il progetto venne successivamente affidato ad Alessandro Emanuele Marvuglia, figlio del più famoso Giuseppe Venanzio. Infatti già nell’ottobre del 1801, all’architetto venivano pagate in due trance le spese del modellino del Palazzo che doveva sorgere su Cozzo Castellaccio, vicino all’attuale villaggio di Ficuzza. Ma neanche questa volta se ne fece nulla. Il Re – pressato dalle difficoltà del regno, dovute alle rivoluzioni e agli sconvolgimenti istituzionali – preferì ancora una volta rimandare e provvedere a soddisfare la sua passione venatoria utilizzando le altre riserve di caccia .
Infine nel 1802 l’incarico venne affidato all’architetto Chenchi, ingegnere della Regia Corte e della Reale Commenda della Magione, e nello stesso anno iniziarono i lavori di costruzione con l’aiuto del partitario Antonino Torregrossa. Fu quest’ultimo che ebbe il compito di selezionare le migliori maestranze allora disponibili sul mercato, sia per la costruzione che per gli arredi e le decorazioni della nuova Casina di caccia.
All’inizio dell’anno seguente dovette accadere qualcosa se il Re decise di far venire un capomastro direttamente da Napoli per seguire i lavori di costruzione, tale Vincenzo d’Amico. Il Sovrano tolse la direzione dei lavori a Chenchi e l’affidò a Giuseppe Venanzio Marvuglia. Allo stesso Giuseppe Venanzio Marvuglia si affiancò l’architetto Nicolò Puglia e il capomastro Matteo Chiti. Già il Marvuglia era stato incaricato dal Sovrano per la sistemazione del Parco della Favorita e aveva lavorato anche nella residenza privata del Re nella famosa Palazzina Cinese, acquistata dall’avvocato palermitano Benedetto Lombardi, giudice della Gran Corte criminale e civile del Regno di Sicilia.
La costruzione del Palazzo si protrasse fino al 1807 e impegnò un numero notevole di maestranze: scalpellini, decoratori, muratori, falegnami ebanisti, marmisti, pittori, scultori e tappezzieri. Davanti all’edificio venne realizzato un vasto piano (oggetto di un recente discutibilissimo intervento di sistemazione) delimitato dai magazzini e dalle stalle, da abbeveratoi e da case per gli addetti alle numerose attività legate alla vita di corte e dell’azienda reale.
Il Palazzo ha pianta rettangolare e consta di un pianterreno che veniva adibito ad abitazione della servitù, al corpo di guardia, alle dispense e alle cucine. Tra le fondazioni sono stati ricavati dei sotterranei collegati all’esterno con un cuniculo che sbuca a poca distanza dall’edificio. Sotto le cucine, una scala portava ad un cantinato dove venivano stoccate le derrate necessarie per la vita di corte. Questi sotterranei per anni abbandonati sono stati recentemente sistemati ed adesso possono essere visitati. Altri ambienti delle fondazioni dovevano servire per custodire la carrozza del sovrano e attrezzature varie. Il prospetto, quale oggi appare, ha il gradevole e misurato aspetto dell’architettura neoclassica di ispirazione vanvitelliana. Al centro è posto l’ingresso principale dove il Re poteva entrare con la carrozza. Sul lato destro è situato l’ingresso alla Cappella reale mentre sulla sinistra l’ingresso per la servitù. La facciata principale si sviluppa in due ordini di finestre separate da una semplice cornice. La parte sommitale è coronata da un cornicione aggettante sostenuto da becatelli in pietra arenaria decorati con triglifi.
Sul cornicione al centro è sistemato un imponente gruppo scultoreo in arenaria raffigurante lo stemma dei Borbone, circondato da festoni floreali e sormontato dalla corona. L’opera è stata eseguita dallo scultore Giosuè Durante, palermitano, che operò tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX sec.. Accanto allo stemma sono state collocate la statua del Dio Pan, protettore dei campi, delle greggi pascolanti, dei cacciatori e dei pastori. Sul lato destro è invece raffigurata Diana, sorella del Dio Apollo, Dea della caccia, dei boschi e della vegetazione. Infine, alle estremità laterali del prospetto, sulla sommità del cornicione, sono stati collocati due orologi che sono stati realizzati da Giuseppe Lorito e figli. La soluzione formale dei due orologi, simmetricamente disposti alle estremità laterali, da slancio alla facciata del Palazzo. Uno scalone di marmo rosso collocato a destra dell’ingresso porta al piano nobile.
Il Palazzo ha pianta rettangolare e consta di un pianterreno che veniva adibito ad abitazione della servitù, al corpo di guardia, alle dispense e alle cucine. Tra le fondazioni sono stati ricavati dei sotterranei collegati all’esterno con un cuniculo che sbuca a poca distanza dall’edificio. Sotto le cucine, una scala portava ad un cantinato dove venivano stoccate le derrate necessarie per la vita di corte. Questi sotterranei per anni abbandonati sono stati recentemente sistemati ed adesso possono essere visitati. Altri ambienti delle fondazioni dovevano servire per custodire la carrozza del sovrano e attrezzature varie. Il prospetto, quale oggi appare, ha il gradevole e misurato aspetto dell’architettura neoclassica di ispirazione vanvitelliana. Al centro è posto l’ingresso principale dove il Re poteva entrare con la carrozza. Sul lato destro è situato l’ingresso alla Cappella reale mentre sulla sinistra l’ingresso per la servitù. La facciata principale si sviluppa in due ordini di finestre separate da una semplice cornice. La parte sommitale è coronata da un cornicione aggettante sostenuto da becatelli in pietra arenaria decorati con triglifi.
Sul cornicione al centro è sistemato un imponente gruppo scultoreo in arenaria raffigurante lo stemma dei Borbone, circondato da festoni floreali e sormontato dalla corona. L’opera è stata eseguita dallo scultore Giosuè Durante, palermitano, che operò tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX sec.. Accanto allo stemma sono state collocate la statua del Dio Pan, protettore dei campi, delle greggi pascolanti, dei cacciatori e dei pastori. Sul lato destro è invece raffigurata Diana, sorella del Dio Apollo, Dea della caccia, dei boschi e della vegetazione. Infine, alle estremità laterali del prospetto, sulla sommità del cornicione, sono stati collocati due orologi che sono stati realizzati da Giuseppe Lorito e figli. La soluzione formale dei due orologi, simmetricamente disposti alle estremità laterali, da slancio alla facciata del Palazzo. Uno scalone di marmo rosso collocato a destra dell’ingresso porta al piano nobile.
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