mercoledì 23 luglio 2008
L' isola Ferdinandea
La Sicilia è stata chiamata anche, « l’isola del fuoco» per il suo vulcano Etna, ma sarebbe meglio chiamarla «isola del fuoco in un mare di fuoco» se si pensa che quasi tutte le piccole isole che le fanno corona sono di origine vulcanica.
I fenomeni vulcanici nel mare che circonda l' Isola sono noti fin da tempi antichissimi.
Aristotele, nel libro delle Meteore, racconta che l'isola di Vulcano, nelle Eolie, spuntò dal mare fra il fragore di esplosioni vulcaniche; lo Stromboli comparve poco prima dell'età di Plinio, e gli storici romani ricordano eruzioni sottomarine nel canale di Sicilia.
In questo tratto del Mediterraneo le eruzioni sono più frequenti che altrove e si verificano particolarmente nel tratto di mare che va da Capo Granitola a Capo Bianco, in corrispondenza di quei bassifondi detti banchi o secche, alcuni dei quali sono ricoperti di coralli: i famosi banchi di Sciacca. Dall’eruzione avvenuta su uno di questi banchi in epoca immemorabile, nacque l'isola di Pantelleria, esempio perfetto di isola vulcanica che culmina nella Montagna grande, avanzo di un cratere vulcanico contornato da altri 24 crateri detti «cuddìe».
Precisamente fra Pantelleria e Sciacca, nel 1831, spuntò un’Isola vulcanica che, dalla sua nascita alla sua scomparsa, poté essere seguita e studiata dai più illustri scienziati dell’epoca.
Il 28 giugno 1831 si cominciarono ad avvertire a Sciacca ripetute scosse di terremoto (avvertite anche a Palermo) che durarono fino al 10 luglio e produssero lesioni in alcune case. Il mare, nel tratto nel quale doveva sorgere la nuova isola, fu violentemente agitato, come asserì il capitano Pulteney Malcon il quale vi passò col suo bastimento. Il 4 luglio si avvertì odore di idrogeno solforato proveniente dal mare, in quantità tale da annerire gli oggetti d'argento.
Il 13 luglio, si vide nettamente dalla piazza di S. Domenico, sempre di Sciacca una colonna di fumo, alla distanza di circa 30 miglia, nel luogo detto: « secca di mare ». Si pensò ad un piroscafo di passaggio; poi, data la persistenza del fumo, ad un piroscafo in fiamme. In quello stesso giorno il capitano Francesco Trafiletti. Comandante del brigantino Gustavo, proveniente da Malta, riferì che a 30 miglia da Capo S. Marco aveva notato un ribollimento delle acque che aveva creduto effetto dell’ agitarsi e del dibattersi di grossi cetacei.
La colonna di fumo, il ribollimento delle acque ed i boati furono notati dal 13 al 15 luglio anche dal capitano Mario Provenzano, comandante la bombardiera Madonna delle Grazie, che faceva rotta per Malta.
Due giorni dopo il capitano Corrao di Sciacca ed i marinai che tornavano dalla pesca, passando da quel punto notarono gran quantità di pesci galleggianti, alcuni morti, altri tramortiti ed una colonna di fumo di circa 15 metri di altezza che si alzava impetuosamente dal mare, accompagnata da forti brontolii e dal gorgoglio delle acque circostanti.
Dopo un paio di giorni cominciò l’eruzione di lapilli, di pomici. di tufi e di scorie infuocate che, cadendo roventi nel mare, ne determinavano uno spumeggiante stridore e si spingevano fino alla spiaggia di Sciacca.
Il 17 luglio si era già formato un isolotto che cresceva rapidamente in dimensioni e in altezza.
La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto una barca peschereccia comandata da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola.
Questa era sorta a 37°, 11’ di latitudine nord e 12°, 44’ di longitudine est da Greenwich, in una zona profonda 180 metri, sul banco detto
« secca di mare » che fu poi chiamato banco Graham.
La notizia della nascita della nuova isola si sparse rapidamente; da Palermo fu inviata la real corvetta Etna, al comando del capitano di fregata Raffaele Cacàce; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. I fenomeni eruttivi furono intensissimi dal 18 al 24 luglio, poi cessarono fino ad estinguersi nei primi di agosto, epoca in cui l’isola raggiunse il suo massimo sviluppo: 4800 metri di circonferenza e 63 metri di altezza massima.
Essa si presentava di forma circolare ed era irregolarmente alta; infatti dal lato di nord-est aveva la sua massima altezza, dal lato sud era alta appena m. 8,50 ed ancor meno dal lato ovest. Nel mezzo era un falso piano che nella parte nord comunicava col mare ed in esso si apriva il cratere della circonferenza di 184 metri, dove si aprivano due bocche eruttive, dalle quali venivano emessi ad intermittenza, i materiali vulcanici. L'eruzione durava da mezz'ora ad un'ora e poi riprendeva dopo qualche minuto, determinando così una deposizione a strati dei materiali eruttati. Cessata l'eruzione, le due bocche del cratere si riempirono di acqua marina che vi entrava da nord e si trasformarono così in due laghetti dove l'acqua mandava vapore fino alla altezza di qualche metro. Uno dei due laghetti aveva una circonferenza di venti metri ed una profondità di due l’acqua contenuta era di color giallo rossastro ed aveva sapore salino piccante; l'altro laghetto era più piccolo e l'acqua aveva color giallo e sapore sulfureo. L'analisi delle dette acque dimostrò trattarsi di acqua marina con sali ferrosi ed idrogeno solforato.
L'eccezionale fenomeno geologico fu osservato e studiato da numerosi scienziati fra cui i tedeschi Hoffinann, Schultz e Philippi, gli inglesi Davy e Smyth, i francesi Jonville e Prévost. Fra gli italiani furono: Domenico Scinà (1765-1837) che pubblicò le sue osservazioni nelle « Effeméridi siciliane » (1832 - Vol. 2°) e Carlo Gemmellaro (1787-1866) professore di geologia e mineralogia nell'Università di Catania, il quale pubblicò una chiara e precisa relazione negli « Atti dell'Accademia Gioenia di Catania » (1831 - Vol. 8°). Molti furono i curiosi che si recarono a Sciacca per portarsi sulla nuova isola ed alcuni di essi ne hanno lasciato descrizioni in giornali e, riviste dell'epoca, specialmente gli stranieri. fra cui, in particolare modo, gli inglesi, due dei quali, malgrado il calore emanato dai materiali eruttivi, nei quali si affondava fino alla caviglia, con la classica flemma britannica, si sedettero a far colazione!
Gli inglesi ebbero una particolare predilezione per la nuova isola che si trovava sulla rotta per Malta.
La Gazzetta di Malta del 10 agosto 1831 riferiva che il capitano Sanhouse, comandante del cutter Hind, il 2 agosto era sbarcato sulla isola e vi aveva piantato la bandiera inglese; un altro inglese, il 7 agosto partì da Sciacca con la barca di Domenico Cusumano, portando una bandiera inglese che avrebbe piantato nell'isola, ma vista la furia del vulcano, stimò più prudente starsene ad un miglio di distanza.
All'isola furono dati sette nomi: Sciacca, Nertita, Corrao, Hotham, Giulia, Graham, Ferdinandea.
La Società Reale e la Società di geologia di Londra adottarono il nome di Graham, uomo politico inglese che partecipò alle vicende della costituzione siciliana del 1812 e fu poi ministro degli interni quando furono aperte le lettere di Mazzini che, comunicate al governo borbonico, causarono la fucilazione dei fratelli Bandiera e dei loro animosi compagni.
Ad osservare l'evento accorsero navi e scienziati di vari Paesi, dal Regno delle Due Sicilie, alla Svizzera, alla Germania, alla Gran Bretagna. Una relazione sul fenomeno eruttivo fu pubblicata da Carlo Gemmellaro, professore di Storia Naturale all'Università di Catania, che vi fece un sopralluogo il giorno 11 agosto 1831. Poiché Re Ferdinando si trovava a Palermo per il suo viaggio di nozze, lo scienziato suggerì che l'isola gli fosse intitolata. Per effetto di un regio decreto del 17 agosto, l'isola Ferdinandea fu annessa al Regno delle Due Sicilie, ed intitolata al sovrano borbonico come proposto dal Gemmellaro.
Lapide deposta da Carlo di Borbone, ultimo discendente delle Due Sicilie
Il 29 settembre il francese Derussat, che faceva parte della spedizione scientifica del prof. Prévost, issò la bandiera francese sulla parte più alta dell'isola, alla quale fu dato il nome di Giulia a ricordo della sua apparizione nel mese di luglio. Intanto la nuova isola, flagellata dalle onde, diminuiva progressivamente; quando la visitò il Prévost il suo perimetro era ridotto a 700 metri. Verso la fine di ottobre l'isola emergeva di circa un metro dal livello del mare ed il cratere era appena riconoscibile. L'8 dicembre il capitano Vincenzo Allotta, comandante del brigantino Achille, al posto dell'isola trovò una piccola colonna di acqua calda « con puzza di bitume ».
Il 10 dicembre 1831 Benedetto Marzolla, dipendente dell' Officio Topografico del Regno delle Due Sicilie, pubblicò una "Descrizione dell'Isola Ferdinandea nel mezzo-giorno della Sicilia", comunicando che il precedente 12 luglio un vulcano era emerso dal mare e, dopo numerose eruzioni, aveva lasciato un'isoletta. Era un piccolo pianoro di sabbia nera e pesante, tanto friabile da non sostenere il peso di una persona; nel centro vi sorgeva un colle e poco discosto c'era un laghetto di acqua fumante, dall'acre odore di zolfo.
Il 17 dicembre due ufficiali dell'Ufficio topografico di Napoli, recatisi sul posto, trovarono che tutta l'isola era stata coperta dal mare. Nel gennaio dell'anno successivo (1832) il vice ammiraglio Hugon e il capitano Swinburne trovarono solo un bassofondo. Verso la fine del 1835 al posto dell'isola esisteva un piccolo monte subacqueo esteso per circa 1100 metri e la cui cima era a circa tre metri dalla superficie del mare, costituendo un pericolo per la navigazione. Il 12 agosto 1863 il cratere si riaprì ed in pochi giorni si formò una nuova isoletta che fu subito distrutta dalle onde marine.
Secondo gli ultimi rilievi fatti dall'Istituto Idrografico della Marina Militare (1925) dell'isola rimane, nella parte sud orientale del banco Graham, un cono vulcanico, la cui base ha la forma di un cerchio di circa 500 metri di diametro, alla quota di circa 25 metri sotto il livello marino e la cui sommità sale ad otto metri sotto il livello del mare.
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