mercoledì 23 luglio 2008
L' isola Ferdinandea
La Sicilia è stata chiamata anche, « l’isola del fuoco» per il suo vulcano Etna, ma sarebbe meglio chiamarla «isola del fuoco in un mare di fuoco» se si pensa che quasi tutte le piccole isole che le fanno corona sono di origine vulcanica.
I fenomeni vulcanici nel mare che circonda l' Isola sono noti fin da tempi antichissimi.
Aristotele, nel libro delle Meteore, racconta che l'isola di Vulcano, nelle Eolie, spuntò dal mare fra il fragore di esplosioni vulcaniche; lo Stromboli comparve poco prima dell'età di Plinio, e gli storici romani ricordano eruzioni sottomarine nel canale di Sicilia.
In questo tratto del Mediterraneo le eruzioni sono più frequenti che altrove e si verificano particolarmente nel tratto di mare che va da Capo Granitola a Capo Bianco, in corrispondenza di quei bassifondi detti banchi o secche, alcuni dei quali sono ricoperti di coralli: i famosi banchi di Sciacca. Dall’eruzione avvenuta su uno di questi banchi in epoca immemorabile, nacque l'isola di Pantelleria, esempio perfetto di isola vulcanica che culmina nella Montagna grande, avanzo di un cratere vulcanico contornato da altri 24 crateri detti «cuddìe».
Precisamente fra Pantelleria e Sciacca, nel 1831, spuntò un’Isola vulcanica che, dalla sua nascita alla sua scomparsa, poté essere seguita e studiata dai più illustri scienziati dell’epoca.
Il 28 giugno 1831 si cominciarono ad avvertire a Sciacca ripetute scosse di terremoto (avvertite anche a Palermo) che durarono fino al 10 luglio e produssero lesioni in alcune case. Il mare, nel tratto nel quale doveva sorgere la nuova isola, fu violentemente agitato, come asserì il capitano Pulteney Malcon il quale vi passò col suo bastimento. Il 4 luglio si avvertì odore di idrogeno solforato proveniente dal mare, in quantità tale da annerire gli oggetti d'argento.
Il 13 luglio, si vide nettamente dalla piazza di S. Domenico, sempre di Sciacca una colonna di fumo, alla distanza di circa 30 miglia, nel luogo detto: « secca di mare ». Si pensò ad un piroscafo di passaggio; poi, data la persistenza del fumo, ad un piroscafo in fiamme. In quello stesso giorno il capitano Francesco Trafiletti. Comandante del brigantino Gustavo, proveniente da Malta, riferì che a 30 miglia da Capo S. Marco aveva notato un ribollimento delle acque che aveva creduto effetto dell’ agitarsi e del dibattersi di grossi cetacei.
La colonna di fumo, il ribollimento delle acque ed i boati furono notati dal 13 al 15 luglio anche dal capitano Mario Provenzano, comandante la bombardiera Madonna delle Grazie, che faceva rotta per Malta.
Due giorni dopo il capitano Corrao di Sciacca ed i marinai che tornavano dalla pesca, passando da quel punto notarono gran quantità di pesci galleggianti, alcuni morti, altri tramortiti ed una colonna di fumo di circa 15 metri di altezza che si alzava impetuosamente dal mare, accompagnata da forti brontolii e dal gorgoglio delle acque circostanti.
Dopo un paio di giorni cominciò l’eruzione di lapilli, di pomici. di tufi e di scorie infuocate che, cadendo roventi nel mare, ne determinavano uno spumeggiante stridore e si spingevano fino alla spiaggia di Sciacca.
Il 17 luglio si era già formato un isolotto che cresceva rapidamente in dimensioni e in altezza.
La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto una barca peschereccia comandata da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola.
Questa era sorta a 37°, 11’ di latitudine nord e 12°, 44’ di longitudine est da Greenwich, in una zona profonda 180 metri, sul banco detto
« secca di mare » che fu poi chiamato banco Graham.
La notizia della nascita della nuova isola si sparse rapidamente; da Palermo fu inviata la real corvetta Etna, al comando del capitano di fregata Raffaele Cacàce; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. I fenomeni eruttivi furono intensissimi dal 18 al 24 luglio, poi cessarono fino ad estinguersi nei primi di agosto, epoca in cui l’isola raggiunse il suo massimo sviluppo: 4800 metri di circonferenza e 63 metri di altezza massima.
Essa si presentava di forma circolare ed era irregolarmente alta; infatti dal lato di nord-est aveva la sua massima altezza, dal lato sud era alta appena m. 8,50 ed ancor meno dal lato ovest. Nel mezzo era un falso piano che nella parte nord comunicava col mare ed in esso si apriva il cratere della circonferenza di 184 metri, dove si aprivano due bocche eruttive, dalle quali venivano emessi ad intermittenza, i materiali vulcanici. L'eruzione durava da mezz'ora ad un'ora e poi riprendeva dopo qualche minuto, determinando così una deposizione a strati dei materiali eruttati. Cessata l'eruzione, le due bocche del cratere si riempirono di acqua marina che vi entrava da nord e si trasformarono così in due laghetti dove l'acqua mandava vapore fino alla altezza di qualche metro. Uno dei due laghetti aveva una circonferenza di venti metri ed una profondità di due l’acqua contenuta era di color giallo rossastro ed aveva sapore salino piccante; l'altro laghetto era più piccolo e l'acqua aveva color giallo e sapore sulfureo. L'analisi delle dette acque dimostrò trattarsi di acqua marina con sali ferrosi ed idrogeno solforato.
L'eccezionale fenomeno geologico fu osservato e studiato da numerosi scienziati fra cui i tedeschi Hoffinann, Schultz e Philippi, gli inglesi Davy e Smyth, i francesi Jonville e Prévost. Fra gli italiani furono: Domenico Scinà (1765-1837) che pubblicò le sue osservazioni nelle « Effeméridi siciliane » (1832 - Vol. 2°) e Carlo Gemmellaro (1787-1866) professore di geologia e mineralogia nell'Università di Catania, il quale pubblicò una chiara e precisa relazione negli « Atti dell'Accademia Gioenia di Catania » (1831 - Vol. 8°). Molti furono i curiosi che si recarono a Sciacca per portarsi sulla nuova isola ed alcuni di essi ne hanno lasciato descrizioni in giornali e, riviste dell'epoca, specialmente gli stranieri. fra cui, in particolare modo, gli inglesi, due dei quali, malgrado il calore emanato dai materiali eruttivi, nei quali si affondava fino alla caviglia, con la classica flemma britannica, si sedettero a far colazione!
Gli inglesi ebbero una particolare predilezione per la nuova isola che si trovava sulla rotta per Malta.
La Gazzetta di Malta del 10 agosto 1831 riferiva che il capitano Sanhouse, comandante del cutter Hind, il 2 agosto era sbarcato sulla isola e vi aveva piantato la bandiera inglese; un altro inglese, il 7 agosto partì da Sciacca con la barca di Domenico Cusumano, portando una bandiera inglese che avrebbe piantato nell'isola, ma vista la furia del vulcano, stimò più prudente starsene ad un miglio di distanza.
All'isola furono dati sette nomi: Sciacca, Nertita, Corrao, Hotham, Giulia, Graham, Ferdinandea.
La Società Reale e la Società di geologia di Londra adottarono il nome di Graham, uomo politico inglese che partecipò alle vicende della costituzione siciliana del 1812 e fu poi ministro degli interni quando furono aperte le lettere di Mazzini che, comunicate al governo borbonico, causarono la fucilazione dei fratelli Bandiera e dei loro animosi compagni.
Ad osservare l'evento accorsero navi e scienziati di vari Paesi, dal Regno delle Due Sicilie, alla Svizzera, alla Germania, alla Gran Bretagna. Una relazione sul fenomeno eruttivo fu pubblicata da Carlo Gemmellaro, professore di Storia Naturale all'Università di Catania, che vi fece un sopralluogo il giorno 11 agosto 1831. Poiché Re Ferdinando si trovava a Palermo per il suo viaggio di nozze, lo scienziato suggerì che l'isola gli fosse intitolata. Per effetto di un regio decreto del 17 agosto, l'isola Ferdinandea fu annessa al Regno delle Due Sicilie, ed intitolata al sovrano borbonico come proposto dal Gemmellaro.
Lapide deposta da Carlo di Borbone, ultimo discendente delle Due Sicilie
Il 29 settembre il francese Derussat, che faceva parte della spedizione scientifica del prof. Prévost, issò la bandiera francese sulla parte più alta dell'isola, alla quale fu dato il nome di Giulia a ricordo della sua apparizione nel mese di luglio. Intanto la nuova isola, flagellata dalle onde, diminuiva progressivamente; quando la visitò il Prévost il suo perimetro era ridotto a 700 metri. Verso la fine di ottobre l'isola emergeva di circa un metro dal livello del mare ed il cratere era appena riconoscibile. L'8 dicembre il capitano Vincenzo Allotta, comandante del brigantino Achille, al posto dell'isola trovò una piccola colonna di acqua calda « con puzza di bitume ».
Il 10 dicembre 1831 Benedetto Marzolla, dipendente dell' Officio Topografico del Regno delle Due Sicilie, pubblicò una "Descrizione dell'Isola Ferdinandea nel mezzo-giorno della Sicilia", comunicando che il precedente 12 luglio un vulcano era emerso dal mare e, dopo numerose eruzioni, aveva lasciato un'isoletta. Era un piccolo pianoro di sabbia nera e pesante, tanto friabile da non sostenere il peso di una persona; nel centro vi sorgeva un colle e poco discosto c'era un laghetto di acqua fumante, dall'acre odore di zolfo.
Il 17 dicembre due ufficiali dell'Ufficio topografico di Napoli, recatisi sul posto, trovarono che tutta l'isola era stata coperta dal mare. Nel gennaio dell'anno successivo (1832) il vice ammiraglio Hugon e il capitano Swinburne trovarono solo un bassofondo. Verso la fine del 1835 al posto dell'isola esisteva un piccolo monte subacqueo esteso per circa 1100 metri e la cui cima era a circa tre metri dalla superficie del mare, costituendo un pericolo per la navigazione. Il 12 agosto 1863 il cratere si riaprì ed in pochi giorni si formò una nuova isoletta che fu subito distrutta dalle onde marine.
Secondo gli ultimi rilievi fatti dall'Istituto Idrografico della Marina Militare (1925) dell'isola rimane, nella parte sud orientale del banco Graham, un cono vulcanico, la cui base ha la forma di un cerchio di circa 500 metri di diametro, alla quota di circa 25 metri sotto il livello marino e la cui sommità sale ad otto metri sotto il livello del mare.
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martedì 15 luglio 2008
Per il gas russo passaggio obbligato a Sud
Quella che doveva essere la via balcanica del gasdotto Southstream si sta rivelando un percorso ad ostacoli su un campo minato.
Sono troppi i paesi da attraversare nel progetto energetico di Putin e troppi i contratti da stipulare, tant'è che un disaccordo con una delle tante parti potrebbe far saltare ogni accordo: la strategia americana di
"spezzettamento" dell'area balcanica in funzione anti-russa ha avuto dunque successo.
Allo stesso modo la macchina cospirativa USA, organizzatrice delle "rivoluzioni colorate" nei paesi dell'ex Blocco Sovietico, è riuscita ad instillare negli "stati cuscinetto" di Lituania, Lettonia, Ucraina ed altri, una certa ostilità nei confronti di Mosca.
Austria, Serbia, Germania, Romania, Albania, Ungheria, Croazia, Slovenia sono i paesi che bisognerà "convincere" per costruire il gasdotto.
Non sarà facile convincere queste nazioni, soprattutto le più filo-americane(o filo-UE, tanto fa lo stesso) a concedere il proprio suolo al passaggio della pipeline, ne sarà facile, sempre per lo stesso motivo,
accordarsi per le ghiotte royalties.
E l'Europa dei Banchieri tenterà in ogni maniera di mettere il bastone tra le ruote a Putin(1).
Nubi nere in vista per il gasdotto Northstream, il cui progetto prevede la posa delle tubazioni sotto il Mar Baltico (mossa che consentirebbe alla Russia il risparmio del pagamento delle royalties a Estonia e Lettonia) ma la mossa a sopresa del referendum popolare(2), ha consentito alla UE di sospendere l'avanzamento dei lavori della Pipeline.
Anche la Germania, per bocca di Angela Merkel, ci mette del suo: "non sono state superate tutte le difficoltà", e bisogna impegnarsi in tal senso per eliminare le riserve reciproche. Restano insomma parecchi punti di domanda sul "tubo" sottomarino che bypassa Varsavia, Tallin, Vilnius e Riga.
A questo punto e considerato l'ostruzionismo che la Russia sta riscontrando con i paesi dell'Europa settentrionale ed orientale, non rimane che puntare tutto nel "passaggio a Sud" in particolar modo sul gasdotto Southstream che attraversa i seguenti paesi: Russia-Bulgaria-Grecia per riaffiorare ad Otranto, nelle Puglie.
Gazprom, società energetica del Cremlino è parecchio interessata anche ai gasdotti che dall'Africa settentrionale giungono in Sicilia e sono già stati fatti diversi accordi(3) che hanno garantito alla Russia, la gestione in prima persona dei giacimenti libici ed algerini.
Ma un nuovo colpo è stato appena messo a segno dalla "diplomazia energetica" russa: è stato siglato un accordo con la Libia per la costruzione di un altro gasdotto(4), salgono così a 4 le pipeline che
faranno delle nostre regioni, il punto di snodo del gas euro-afro-asiatico per il rifornimento delle industrie e delle case degli europei.
[1] Portalino, 17 giugno 2008
[2] Kommersant, 28 maggio 2008
[3] "Vicino l'accordo Gheddafi-Putin, per l'hub del gas è quasi fatta"
[4] Alice News, 11 luglio 2008
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L'accordo con la Russia da i primi frutti: benzina scontata in Sicilia
Non tardano a farsi sentire i benefici dell'acquisto da parte della Lukoil, una società energetica russa, controllata dal Cremlino, di buona parte del polo petrolchimico di Priolo(1).
Le voci della compravendita circolavano da tempo negli ambienti finanziari e tecnici e si sono materializzate il 24 giugno, quando sul sito web della Erg, veniva annunciata l'operazione che ha così portato nelle casse della società di Garrone, ben 1.347,5 milioni di euro.
Sempre dal sito della ERG, leggiamo: "Il controvalore implicito relativo al 100% degli assets oggetto del conferimento è pari quindi a 2.750 milioni di euro, non inclusivo del valore di mercato dello stoccaggio minimo operativo. L’accordo prevede inoltre il riconoscimento ad Erg Med di un’opzione ‘put’ relativamente alla propria partecipazione del 51%"
Una operazione ‘put’, consiste nel diritto di Erg di vendere, in questo caso entro cinque anni, il restante 51% di Erg Med a Lukoil a un prezzo che non potrà eccedere, né in positivo né in negativo, un determinato intervallo che, nel caso specifico, va dai due ai 2,75 miliardi di euro.
Usando un gergo a noi più consono, i russi si riservano la possibilità di comprarsi tutta la società.
Erg ha semplicemente fatto cassa togliendosi quasi metà delle rogne di una raffineria vecchia 33 anni, che insiste in un’area che necessita di pesanti investimenti di bonifica (Priolo è uno dei primi 15 siti di interesse nazionale da bonificare secondo il DM del 10 gennaio 2000, zona Erg Med inclusa) e che ha il fiato sul collo della politica siciliana da un pò di tempo a questa parte.
Lukoil, da parte sua, si trova mezza raffineria chiavi in mano, senza dover presentare neanche un foglio in carta bollata, e ha diritto così a 160mila barili al giorno di gasolio che potrebbero presto diventare il doppio. Erg, infatti, dopo anni di proclami sul rilancio dell’attività dell’Isab di Priolo ha trovato la sua exit strategy...
L'acquisto di una grossa fetta delle raffinerie siciliane da parte della Lukoil risponde alla strategia di investimenti e di avvicinamento della Russia al Sud Italia, come abbiamo scritto più volte sui nostri editoriali(2), ma è soprattutto una conferma ai movimenti geo-politici che stanno rendendo nuovamente protagoniste le nostre terre, riportando loro quella centralità a cui da secoli erano abituate.
Che il Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo abbia santi in Russia, lo avevamo svelato già nel 2007(3), ma la mossa del Presidente della Regione Siciliana di scontare la benzina in Sicilia(4) a nemmeno un mese dall'affare Priolo-Lukoil, dovrebbe ormai convincere anche i più scettici...
[1] La Stampa, 24 giugno 2008
[2] Ns. Editoriale: "Il ritorno dei russi"
[3] Ns. Editoriale: "Perchè non ci molleranno mai(seconda parte)"
[4] Agenzia AGI, 14 luglio
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lunedì 14 luglio 2008
Riconoscimento a Ferdinando di Borbone “RESTAURATORE DELLA PATRIA”
ALL'INTERNO IL VIDEO DELLA COMMEMORAZIONE
La giunta municipale, con delibera del 17 aprile, ha accolto la proposta dell'assessore alla cultura del comune di Noto Avv. Francesco Balsamo di apporre a Ferdinando II di Borbone una lapide commemorativa nella piazza Stella Maris di contrada Calabernardo, nella facciata del Dott. Salvatore Mortellaro che ha immediatamente aderito alla richiesta di concedere l'autorizzazione e che durante la celebrazione è stato ringraziato pubblicamente dall’assessore alla cultura.
Sabato pomeriggio 10 maggio 2008 è stata scoperta la lapide a Re Ferdinando II di Borbone. Non è stato un buon pomeriggio da un punto di vista climatico, vento forte e freddo ha scoraggiato una più numerosa partecipazione di pubblico, si era in pochi ma buoni, come è stato detto da alcuni presenti.
Sono intervenuti solo per citare qualcuno: il Vicesindaco di Noto Francesco Carestia, gli assessori Avv. Balsamo, Caruso, Tordonato, il Presidente del Comitato di Calabernardo, il Parroco della Parrocchia di Calabernardo (chiamata dai netini “Balata” ) dedicata a S. Guglielmo etc.Prima della cerimonia di scopertura ha preso la parola l’assessore Balsamo che ha spiegato le motivazioni della posa della lapide. L’idea è nata – ha detto- quando il comitato ha chiesto al Comune di Noto di apporre la toponomastica alla contrada di Calabernardo (ricordo che il viale principale della contrada è stato intitolato a Ferdinando II).
Quindi si è pensato di dare un giusto riconoscimento anche se molto tradivo, al Re Ferdinando II di Borbone. Indipendentemente dal giudizio storico sul regime borbonico, che la storiografia moderna sta rivalutando, il regno di Ferdinando è stato per Noto un periodo molto positivo. Il Re è chiamato dai netini del tempo “Il Restauratore della Patria” perché fu colui che nel 1837 restituì alla città di Noto il rango di Capovalle che le era stato tolto, dopo 9 secoli, con la riforma del 1817; nel 1844, concedendo al Papa il regio assenso (allora necessario) rese possibile l'erezione della Diocesi di Noto(antica aspirazione dei netini fin dal 1400) donando al nuovo Vescovo mons. Menditto la Regia Abbazia di S. Maria dell'Arco con le sue rendite, al fine di costituire la mensa vescovile.
Il ritorno di Noto al rango di “Capovalle” favorì una serie di manifestazioni e di interventi di decoro urbano molto concreti: La Biblioteca, la Porta Reale chiamata Porta Ferdinanda; la statua del Re sistemata in quella che era chiamata “U Tunnu Re” cioè la Rotonda del Re oggi piazza Landolina; il Teatro e tutta una serie di veicoli viari ancora esistenti e efficienti.Lo stesso sovrano negli anni 1837-38 per ben quattro volte, con la regina e il seguito, venne a visitare Noto, sbarcando a Calabernardo (allo scalo di Balata) ed ospitato negli appartamenti detti "reali" all'interno del Palazzo Landolina dei Marchesi di S. Alfano.
Queste quattro visite mettono in luce la grande considerazione che il Re aveva per Noto, città che ricambiò questa considerazione con una assoluta fedeltà causa dopo l’unità d’Italia della perdita del capoluogo a favore di Siracusa.E' questo, come ha sottolineato assessore Balsamo un doveroso atto di riconoscenza della città di Noto ad un Sovrano che la beneficò più volte a distanza di quasi due secoli dall'unità d'Italia.
Noto da, quindi, un piccolo contributo ad una rilettura positiva della storia dei Borboni. La lapide è stata scoperta dal Vice-Sindaco Carestia fra gli applausi dei partecipanti. Alla fine della cerimonia è stato distribuito un opuscolo che descrive le quattro visite di Re Ferdinando a Noto.
Corrado Arato
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giovedì 10 luglio 2008
Garibaldi resti al Nord (rassegna stampa)
(clicca sull'immagine per leggere l'articolo)
Una mia lettera pubblicata da un giornale lombardo (La prealpina)
Davide Cristaldi
Comitato Storico Siciliano
Una mia lettera pubblicata da un giornale lombardo (La prealpina)
Davide Cristaldi
Comitato Storico Siciliano
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giovedì 3 luglio 2008
Capo D'Orlando(ME) - Piazza Garibaldi cambia nome
Venerdì 4 luglio alle ore 19.30 durante una cerimonia ufficiale, verrà intitolata la piazza antistante la stazione ferroviaria. L’Amministrazione Comunale, così come anticipato nei giorni scorsi, ha stabilito che la piazza, ammodernata così come il parcheggio che sempre venerdì sarà aperto alla fruizione, diventerà piazza “IV Luglio”
L'anno scorso, sempre nel comune messinese, fu cambiata piazza "Ruggero Di Lauria" in piazza "Blasco d'Aragona".
Questo in ricordo per il 4 luglio 1299, quando sulla spiaggia e nelle acque del mare antistante Capo d’Orlando, si combattè una tremenda battaglia nella quale non ci furono prigionieri, ma dove perirono 6.000 Siciliani.
Oltre al Sindaco Enzo Sindoni alla Giunta ed ai Consiglieri Comunali presenzierà alla cerimonia anche Carmelo Caccetta, Presidente dell’Archeoclub d’Italia, sede comprensoriale di Capo d’Orlando, racconterà la battaglia il Prof. Corrado Mirto, già Prof. Associato di Storia Medioevale Università di Palermo e membro della Società di Storia Patria Siciliana.
La cittadinanza è invitata a partecipare.
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martedì 1 luglio 2008
I sudditi di Re Mida
Sull'asse Gioia Tauro-Augusta (ponte compreso) graviterà presto la totalità del traffico oriente-occidente, che con il crollo economico degli USA si sposterà sulla tratta CINA-EUROPA.
Saranno così tagliati fuori dalla "Via dei Containers" i porti di Amsterdam e di Amburgo (che attualmente risultano i più movimentati d'Europa) per via dell'eccessiva distanza rispetto ai porti del Mediteranneo più vicini ed accessibilii alle navi porta-container provenienti dalla Cina.
A contribuire alla nuova definizione delle tratte commerciali vi è anche l'impennata dei prezzi dei carburanti, le navi cinesi preferiranno scaricare le loro merci a Gioia T. e non ad Amburgo, per risparmiare i dollari sul trasporto.
L'area dello Stretto diventerà quindi l'area più strategica del pianeta Terra, e l'economia globale dipenderà da quei tre km di mare, è chiaro dunque che la militarizzazione del luogo è d'obbligo, anche per proteggere gli interessi economici delle altre nazioni.
Diverso è il discorso sulla militarizzazione dei campi di grano siciliani, annunciato dai quotidiani isolani: la crisi agricola e le speculazioni sulle commodities hanno fatto schizzare alle stelle i prezzi e le nazioni ormai proibiscono l'export di materie prime come grano, soja e riso.
Tale situazione rende altamente strategiche le riserve agricole dei cereali perchè da queste, oggi più che mai, dipende l'alimentazione della popolazione, infatti senza pasta e pane si verificherebbero quasi certamente delle gravi insurrezioni.
Chissà perchè hanno aspettato 150 anni per trovare la soluzione alle grassazioni nelle campagne dove i contadini hanno persino paura ad entrare nelle loro proprietà.
Ora che il "granaio" è in pericolo non c'è mafia che tenga...
E se Re Mida ogni cosa che toccava la tramutava in oro, i suoi sudditi, che in questa metafora rappresentano i siciliani, l'oro che gli passa davanti il naso non lo possono nemmeno toccare
Speriamo che presto, il cosiddetto "mercato" che si appresta a cambiare l'economia mediterranea, si ricordi anche di noi, perchè i politici se lo scordano facilmente...
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L'Arsenale Borbonico di Palermo
Nella parte superiore della facciata, al centro, sormontata dallo stemma borbonico a testa d'aquila, si trova una iscrizione marmorea che riporta la seguente scritta: Philippi IV Hispan, utriusque Siciliae regis III, auspiciis augustis navale armamentarium, inchoatum, pefectum MDCXXX.
(Con i fausti auspici di Filippo IV di Spagna, III re delle Due Sicilie)
L'uso attuale dell'Arsenale è condizionato dai prossimi lavori di restauro e il provvisorio allestimento di mostre, convegni e manifestazioni culturali da parte del Comitato pro Arsenale Borbonico ha come scopo principale, senza fini di lucro quello di tenere sempre alta l'attenzione verso il completo utilizzo del seicentesco edificio.
L'Arsenale oggi è sede del Museo del Mare...
L'Arsenale si trova ubicato nella parte terminale dell'attuale Via Cristoforo Colombo e confina ad est con la sede della Fincantieri ed ad ovest con la splendida villa dei Marchesi De Gregorio. Dal lato meridionale è separato dal mare da un padiglione demaniale adibito ad officina del cantiere navale.
Nella parte retrostante dove attualmente si lavorano le lamiere, esisteva una zona coperta, (bombardata durante l'ultima guerra) che veniva utilizzata per la costruzione delle imbarcazioni della Real Marina o di armatori privati. La Via del Molo, antico nome dell'odierna strada, era molto importante per la vita di tutta la città anche perché da essa doveva necessariamente passare, chi arrivava o partiva da Palermo in quanto tutte le navi di una certa stazza, ormeggiavano in prossimità dell'Arsenale.
Il molo era noto a tutti, in quanto denominato "La Muraglia d'argento", poiché, l'opera , colossale della costruzione del nuovo porto di Palermo, realizzata fra il 1567 e il 1590, era costata tanti scudi d'argento (circa 6 milioni) Tutta la zona circostante il monumento dovrebbe essere valorizzata in quanto oggi costituisce una naturale area museale. Infatti nelle vicinanze si , trovano il Palazzo Montalbo, Villa De Gregorio, il Cippo Smiriglio, il Bacino in pietra dei Florio, i Cantieri Florio, il Cimitero Inglese, il Lazzeretto, la Nave di Pietra, lo Stabilimento Termale dellAcquasanta.
L'Arsenale è stato eretto nel 1621-30 su progetto dell'architetto palermitano Mariano Smiriglio che anche in altre sue opere ha interpretato il manierismo italiano. L'edificio occupa uno spazio rettangolare. Al piano terra vi sono sei arcate che proseguivano nell'atrio retrostante oggi non più coperto. Le arcate, attualmente tompagnate, ospitavano gli scafi in costruzione che su scivoli venivano poi varati.
All'interno dell'Arsenale sono custoditi due cannoni che nella parte retro-superiore hanno lo stemma borbonico; questi cannoni quasi certamente erano posti a guardia della parte settentrionale della Città.
L'Arsenale oggi, in via di restauro, è sede di provvisori allestimenti di mostre, di convegni e di manifestazioni culturali, promossi dal Comitato pro Arsenale Borbonico.
http://www.arsenaledipalermo.it/
Museo del Marevia Cristoforo Colombo, 142
Orari di visita
mar-dom 9.30 - 12.30
Comitato pro Arsenale Borbonico
Tel. 091 582049
Uffici: Piazza Marina 71
Pino Marinelli
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