giovedì 31 dicembre 2009

SONDAGGIO/CORRIERE: Ferdinando II di Borbone personaggio più importante di sempre.

Il podio del «Superpersonaggio storico»:Ferdinando II, Eduardo e Federico II. Il re, il drammaturgo e l'imperatore vincono la prima edizione del sondaggio di «Napoli. Lezioni di Storia»



NAPOLI - Il Mezzogiorno ha ancora un'anima borbonica? Si direbbe di sì a giudicare dai risultati del sondaggio «Vota il personaggio storico preferito», divertissement storico collegato al fortunato ciclo «Napoli. Lezioni di Storia», organizzato da Confindustria Campania con la cura scientifica di Giuseppe Galasso. Alla fine ha vinto Ferdinando II con il 40.3% (721 voti su 1789).Secondo classificato De Filippo con il 28.6% (511 preferenze). Terzo Federico II con 291 voti (16.3%). Seguono nell'ordine: Caravaggio (3.7%, 66 voti), Giambattista Vico (3.5%, 62), Salvatore Di Giacomo (3%, 54) Publio Virgilio Marone (1.8%, 33), Cesario Console (1.6, 29) e, ultimo, Pedro de Toledo (1.2%, 22).

IL VINCITORE - Ferdinando di Borbone nacque a Palermo il 12 gennaio 1810, primogenito di Francesco I delle Due Sicilie e della sua seconda moglie, Maria Isabella di Borbone-Spagna. Salito al trono del Regno delle Due Sicilie nel 1830, ad appena vent'anni. Reintegrò in servizio molti ufficiali che avevano militato sotto Gioacchino Murat e che erano stati sospesi durante i moti del 1820, testimonia la sua volontà di contemperare il vecchio ed il nuovo in un regno che era stato spazzato furiosamente dai venti napoleonici. L'ondata rivoluzionaria che scosse l'Europa nel 1848 toccò anche il Regno di Ferdinando II. All'inizio dell'anno scoppiano sommosse in tutto il reame - Ferdinando II il 29 gennaio concede la Costituzione del Regno delle due Sicilie. Tra il 1849 e il 1851, a causa della dura repressione portata avanti da Ferdinando II, molti andarono in esilio; tra rivoluzionari e dissidenti, circa duemila persone furono incarcerate nei penitenziari del regno borbonico. L'8 dicembre 1856, giorno dell'Immacolata, Ferdinando II assistette a Napoli alla messa con la famiglia, gli alti funzionari governativi e moltissimi nobili del suo seguito. Dopo la celebrazione, il sovrano passò in rassegna a cavallo le truppe sul Campo di Marte. Fu allora che il soldato calabrese Agesilao Milano, rotte le righe, si lanciò su di lui e lo ferì con un colpo di baionetta. Secondo alcuni Ferdinando non guarì mai completamente dalla ferita e la sua morte, avvenuta poco meno di tre anni dopo (il 22 maggio 1859 morì a Caserta).

FONTE: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/salerno/notizie/arte_e_cultura/2009/22-dicembre-2009/podio-superpersonaggio-storicoferdinando-ii-eduardo-federico-ii-1602193554770.shtml


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mercoledì 30 dicembre 2009

La solita notizia italiota ingigantita per distruggere il commercio meridionale

A due giorni dal capodanno, la solita notizia ingigantita e meritevole di querela, viene lanciata dai mass-media italioti con lo "stile mussoliniano di entrata in guerra".



Ci risiamo, i media nazionali tornano ad attaccare i prodotti agricoli meridionali (gli unici ad avere mercato, causa l'atavica assenza dell'industria al Sud) che tanto fastidio danno ai produttori del Nord.

In questi ultimi tempi grazie ad Internet abbiamo scoperto l'altra faccia della medaglia, ovvero tutte le nefandezze alimentari ed i reati connessi che si verificavano al Nord e subito nascosti dai mezzi di informazione nazionali e compiacenti, mentre venivano riportati solo nelle cronache locali.

Ma ormai anche i giornali più piccoli hanno il loro siti internet e così abbiamo scoperto che truffe ben più gravi ed onerose venivano commesse al Settentrione, mentre quelle che passavano sul TG5 o sul TG1 erano solo quelle, che si verificavano al Sud.

Nel caso dei "gamberoni Rosa" di Mazara del Vallo, essi sono ritenuti da più esperti eno-gastonomici tra i più pregiati del mondo e non sono certo la paccottiglia maleodorante che si trova nei vari centri commerciali che viene importata dall'India o dalla Thailandia dalle aziende del Nord Italia, approfittando del basso costo del prodotto e della bassa qualità.

(Non comprate mai il tonno "pinna gialla" proveniente dai mari tropicali, tanto osannato nella pubblicità dalla industrie conserviere padane, ma preferite il mediterraneo "tonno rosso")

Se ancora non l'avete capito, l'operazione di diffamazione del gambero rosa, a due giorni dalla festività di fine anno, rappresenta il chiaro intento di boicottare il prodotto meridionale a favore di un prodotto che non è nemmeno italiano, ma la cui importazione viene gestita dalle potenti aziende di import-export della Val Padana.

La diffamazione appare subito chiara quando si legge:

TRAPANI - Erano pronti per finire sulle tavole a Capodanno, con il rischio di serie conseguenze per la salute di chi li avrebbe consumati. Gamberoni decongelati, ma commercializzati come freschi. I crostacei erano destinati alla vendita nelle regioni del Nord.

Nei fatti un gambero decongelato non è assolutamente dannoso per la salute, prova ne è che tale formula di vendita è utilizzata proprio nelle regioni settentrionali, le quali essendo lontane centinaia di chilometri dal mare e comunque dalle zone di produzione, sono costrette ad utilizzare questa tipologia di vendita per tenere i prezzi bassi.

Ciò significa che o i gamberi venduti nei supermercati del nord sono fuori legge oppure come è naturale che sia, i gamberi decongelati non sono assolutamente dannosi per la salute.

Dunque non si tratta della messa in vendita di prodotti scaduti, come è stato fatto chiaramente intendere negli articoli dei giornali settentrionali, che è un reato molto grave, ma di un tentativo di guadagno fraudolento.

E' chiaro che sempre di reato si tratta, ma non si capisce come mai allora quando sono i panettoni ad essere immessi in maniera fraudolenta sul mercato, per di più scaduti e a due giorni dal Natale, nessuno al Sud lo debba sapere....

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lunedì 14 dicembre 2009

Buttatelo giù!



Sembra la parola d'ordine che, dall'inizio di questa estate a questa parte, rimbomba da ogni dove e sui mezzi di informazione mainstream, i quali hanno fatto da cassa di risonanza al dissenso politico organizzato e non, nei confronti dell'attuale governo.

Nell'ultimo editoriale avevamo dato un'anticipazione ("La prossima Tangentopoli? Partirà da via D'Amelio", non a caso giusto in questi giorni un pentito di nome Spatuzza accusa Berlusconi di aver collaborato con la mafia e di essere il mandante delle stragi) di ciò che oggi sta succedendo.

Quanto segue, è un resoconto degli ultimi fatti, analizzati secondo il filo logico che da sempre lega le notizie riportate su questo sito, ovvero l'alleanza Berlusconi-Putin che tanto dispetto provoca all'asse anglo-americano.

Il caso Marrazzo

Dopo "Villa Certosa" e l'affare "Noemi Letizia", ecco che un altra tegola cade sul capo di Silvio: il Caso Marrazzo, in cui l'ex conduttore battagliero di "Mi manda Raitre", nel frattempo diventato presidente della regione Lazio per conto del PD, viene beccato in un video con un transessuale, poi ucciso in strane corcostanze, in una squallida casa della periferia romana.

Direte voi, ma che c'entra Berlusconi in tutto ciò?Per noi nulla, ma per Michele Santoro e Marco Travaglio della trasmissione Anno Zero, c'entra eccome se c'entra:

"Una puntata quella di Annozero di ieri sera in cui Michele Santoro non ha perso l'occasione per mettere sotto i riflettori il ruolo del premier Silvio Berlusconi nella vicenda. Cosa che ha provocato l'ira del ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, che ha diffuso una nota per stigmatizzare la trasmissione di Raidue"(1).

A pensarci bene però, quale miglior colpo per Berlusconi, sfruttare l'occasione per demolire la presunta superiorità morale con cui il PD da sempre si da un tono.
Eppure, ascoltando i TG e le programmazioni sul caso, ci è sembrato quasi di percepire un'associazione tra Berlusconi e l'omicidio del transessuale Brenda, dalla cui scena del crimine appare chiaro il messaggio: le hanno voluto tappare la bocca.

Ma era Brenda il vero l'obiettivo del killer?


Un omicidio di quella portata non viene certo eseguito da sprovveduti principanti, considerato gli attori e la posta in gioco (in questo caso la reputazione di un importante politico e di altri vip che frequentavano il trans)
Ci è sembrato strano che l'assassino non abbia distrutto il computer (limitandosi ad uccidere Brenda) che poteva contenere delle informazioni compromettenti, limitandosi a metterlo "ammollo" nella vasca da bagno.
Un "professionista" dovrebbe sapere che un pc messo "bagno maria" non perde i propri dati.
Esistono delle società informatiche che recuperano la memoria da un hard disk, anche se questo è stato formattato più volte e perfino da quelli guasti o distrutti.

E' possibile che l'assassino abbia un altro movente, ed abbia depistato facendo cadere l'attenzione degli investigatori sul contenuto del computer? La verità la sapremo quando ci diranno cosa c'era effettivamente su quel pc.

Il caso D'Addario

Qualcosa di simile era successo per l'affare D'Addario, un altro tegolone finito dritto in testa al presidente del Consiglio, nel quale il premier fu accusato dai media dell' organizzazione di festini , nella sede di Palazzo Grazioli a base di escort e belle accompagnatrici.

Così mentre ancora infuriavano le polemiche sul caso, qualcuno bruciò l'auto di Barbara Montereale, la modella amica della D'Addario con la quale si era recata Palazzo Grazioli e che rivelò ai giornalisti la tresca con Berlusconi.
Anche in questo caso la scena del crimine farebbe sembrare ad un tentativo di "cucitura della bocca" così come appare normale pensare a Berlusconi come il mandante.


La domanda è: Silvio si abbasserebbe a così tanto pur sapendo che il fatto sarebbe divenuto di dominio pubblico?Abbiamo i nostri dubbi, ma andiamo avanti.

Il caso Fini

Su "La prossima Tangentopoli? Partirà da via D'Amelio" del 9 ottobre 2009 avevamo parlato degli incontri londinesi più o meno segreti del Council of Foreign Relations di cui sono membri Gianfranco Fini e Leoluca Orlando (Italia dei Valori).
Come già spiegato il CFR è un organo sovranazionale di cui fanno parte i politici europei più in vista e dove spesso è stata decisa la politica interna ed esterna dei singoli stati europei, ma sempre in chiave filo-americana ed anti russa.

In particolare avevamo scritto:

"Fini, ormai rappresenta un'enclave dell'opposizione all'interno del PDL, ha deciso di eseguire quanto concordato all'interno del Council of Foreign Relations, a giudicare dai contrasti continui con Berlusconi. E' incredibile infatti come gli ideali di Fini siano passati in così poco tempo da destra a sinistra"

Proprio in questi giorni è arrivata la rottura che ha compromesso definitivamente i rapporti tra il presidente della Camera ed il Premieri: "Per me è fuori dal partito" tuona Berlusconi.
Infatti non c'è ormai questione affrontata da Berlusconi che non trovi opposizione da parte del Presidente della Camera, persino sull'affare dei processi al Premier, argomento su cui Berlusconi è suscettibilissimo.

L'affare D'Alema

Una volta "delfino" dei poteri forti, gli affetti su di lui si sono progressivamente raffreddati da quando si è fatto vedere in veste meridionalista ed in compagnia di Raffaele Lombardo, membro del centrodestra.
Che vi fossero intese tra lui e Berlusconi si capì quando, stranamente, Silvio dichiarò il suo appoggio a Massimo D'Alema come candidato al ministero degli esteri UE:

"C’è chi ne è talmente stupito da scrivere ai giornali per chiedere come mai Berlusconi appoggi in una sede internazionale un comunista (comunisti non sono mai «ex»), per giunta un comunista che già molte volte si è comportato in passato in modo contrario agli interessi dell’Italia" (2).

In quell'occasione su parecchi giornali apparvero ed in maniera amplificata le rimostranze di alcuni paesi Ue dell'Europa Orientale:

"I Paesi dell'Est europeo ex comunisti non vogliono un ex comunista come prossimo ministro degli Esteri dell'Unione europea. Lo ha detto Tombinski, ambasciatore della Polonia presso la Ue a Bruxelles, parlando dell'ipotesi della candidatura di Massimo D'Alema al posto di Alto rappre­sentante degli Affari esteri dell'Unione europea istituita dal Trattato di Lisbona"(3).

Ma la conferma che a Londra, D'alema non è più gradito la dà proprio il Financial Times:

“Ci sono alcune semplici ragioni per l’ascesa di D’Alema, nessuna delle quali ha buone ripercussioni sull’Unione europea”. Il Financial Times, con un editoriale firmato da Tony Barber, attacca l’ex presidente del Consiglio, le cui credenziali per diventare ministro degli Esteri dell’Unione europea non sarebbero all’altezza"(4).

Al posto di d'Alema è stata eletta un'inglese(Catherine Ashton).
Strano che l'Inghilterra, paese che non ha nemmeno adotatto l'Euro e che ancora vende in dollari il petrolio alla Borsa di Londra , diriga la politica estera europea...

Ma cosa spingerebbe D'Alema a cercare azzardose alleanze con il centrodestra?

Il passaggio di consegne tra il PD e l'IDV, nuovo cavallo di battaglia dei poteri forti anglo-americani in seno all'Ue - La dissoluzione del PD.

Il motivo potrebbe essere il progressivo spostamento dell'appoggio da parte delle lobby europeiste ed anglosassoni (scontente del comportamento filo-russo di Berlusconi e di quello del PD, che al contrario di quanto sembra è dilaniato da lotte intestine e soffre di una continua perdita di consensi) verso il partito di Di Pietro, il quale negli ultimi anni ha saputo catalizzare il voto di protesta contro il governo.

Dopo l'ingresso dell'IDV nel Council of Foreing Relations di Londra, dopo le numerose pubblicazioni ed interviste concesse all''ex magistrato sul Financial Times e non solo, il partito di Di Pietro ha assunto sempre più peso a livello internazionale tant'è che il partito è cresciuto tantissimo nelle ultime elezioni amministrative, portandosi ad un livello simile a quello della Lega.





Quanto scritto sopra, lo riassume il Financial Times in due righe:

"Non esiste alternativa - Berlusconi comanda perché non esiste un’alternativa forte, sentenzia Andrews. Al punto che riscuotono successi personaggi come Antonio Di Pietro, “che recentemente ha fatto pubblicare sulla stampa estera un avviso per chiedere agli stranieri che la democrazia italiana venga salvata"(5).

Fa eco Di Pietro:

''Ci voleva l'informazione straniera per aprire gli occhi a quella italiana rispetto ad un problema grave come quello della compatibilita' politica e morale del presidente del Consiglio a governare questo Paese''. Il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro torna ad attaccare il capo del Governo, che definisce ''novello Nerone nostrano'' e a chiedere alle altre forze dell'opposizione di firmare la mozione di sfiducia proposta dall'Idv (Agenzia Iris, 27 maggio 2009)

L'appoggio internazionale che poco a poco viene a mancare al PD inizia a dare i primi effetti: il primo ad abbandonare il partito dei Democratici è stato Rutelli (un politico che ha parecchio seguito all'interno del movimento) per passare con Casini.
Dall'altro lato, sembrano esserci diversi membri del PD, che spingono verso l'IDV, appoggiandone la politica: un occasione per dividere "maschi" e "femmine"è stata la "Manifestazione Viola" organizzata dai dipietrini e che ha visto una partecipazione numerosissima di pubblico.



In quell'occasione il PD si spaccò in due pezzi, vi fù chi partecipò alla manifestazione come la Rosi Bindi e Franceschini, chi invece si rifiutò come l'attuale leader del PD, Bersani.

Questa scelta potrebbe significare che l'attuale segretario del PD, si è messo in testa di traghettare la parte più consistente del capitale politico del Partito Democratico, ormai in rotta, verso un'area centrista e dunque verso l'UDC, evitando quindi che Di Pietro si rafforzi ancora di più?
La gelosia nei confronti di Di Pietro, la rabbia per aver perso l'appoggio internazionale con il quale i politici del PD si erano fin troppo coccolati, avrebbero convinto Bersani a mettere il partito nelle mani di Casini piuttosto che cederlo al segretario dell'IDV.

Potrebbe esservi dunque un collegamento al tentativo di Beppe Grillo, noto per essere vicino all'Italia dei Valori, di candidarsi alla guida del Partito Democratico...
Se tutto ciò dovesse davvero accadere, Casini aumenterebbe parecchio il proprio peso politico, soprattutto agli occhi di Berlusconi ben contento di vedere la strada sbarrata al "nemico numero uno" Antonio Di Pietro, ma soprattutto verso chi lo appoggia.

(Saranno curiosi i risvolti che, con una situazione del genere, potrebbero esserci in Sicilia: li accenneremo nel prossimo editoriale)

A Londra hanno scelto il colore della prossima rivoluzione colorata: il viola

La rivoluzione viola, ufficialmente lanciata in Italia con la manifestazione organizzata dall'IDV, ha delle strane analogie con degli eventi organizzati in altri parti d'Europa e non solo:
Si veda la "rivoluzione arancione" messa in atto in Ucraina(2004), la "rivoluzione delle rose" in Georgia(2003), la "rivoluzione dei tulipani" in Kirghizistan(2005) , la recente "rivoluzione verde" in Iran senza contare quelle fallite in Mongolia, Bielorussia ecc.ecc. in cui vennero utilizzate tutte le colorazioni passando dal giallo al verde e così via.In Iraq ad esempio, come in Italia, fu utilizzato il viola.

Tutti i governi nati da tali "rivoluzioni" hanno "aperto" verso occidente e privatizzato le proprie risorse pubbliche, inoltre hanno ricevuto parecchi prestiti dal Fondo Monetario Internazionale, segno questo che dietro le proteste di massa possa esserci la solita lobby politico-bancaria anglo-americana. Alcune fonti indicano nel banchiere George Soros, il principale autore delle rivolte(6).

Ma c'è davvero George Soros dietro "la rivoluzione viola" in Italia?Non ci credevamo fino a quando ci siamo ricordati che uno dei due principali finanziatori del Council of Foreign Relations(di cui, lo diciamo ancora, fanno parte l'IDV e Fini) è proprio il magnate bancario americano:

"ECFR is backed by the Soros Foundations Network"(7).



(Nel prossimo post: Un analisi sulla situazione siciliana e "strane alleanze" ma non troppo)


(1) http://www.diariodelweb.it/Articolo/Italia/?d=20091030&id=110778
(2)
http://www.ilgiornale.it/interni/perche_comunista__non_puo_far_paura_alleuropa/17-11-2009/articolo-id=399594-page=0-comments=1
(3)
http://www.corriere.it/politica/09_novembre_05/polonia-no-dalema_e24298fa-ca06-11de-9720-00144f02aabc.shtml
(4)
http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=998381
(5)
http://www.libero-news.it/pills/view/17327
(6)
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6556
(7)
http://ecfr.eu/content/about/

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mercoledì 9 dicembre 2009

Sfilata del reggimento Real Marina a Porto Empedocle



In occasione della cerimonia di elevazione a "Città" del comune di Porto Empedocle, si svolgerà una sfilata del Reggimento della Real Marina borbonica di Caltanissetta.

Sabato 12 dicembre la Città di Porto Empedocle festeggia l’ufficializzazione del Decreto del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che le conferisce il titolo di Città. Per festeggiare l’evento è stata organizzata una parata storica con partenza alle ore 10 da piazza Cappadona.

Il corteo, che sarà aperto dal Reggimento della Real Marina Borbonica con tanto di armi d’epoca per ricordare i legami storici che legavano la “marina” con i Borboni, (furono infatti Carlo di Borbone, a trasformare per primo il Caricatore in un moderno porto commerciale e Ferdinando II di Borbone a decretare l’autonomia amministrativa) gli sbandieratori, la Banda Musicale “Bellini Riguccio” e delegazioni di scuole, cittadini e varie associazioni.

Il corteo percorrerà via Roma, addobbata con le coccarde tricolori, per giungere in piazza Kennedy dove intorno alle ore 11.00 si terrà la breve cerimonia di consegna del Decreto, da parte del Prefetto di Agrigento, Umberto Postiglione, al sindaco della città, Calogero Firetto.

L’evento verrà salutato da alcune salve di cannone a cura dell’Associazione Siciliana Tiro ad avancarica.

A seguire, sempre in piazza kennedy concerto della banda musicale ed esibizioni storiche e artistiche.
Per l’occasione il periodico d’informazione del Comune, “l’Empedoclino”, uscirà in edizione speciale sull’evento con commenti e testimonianze di vari personaggi empedoclini e non, a cominciare dallo scrittore empedoclino, Andrea Camilleri.


FONTE: http://www.agrigentoweb.it/porto-empedocle-diventa-citta_31981/

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martedì 24 novembre 2009

Sul Crocifisso ed il calendario


A sinistra i giacobini francesi piantano un pioppo come Albero della Libertà; a destra il risultato finale

di Salvatore Carreca
vicepresidente regionale CSS

“Togliete il Crocifisso dai luoghi pubblici!”: è questo il messaggio oggetto di discussioni e polemiche.
Nella nostra storia recente la prima volta che fu imposto di abolire i Crocifissi avvenne nel 1799 quando le armate della Francia “laica” e giacobina, guidate dal generale Championnet, invasero il Regno delle Due Sicilie. In tutti i paesi occupati i Crocifissi esposti nei luoghi pubblici vennero sostituiti con gli Alberi della Libertà detti anche “Alberi sacri della comune redenzione”.
Il passo successivo venne subito segnato da una delle prime disposizioni del governo di Napoli giacobino e filo-francese: la sostituzione del Calendario Cristiano con quello giacobino.
Ideato in Francia dall’Accademia delle Scienze, al fine di “dimostrare il livello di perfezione dell’astronomia francese” e per “sottrarre alle esigenze religiose di qualsiasi specie”, aveva come obiettivo quello di cancellare ogni riferimento al Cristianesimo, abolendo le Domeniche, tutte le festività sante e la conta degli anni dalla nascita di Cristo, partendo l’era nuova dal 22 settembre 1792, epoca della fondazione della Repubblica Francese.
I nomi dei 12 mesi, formati tutti da 30 giorni, vennero ispirati al clima di Parigi: Vendemmiale, Brumale e Frimale per l’autunno, Nevoso, Ventoso e Piovoso per l’inverno, Germile, Fiorile e Pratile per la primavera, Messidoro, Termidoro e Fruttidoro per l’estate. I cinque giorni complementari, per far tornare i conti, detti Sanculottidì erano consacrati alla festa del Genio, del Lavoro, delle Azioni, delle Ricompense e dell’Opinione. Il mese era diviso in tre decadi e, non esistendo più la Domenica, era previsto come giorno di riposo il decimo giorno.
Oggi, chi pretende che venga tolto il Crocifisso dai luoghi pubblici dovrebbe, per coerenza, proporre ed imporre con la stessa forza e determinazione l’adozione del calendario giacobino, molto laico e sicuramente non “offensivo” nei confronti dei Musulmani o di credenti di altre religioni. Coerenza vuole che gli stessi fautori della Libertà non festeggino più il Santo Natale, o la Santa Pasqua o altre ricorrenze cristiane e quindi neanche la Domenica, lavorando per 9 giorni di fila. Un primo problema nasce purtroppo per tutti coloro che, festeggiato la notte delle Zucche vuote di Halloween (10 Decadì Brumale), sarebbero costretti a recarsi al lavoro avendo improvvidamente trasformata la Festa di Ognissanti nell’ordinario 11 Primodì di Brumale.
Per risolvere dunque questi problemi i laicisti dovrebbero almeno riconoscere che è proprio il Crocifisso ad essere il simbolo laico per eccellenza dato che ci ricorda sempre: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”…. Ma ricordiamoci tutti che anche Cesare è di Dio…..

Salvatore Carreca
28 Ottavodì Brumale dell’anno 217 della Libertà (18 novembre 2009)

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lunedì 23 novembre 2009

Storia dei cannoni borbonici di Porto Empedocle

Anticipazione di un articolo che uscirà a breve su L'Empedoclino


Cannone navale da 12 libbre di costruzione svedese (1780-1795)


Porto Empedocle testimone di un passato glorioso non solamente circoscritto al suo territorio ma esteso a tutto il Regno delle due Sicilie, offre oggi una testimonianza della storia della sua Marineria con la realizzanda sede del Museo del Mare.

di Salvatore Carreca




P
regevoli pezzi di artiglieria non sono solo vestigia di un passato militare, rappresentano anche la testimonianza di una evoluzione che vide il Regno delle Due Sicilie, dalla sua dichiarazione a stato autonomo sotto Carlo di Borbone nel 1734, a nazione indipendente con una flotta mercantile prima in Italia, seconda in Europa dopo l´Inghilterra quarta nel mondo. Poco prima dell´Unità d´Italia, le Due Sicilie arrivarono a possedere i 4/5 di tutto il naviglio italiano, con 9.800 bastimenti, di cui un centinaio, incluse le unità militari, erano a vapore.

Porto Empedocle ricorda certamente che fu Carlo di Borbone, collaborato dal vescovo Gioeni, a fare trasformare il Caricatore in un moderno porto commerciale e a procedere al primo restauro della Torre Carlo V negli anni dal 1749 al 1757. La allora Marina di Girgenti, poi divenuta Comune autonomo grazie a Ferdinando II di Borbone, si aprì così al commercio internazionale.

Nella prima metà del Settecento le coste del Regno erano prive di adeguate difese e preda di facili incursioni dei pirati e dei turchi che, infestando tutto il Mediterraneo, attaccavano i navigli commerciali e effettuavano scorrerie all’interno delle coste, saccheggiando paesi e villaggi.
Le artiglierie navali rappresentarono quindi una eccezionale arma di difesa. Il diffondersi della pirateria indusse i governi di Spagna, Portogallo, Malta e delle Due Sicilie alla pianificazione di un’azione punitiva contro i corsari algerini.
Nel 1767, durante il regno di Ferdinando di Borbone, figlio di Carlo, la più importante fabbrica di armi era quella di Torre Annunziata nel napoletano; poiché la produzione non garantiva il fabbisogno di armamenti si dovette ricorrere all’acquisto di materiale bellico all’estero.
Uno dei cannoni oggi esposti, un cannone navale in ferro da 12 libbre, faceva parte di un lotto di pezzi commissionati dal governo di Napoli al regno di Svezia. Il particolare della cifra “GR”, iniziali di Gustavo Rex re di Svezia, indicano la provenienza dello stesso. Nel 1780 venne effettuata un primo ordine di 60 cannoni da 24 libbre, 168 da 12 e 144 da 8.
Ben presto, grazie allo sviluppo industriale, sociale ed economico, fortemente promosso dal sovrano, le artiglierie vennero prodotte nelle fonderie nazionali.


Carronate da 24 e 12 libbredi fine XVIII secolo, utilizzate dalla Marina del Regno delle Due Sicilie regnante Ferdinando III re di Sicilia (1759-1825)

I due esemplari di carronate esposte, da 24 e 12 libbre, furono probabilmente prodotti dalle industrie del Regno delle Due Sicilie. Il termine Carronata deriva dall’inglese Carronade che prende il nome dalla Carron Company of Falkirk, in Scozia, dove vennero prodotti i primi esemplari negli anni fra il 1759 e il 1779.



La carronata, grazie alle sue caratteristiche di leggerezza, dimensioni ridotte e minor numero di uomini addetti per il suo impiego, era particolarmente adatta alle tattiche di combattimento ravvicinato.

Con la prossima inaugurazione del Museo nella la Torre Carlo V, in cui è prevista una sala dedicata alle artiglierie pesanti, l’Amministrazione Comunale intende restituire alla cittadinanza un pezzo importante della storia nazionale.


Salvatore Carreca
Vicepresidente regionale
CSS

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sabato 24 ottobre 2009

Fu Garibaldi il primo a trattare con la Mafia


(Garibaldi e Mazzini con aureola in testa intenti a lavorar di compasso, stampa del'800)

Da sempre in Italia, i cassetti segreti si aprono per due motivi: quando è passato così tanto tempo da renderne il contenuto inoffensivo oppure per usare tali contenuti come arma contro l'avversario politico.
La recente riesumazione del "Papello" sembrerebbe portare verso la seconda ipotesi.

Secondo alcuni quotidiani la lista contenente una serie di richieste mafiose allo Stato, rappresenterebbe la prova di una trattativa intercorsa tra Stato e Mafia.
Ma nel '92 si verificò un caso isolato oppure in precedenza vi furono altre trattative con la criminalità organizzata?

Quando sui grandi quotidiani italiani è stato trattato l'argomento Garibaldi, per giustificare gli aspetti poco chiari e controversi dell'unificazione nazionale, si è scritto che: "visti i tempi erano necessarie misure urgenti" oppure "urgeva fare l'Italia ad ogni costo" ed ancora "a mali estremi, estremi rimedi"....
Insomma per i media nazionali, le cattive azioni di Garibaldi e Cavour sono da assolvere e giusticare.

Tra le "giustificazioni" ve ne sono alcune degne di nota che i Professoroni del Risorgimento mettono semplicisticamente e irresponsabilmente in secondo piano come ad esempio la liberazione coatta di tutti i criminali rinchiusi nelle carceri palermitane e napoletane senza distinzione di pena, in quanto "essendo imprigionati dai Borbone, erano per forza innocenti".

Ma la vicenda più torbida dell'Unità d'Italia, sui cui spesso storici e giornali conformisti hanno volutamente chiuso gli occhi, è stato quando le forze garibaldo-piemontesi, anziose di assicurarsi al più presto il controllo definitivo delle Due Sicilie, stipularono degli accordi con la criminalità siciliana a napoletana(che allora non era organizzata) concedendo ai vari capi bastone diversi posti nelle istituzioni.
Fu così che personaggi noti per le loro azioni criminali alla polizia borbonica divennero prefetti, capi della guardia nazionale, poliziotti, politici ecc.ecc. mentre criminali comuni assassinavano i dipendenti pubblici allo scopo di prenderne il posto.Completava il bel quadretto la classe politica piemontese faceva finta di non vedere, se non era direttamente implicata.

Quello fu il momento in cui la criminalità di istituzionalizzò, assumendo il carattere organizzato che oggi la denota.

Fatta questa lunga premessa, abbiamo immaginato per un'attimo cosa sarebbe successo se Falcone e Borsellino fossero vissuti ai tempi di Garibaldi e se il giornalista Alfano ed il generale Dalla Chiesa fossero stati assassinati quando Cavour era ancora vivo, sicuramente avremmo letto nelle pagine dei giornali dell'epoca frasi del tipo: "è normale se durante il processo unificatorio in corso non tutto fila liscio, soprattutto in questi primi anni in cui vi sarà un assestamento"

Ma un Falcone fu ucciso davvero dalla mafia nel 1893, si chiamava Emanuele Notarbartolo, già presidente del Banco di Sicilia e sindaco di Palermo, spese la sua carriera politica nella lotta alla corruzione.Fu ucciso con 27 coltellate dai mafiosi Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, su mandato pare del deputato colluso Raffaele Palizzolo. Tale omicidio venne considerato il primo delitto di mafia.
E' inutile aggiungere che sfogliando i più autorevoli giornali e testi sulla storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, questo importante delitto non viene mai citato se non, in alcuni casi, superficialmente.

Le trattative e gli accordi che all'epoca furono stipulati con la mafie, dunque oggi verrebbero definiti "necessari"; ma in realtà tutta questa faccenda è una dannata storia di interessi politici. E ciò è dimostrato dal fatto che la questione del Papello e della trattativa è stata tirata fuori soltanto adesso e non certo per fare finalmente chiarezza sui rapporti secolari tra la criminalità organizzata ed una parte dell'apparato statale.

Se i primi attacchi frutto delle nuove rivelazioni mafiose sono andati stranamente contro esponenti della sinistra (Mancino e Violante), oggi si leggono invece attacchi contro esponenti della destra (Dell'Utri e Berlusconi)
Un attacco (stranamente) bipartisan?

Per rispondere credo sia necessario cambiare domanda: A chi interessa spodestare sia la sinistra che la destra dalla Sicilia(e dunque dall'Italia)?

Una risposta efficace forse ce l'ha data Beppe Grillo che qualche giorno fa si è lasciato andare in una dichiarazione sensazionale nel suo articolo Smemorati di Mafia: "Basta con la commedia, la Sicilia si dichiari indipendente"

E chi ci legge sa a quale movimento politico oggi Grillo è vicinissimo.

PER APPROFONDIMENTI:

- Trattativa riservata - Il Consiglio dell'Abate Vella, 23 ottobre 2009


- La prossima Tangentopoli? Partirà da via D'Amelio - Comitato Due Sicilie/SICILIA, 9 ottobre 2009

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martedì 13 ottobre 2009

Storia, il Nord voleva una "Guantanamo" per la gente del Sud

(la Patagonia)

Segnaliamo dalla Gazzetta del Mezzogiorno questo importante studio sui campi di prigionia che i piemontesi tentarono di istituire nelle lande più desolate del globo.

Fortunatamente ciò non avvenne perchè trovarono modo di internare a Fenestrelle, nel vicino Piemonte, i fedelissimi del disciolto esercito borbonico.

di MARISA INGROSSO

Per battere il brigantaggio, i piemontesi volevano aprire una «Guantanamo» in cui deportare tutti i meridionali. Le prove sono contenute nei Documenti diplomatici conservati presso l’Archivio storico della Farnesina e scovati dalla «Gazzetta».

Per quasi dieci anni, fino almeno al 1873, il Governo italiano le tentò tutte pur di avere un lembo di terra dalle potenze straniere per internare i meridionali ribelli. Subito chiese agli inglesi di impiantare una colonia di deportazione nel Mar Rosso. Trovando però le prime difficoltà, il 16 settembre 1868, il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Luigi Federico Menabrea, si rivolse al ministro a Buenos Aires, della Croce, perché sondasse la disponibilità del Governo argentino a cedere l’uso di un’area «nelle regioni dell’America del Sud e più particolarmente in quelle bagnate dal Rio Negro che i geografi indicano come limite fra i territori dell’Argentina e le regioni deserte della Patagonia».

Secondo Menabrea (che era nato nell’estremo Nord Italia, a Chambéry, oggi in territorio francese), la «Guantanamo dei meridionali» doveva sorgere in terre «interamente disabitate».
Il 10 dicembre di quell’anno, Menabrea diede anche istruzioni all’agente e console generale a Tunisi, Luigi Pinna, di «studiare la possibilità di stabilire in Tunisia una colonia penitenziaria italiana».

Il tentativo fallì per l’opposizione dei tunisini e allora i Piemontesi tornarono alla carica con gli inglesi. Obiettivo: spuntare l’autorizzazione a costruire un carcere per i meridionali sull’isola di Socotra (che è al largo del Corno d’Africa, tra Somalia e Yemen) oppure, quantomeno, avere il loro appoggio affinché l’Olanda concedesse analoga autorizzazione nel Borneo.

Il 3 gennaio 1872 il Governo inglese però fece sapere di non vedere di buon occhio il progetto piemontese di fare «uno stabilimento penitenziario» nel «Borneo o in un altro territorio dei lontani mari». E il 3 maggio, il lombardo Carlo Cadorna, ministro a Londra, scrisse al ministro degli Esteri, Emilio Visconti Venosta (milanese e mazziniano della prima ora; nella foto a sinistra), che era stata bocciata «la richiesta italiana di acquistare l’isola di Socotra come colonia penitenziaria».
Il 20 dicembre di quell’anno anche l’Olanda espresse i suoi timori: i deportati meridionali avrebbero potuto evadere mettendo a rischio i suoi possedimenti nel Borneo.

Intanto, le carceri dell’Italia Unita traboccavano di meridionali e i briganti continuavano a combattere. L’11 settembre 1872, il “Times” pubblicò una lettera giunta da Napoli che metteva in luce la recrudescenza del brigantaggio in Italia. Il “Times” ci aggiunse un articolo di fondo in cui non si risparmiavano sferzate ai Piemontesi per l’incapacità di «eradicare completamente una così grave piaga».

È PEGGIO DELLA FORCA
Convinto che la paura della deportazione in terre lontane avrebbe spaventato i meridionali più di qualunque tortura e perfino della morte, il ministro degli Esteri, Visconti Venosta, decise di mettere alle strette gli inglesi. Il 19 dicembre 1872, a Roma, incontrò il ministro d’Inghilterra Sir Bartle Frere e gli parlò chiaro. Il suo discorso è ancora agli atti, negli Archivi della Farnesina. Disse: «Se ci ponessimo in Italia ad applicare la pena di morte con un’implacabile frequenza, se ad ogni istante si alzasse il patibolo, l’opinione e i costumi in Italia vi ripugnerebbero, i giurati stessi finirebbero o per assolvere, o per ammettere in ogni caso le circostanze attenuanti».

«Bisogna dunque pensare - disse il ministro della neonata Italia - ad aggiungere alla pena di morte un’altra pena, quella della deportazione, tanto più che presso le nostre impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa pena di morte. I briganti, per esempio, che sono atterriti all’idea di andar a finire i loro giorni in paesi lontani, ed ignoti, vanno col più grande stoicismo incontro al patibolo».

Sir Bartle Frere prese tempo ma i piemontesi non si arresero. È del 3 gennaio 1873 un documento confidenziale in cui Cadorna ragguaglia Visconti Venosta sul colloquio avuto col Conte Granville relativamente alla «cessione di una parte della Costa Nord Est dell’isola di Borneo». Il rappresentante del Governo italiano disse al ministro degli Esteri inglese che i briganti «avvezzi a mettere la loro vita in pericolo, resi più feroci dalla stessa lor vita, salgono spesso il patibolo stoicamente, cinicamente (esempio tristissimo per le popolazioni!). Invece la fantasia fervida, immaginosa di quelle popolazioni rende ad essi ed alle loro famiglie terribile la pena della deportazione. In Italia, e massime nel Mezzodì, ove è grande l’attaccamento alla terra, ed al proprio sangue, il pensiero di non vedere più mai il sole natale, la moglie, i figli, di passare, e finire la vita in lontano ignoto paese, lontani da tutto, e da tutti, è pensiero che atterrisce».
Granville però fu irremovibile: l’Inghilterra non avrebbe aiutato l’Italia a deportare i Meridionali.

MIGLIAIA IN CARCERE
Ma quanti erano i detenuti del Sud che marcivano nelle galere italiane? Secondo la rivista «Due Sicilie» (bimestrale diretto da Antonio Pagano), un’indicazione si trova in una lettera del savoiardo Menabrea, al ministro della Marina, il nizzardo Augusto Riboty. Menabrea sostiene che sarebbe stato «utile e urgente» trovare «una località dove stabilire una colonia penitenziaria per le molte migliaia di condannati» che popolavano gli stabilimenti carcerari.

A proposito della Marina militare, la Forza armata si prestò ad esplorare una serie di luoghi adatti alla deportazione dei meridionali. Il Borneo e le isole adiacenti, innanzitutto. ma anche - secondo documenti pubblicati da «Due Sicilie» - «l’est dell’Australia».

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venerdì 9 ottobre 2009

La prossima Tangentopoli? Partirà da via D'Amelio



Da un pò di tempo si notano delle vistose incrinature sui muri di cinta di quella che doveva essere una fortezza solida ed inespugnabile: se nel corso di questa estate la tenacia dell'assedio sembrava allentarsi, ciò era avvenuto per la stagione particolarmente afosa che, come tutti gli anni, distrae l'opinione pubblica dalle vicende politiche del Bel Paese.
A settembre gli attacchi verso il PDL, sempre più gigante dai piedi di argilla, sono tornati a farsi vigorosi e le elezioni anticipate che a giugno erano probabilità, oggi appaiono quasi certezza.

Prima delle ferie estive eravamo rimasti agli scandali berlusconiani di Noemi e Villa Certosa, i quali avevano creato non pochi problemi all'immagine del Premier, soprattutto alla luce dei risultati non performanti alle elezioni europee.

Ma una nuova tegola, stavolta molto più grossa e pericolosa, sta in bilico sulla testa di Berlusconi: si tratta della famosa agenda rossa che secondo alcuni conterrebbe delle annotazioni compromettenti per lo Stato.Da qualche giorno si sentono i sussurri di autorevoli trasmissioni televisive (tra cui AnnoZero) o di manifestazioni pubbliche ed influenti testate giornalistiche, che negli anni '90 vi sarebbe stato una sorta di accordo o trattativa tra i vertici dello Stato e la Mafia.

Appare chiaro che se ciò dovesse essere vero (e noi sappiamo che è vero) avverrebbe una sorta di piccola rivoluzione francese con conseguente decapitazione politica degli attuali governanti, anzi di quasi tutta la classe politica.
Proprio come avvenne per Tangentopoli nel 1992, che poi (sarà un caso?) è lo stesso anno della strage di Via d'Amelio.

A parte la coincidenza delle date, se si dovesse dimostrare un effettivo coinvolgimento dello Stato come sembra stia per accadere, ciò porterà inevitabilmente ad uno sfaldamento dai risvolti imprevedibili e l'opinione pubblica, come in Tangentopoli, reclamerà le teste dei politici.

Prima di continuare sorge spontanea una domanda: Ma perchè l'affare dell'agenda rossa non è saltato fuori quando al governo c'erano il PD e Di Pietro?

In realtà lo sappiamo tutti che una parte dello Stato con la Mafia ci fa affari da sempre, persino Garibaldi non appena sbarcato nelle Due Sicilie liberò i criminali dalle galere di Palermo e Napoli, dando loro il compito di garantire l'ordine pubblico. Ladri, delinquenti e criminali divennero prefetti, ispettori, capi della Guardia Nazionale, in un orgia di misfatti e prevaricazioni dove si assassinavano gli impiegati pubblici per prenderne il posto.

Ecco perchè, come più volte abbiamo detto, la data di nascita della mafia per noi corrisponde al giorno dello sbarco di Garibaldi a Marsala.Persino gli americani si servirono della Mafia, fino all'Unità d'Italia inesistente nella sua struttura organizzata, durante lo sbarco in Sicilia nella seconda guerra mondiale.

Pochi minuti dopo l'assassinio del giornalista anti-mafia Alfano, padre della Sonia oggi impegnata politicamente, un nucleo speciale delle forze armate perquisì inspiegabilmente la sua casa portando via dei documenti; oppure come non ricordare l'arresto di Bernardo Provenzano il giorno stesso in cui la sinistra vinse le penultime politiche?

Ed ancora. Le famose passeggiate di Nitto Santapaola in Via Etnea a Catania, quando era ufficialmente latitante?

Nel nostro articolo "Sta per nascere il Partito del Sud, tra trappole ed insidie" abbiamo parlato delle riunioni londinesi del Council of Foreign Relations Europe nella cui lista dei membri si leggono i più influenti politici europei, tra cui i nostri Leoluca Orlando(IDV), Gianfranco Fini (PDL), Massimo D'Alema (PD).
In tale Istituto si suggeriscono le politiche che i singoli membri devono adottare al loro paese, non è escluso dunque che proprio li vengano studiate le strategie per abbattere l'attuale governo. Non dimentichiamo che attacchi davvero pesanti sono arrivati proprio da giornali inglesi conseguentemente ripresi da quelli italiani.
Lo stesso Di Pietro è stato più volte intervistato dal Times e nel corso di una delle interviste ha dichiarato che "Berlusconi cadrà come Saddam Hussein"(1)

Tra tutte le coincidenze citate in precedenza ve n'e una in particolare: oggi come nel 1992 sembra esserci ancora Antonio di Pietro alla guida della rivoluzione, che con il suo partito ha assunto una forte connotazione anti-mafia.
Sono tutte iniziative dell'Italia dei Valori, le manifestazioni avvenute ultimamente come quella a Roma dell' Agenda Rossa, senza dimenticare che l'affare del block notes di Borsellino è stato largamente trattato da Marco Travaglio (giornalista molto vicino all'IDV) nella trasmissione AnnoZero.
Nemmeno deve apparire strano che De Magistris(IDV) si sia dichiarato favorevole alla Costituzione Europea, suscitando le proteste dei suoi sostenitori, tant'è che sulla sua pagina di Facebook è stato costretto a spiegarne i motivi.

Quanto a Fini, ormai rappresenta un'enclave dell'opposizione all'interno del PDL, ha deciso di eseguire quanto concordato all'interno del Council of Foreign Relations, a giudicare dai contrasti continui con Berlusconi. E' incredibile infatti come gli ideali di Fini siano passati in così poco tempo da destra a sinistra.

Tutte queste storie ci fanno capire che oggi è necessario un impegno forte per la questione dell'identità e per l'autonomia dei popoli (come peraltro stanno già facendo in Irlanda ed in altri paesi) oggi seriamente compromessi dalla recente approvazione della Costituzione Europea (che purtroppo reintroduce, seppure in alcuni casi la pena di morte) e da quei Poteri come i poco noti Istituti per le relazioni Internazionali che si servono dell'Emiciclo per privare gli europei di quei diritti fondamentali che sono stati conquistati nel corso dei secoli.
Ciò che vogliono fare queste Forze si capisce facilmente: la pianificazione di una dittatura, che tolga ogni potere decisionale alle Nazioni e controlli direttamente il cittadino (fisco, diritto penale, trasporti, politica energetica, sanità pubblica, cambiamento climatico ecc.ecc.)

Le elezioni al Parlamento UE da oggi diventano importantissime, è stata una pessima mossa da parte dell'attuale governo di apporre gli sbarramenti elettorali per le europee: infatti paradossalmente chi ha impedito l'accesso all'Emiciclo ad alcuni partiti, che pur in disaccordo, avevano messo in primo piano il rispetto dei diritti e dell'autonomia dell'individuo, si è trovato ad avere guai ben più peggiori in casa ed adesso rischia l'implosione.

(1) Repubblica, 19 settembre 2009

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giovedì 1 ottobre 2009

L'acclamazione di Garibaldi in Inghilterra e l'appoggio massonico ai Mille


Una folla oceanica acclama Garibaldi a Trafalgar Square - Londra
Tra il 3 ed il 27 aprile del 1864, Garibaldi visita l'Inghilterra, anche se in passato vi si era recato già 3 volte.
Durante la sua permanenza, ricevette la visita del Principe del Galles e quella di importanti politici inglesi tra cui il primo ministro Palmerston. Mentre la regina Vittoria non volle vederlo.
A Garibaldi fu conferita la cittadinanza onoraria londinese.
Il nizzardo fu ricevuto in pompa magna dagli inglesi e le cronache dell'epoca narrano di una partecipazione mai vista, tant'è che molti si stupirono considerata la proverbiale freddezza del popolo inglese.
L'illustrazione del corteo di Garibaldi a Trafalgar Square (11 aprile 1864) descrive efficacemente l'importanza di quell'evento.
Dopo 24 giorni di permanenza, seguendo il consiglio dei medici preoccupati per la sua forma di artrite, si reimbarcò alla volta di Caprera.

Ecco comunque come ringraziò Garibaldi i vertici della massoneria italiana, che avevano nel capoluogo piemontese la loro sede nazionale, per averlo nominato Gran Maestro della Loggia di Sicilia:

"Torino, 20 marzo 1862 E:. V:. Ill:. ffr:. Assumo di gran cuore il supremo ufficio di capo della Mass:. It:. costituita se:condo il rito scozz:. rif:. ed accet:. Lo assumo perche mi viene conferito dal libero voto di uomini liberi, a cui devo la mia gratitudine non solamente per l'espressione della loro fiducia in me nello avermi elevato a così altissimo posto, quanto per l'appoggio che essi mi diedero da Marsala al Volturno, nella grande opera dello affrancamento delle province meridionali. Codesta nomina a G:. M:. è la più solenne interpretazione delle tendenze dell'animo mio, de' miei voti, dello scopo cui ho mirato in tutta la mia vita. Ed io vi dò sicurtà, che mercè vostra e colla cooperazione di tutti i nostri ff:. la bandiera d'ltalia, ch'è quella dell'umanità, sarà il faro da cui partirà per tutto il mondo la luce del vero progresso. Che il G:. A:. dell'U:. spanda le sue benedizioni su tutte le LL:. e che ci guardi sempre con occhio propizio e ci continui le sue grazie il nostro divino protettore S. Giovanni di Scozia.
Abbiatevi il bacio fr. G. Garibaldi"

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mercoledì 30 settembre 2009

Garibaldi, la massoneria ed il ruolo dell'Inghilterra nella conquista delle Due Sicilie


Ho avuto la fortuna di visitare il museo del Risogimento di Milano in cui sono presenti decine di scaffali e vetrine contenenti grembiuli, sciarpe, attestati, simboli vari, medaglie delle varie logge massoniche italiane relative a Garibaldi ed altri.
Nel 1863, il Gran Maestro della Loggia di Sicilia era proprio Giuseppe Garibaldi(1).

E' degno di nota il programma di accoglienza che gli inglesi avevano preparato per la famosa visita di Garibaldi a Londra, avvenuta dopo la conquista delle Due Sicilie:

"Mentre Garibaldi appressavasi all' Inghilterra per la via di Gibilterra, più meeting si adunavano a Londra per fornire i preparativi di uno splendido ricevimento. La più importante di queste adunanze fu tenuta a Wellington-Club Strand ove si raccolsero i deputati del Commercio, delle Società operaje ed altre congregazioni politiche.
Martedi, al Wellington club Strami, ebbe luogo un meeting dei delegati del commercio di molte società operaie e corpi organizzati onde prendere risoluzioni sul modo di ricevere Garibaldi, che si aspettava a Southampton il 3 aprile.
Intervennero al meeting 100 delegati, non che il signor Taylor, membro del Consiglio municipale e segretario del Comitato di ricevimento della città.
Il presidente, signor Cramer, avendo aperta la seduta, il segretario onorario disse che Garibaldi, dopo aver fatto una corta visita al signor Seely, membro del Parlamento , all' isola di Wight, giungerebbe probabilmente a Londra la settimana dopo, e che in questa occasione i delegati decisero di formare una processione, il 3.° dei volontari di Londra, della brigata degli operai, servirebbe di guardia d' onore, col pieno consenso del comandante maggiore Richardson.
Il sig. Richardson disse che il Comitato della città si riunirebbe fra pochi giorni, e che era da desiderarsi che il Comitato degli operai e quello della città s' intendesse per rendere la dimostrazione più imponente. Disse poi le ragioni del viaggio di Garibaldi.
Le risoluzioni adottate furono le seguenti:
1. Il meeting ha udito con piacere che il generale Garibaldi è per visitare l'Inghilterra e considera come stretto dovere per ogni classe d' inglesi di unirsi per dare il benvenuto al patriota ed eroe italiano.
2. Il meeting raccomanda che Garibaldi sia ricevuto e scortato a Londra da una organizzata processione delle società di amici (friendly) ed operaio, e da ogni altro corpo di operai desiderosi di prendervi parte;
3. Che gli operai debbano offrire un banchetto a Garibaldi;
4. Che mentre il comitato rimane sempre il comitato degli operai, sarà pronto a cooperare con ogni altro Comitato.
Il signor Richardson annunziò che il sig. Slapleton porrebbe alla disposizione della processione del Comitato ogni quantità di carri o cavalli che saranno necessarii, gratis. Disse di più, essere sua intenzione di proporre, nella prima riunione del Consiglio municipale, che si presentino a Garibaldi le franchigie della città di Londra, e che gli si dia un banchetto al palazzo di città o al Guildhall.
Dopo le altre solite formalità, il meeting si sciolse.
I signori Richardson e Taylor scrissero al Morning Post per dire che Garibaldi arriverebbe a Southampton il 3 aprile, che passerebbe 10 o 12 giorni all' Isola Wight, e che probabilmente giungerebbe a Londra il 16.
Leggevasi nel Times: - Fra pochi giorni uno degli uomini più rimarchevoli delI' Europa porrà il piede sulle nostre spiagge - "
(2).

Cosa disse Garibaldi durante quella cerimonia di accoglienza degna di un principe, lo troviamo scritto in "Letture di famiglia,Tohuar, Firenze, 1863":

"Garibaldi nei vari discorsi tenuti in diverse occasioni al popolo inglese ha ripetuto che senza il soccorso prestatogli dall' Inghilterra non si sarebbe fatta l'Italia , perchè fu l'ammiraglio Mundy che protesse il suo sbarco a Marsala e il passaggio dello stretto di Messina, ma sarebbe stato giusto anche il ricordare che senza l'aiuto ben più efficace dell' Imperator Napoleone non si sarebbe strappata la Lombardia agli artigli dell'Austria, che senza la protesta armata francese contro ogni intervento nelle cose d'Italia, noi non avremmo potuto portare a così buon punto l'unificazione della patria, nè Francesco Secondo sarebbe stato solo a resistere contro il molo popolare che tanto aiutò Garibaldi a levarlo di trono; e che infine, quando trincerato in Capua ed ultimamente a Gaeta serbavasi abbastanza in forze per tentare di riprendere il regno; senza la inibizione d'ogni intervento straniero fatta dalla Francia all' Europa, l'esercito italiano non avrebbe potuto traversare le Marche, sconfiggere la bordaglia guidata da Lamoricière e prestar man forte a Garibaldi sul Volturno e sul Garigliano e compiere l'espugnazione di Gaeta".

Ancora su "Roma, Napoleone III e i ministeri italiani sguardo al passato e all'avvenire, Livorno, 1868" si legge:

"Garibaldi nel 64 a Londra rispondendo alle dimostrazioni di simpatia nel palazzo di cristallo diceva: «Senza l'ajuto di Palmerston, Napoli sarebbe ancora Borbonica, senza I' Ammiraglio Mundy, non avrei potuto giammai passare lo stretto di Messina"

Sempre in uno dei suoi discorsi al popolo inglese, accorso per acclamare solennemente Garibaldi, l'eroe di Marsala disse:

"Non è la prima volta che ho ricevuto prove non solo in parole, ma in fatti ( applausi ). Questa simpatia mi venne mostrata in varie circostanze della mia vita, e più specialmente nel 1860, quando senza l' aiuto della nazione inglese sarebbe stato impossibile compiere quanto facemmo nell' Italia meridionale ( grandi applausi }. Il popolo inglese ci somministrò uomini, armi, danaro; egli soccorse a tutti i bisogni dell' umana famiglia nei suoi sforzi per conquistare la libertà. Quel che dissero e fecero gl' Inglesi per noi, merita l' eterna gratitudine degl' Italiani (fragorosi applausi ). Per rispondere ad alcune nobili e generose parole del sindaco, vi dirò non aver sacrificato alcuna parte della mia vita per la causa dell' umanità; credo però aver fatto qualche cosa, una parte del mio dovere, del dovere di ogni uomo ( applausi ). Non mi resta che rendervi i più vivi ringraziamenti per la vostra generosa simpatia e per la vostra cortese accoglienza"(3).

In quei giorni si segnalarono degli scontri tra sostenitori di Garibaldi ed irlandesi.

Davide Cristaldi


(1) Memorie per la storia de' nostri tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai giorni nostri - Torino - 1865
(2) Cronaca della guerra d'Italia - Rieti - 1865
(3) Ivi.


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lunedì 28 settembre 2009

La Sicilia tra tradimenti ed eroismi, durante l'invasione garibaldina


La caduta del Regno delle Due Sicilie, era ormai nell'agenda delle principali nazioni europee(Francia ed Inghilterra) che si servirono del Piemonte e delle sue mire espansionistiche (ma soprattutto del suo debito pubblico mostruoso).

Tra le cause maggiori del crollo della nazione duosiciliana, vi è sicuramente l'infiltrazione degli ideali massonici e (pseudo)liberali all'interno della classe dirigente politica (ma soprattutto militare) dello Stato; ben nascosti dietro l'apparentemente positivo valore dell'unificazione nazionale(1).

I soldati e gli ufficiali borbonici, nella loro stragrande maggioranza, rimasero fedeli al loro giuramento, non si può dire lo stesso dei generalissimi come il nostro Lanza, che in più di un occasione tolsero letteralmente la testa di Garibaldi dalla lama della baionetta.

Questi soldati ed ufficiali a causa della loro lealtà, crearono non pochi problemi ai piani dei generali traditori: nemmeno gli errori tattici potevano giustificare la vittoria di Garibaldi perchè la differenza numerica e militare tra l'esercito borbonico e quello garibaldino era tale che un esito diverso dalla disfatta del Dittatore era impossibile.
Ecco cosa accadde infatti quando Von Meckel si ravvide dell'errore commesso:

"Il 30, nel mattino, Lanza manda a chiedere a Garibaldi una sospensione d'armi, da trattarsi, ov'egli acconsenta e ne fissi l'ora, a bordo della nave ammiraglia britannica. Fu risposto, che l'armistizio comincerebbe a mezzodì; a un'ora avrebbe luogo il convegno. Intorno alle 10, una colonna di truppe borboniche, sopraggiunta d'improvviso dalla strada di Misilmeri, attacca vigorosamente la Porta di Termini, quella stessa pur cui era entrato Garibaldi, sbaraglia gli appostamenti degl'insorti, rincaccia gli accorsi garibaldiani, prende d'assalto con impeto irresistibile otto barricate e s'impossessa della Fiera Vecchia. Era De Mechel, che, tardi riavutosi dall'errore, avea battute le orme dell'avversario, ed ora, privo d'istruzioni, agiva di suo capo. Invano Lanza manda ufficiali sopra ufficiali ad arrestarne i progressi, invano l'inglese ufficiale Wilmot, che, recando il consenso dell'ammiraglio, erasi trovato in mezzo alle schiere vincitrici, affermava la tregua. De Mechel avanzava sempre, e, già a pochi passi da Via Toledo, un movimento contemporaneo da Palazzo Reale avrebbe bastato per ripigliare con sicuro successo il resto della perduta città. Divenuto universale fra gl' insorti lo scoramento, i garibaldini gridano: siamo perduti, i Siciliani gettano le armi ed i nastri tricolori, chiedendo mercé. A quella vista desolante, Garibaldi, accorso ove più ferveva la mischia, si precipita innanzi alla barricata, cui accorrevano i regii. In quel mentre una bomba lanciata dal castello cade a un passo da lui, i Napoletani spianano i fucili pigliandolo a mira; nello stesso istante una voce possente ordina risolutamente di non far fuoco. De Mechel, maledicendo a Lanza, obbediva"(2).

In passato, ma ancora oggi il Regno delle Due Sicilie viene identificato come uno stato povero, ma non è così: esistono diversi documenti che dicono il contrario, tabelle che ci indicano chiaramente lo stato economico delle ex Due Sicilie, ma vale più di ogni altra prova l'assenza dell'emigrazione dal Sud Italia.

Anzi, incredibile a dirsi, il Regno delle Due Sicilie era un paese di immigrazione.
Qualche anno fa, è uscito un articolo su una nota rivista telematica svizzera, che raccontava dei flussi migratori esistenti tra la Confederazione ed il Regno di Napoli.
La pasta Voiello, nota in tutto il mondo come simbolo della gastronomia italiana, ha in realtà un'origine svizzera come ci racconta SwissInfo, infatti il suo fondatore non faceva Voiello di cognome, ma Von Wittel, e proveniva dal cantone tedesco. L' italianizzazione del suo cognome fece si che la sua ditta divenisse famosa per la più napoletana delle paste.
Di tracce svizzere nel regno borbonico se ne trovano parecchie, vedi i reggimenti svizzeri dell'esercito, quindi lo stesso Von Meckel.
E che dire della Pasticceria Svizzera di Catania, di proprietà dei Caveziel. Ma anche a Palermo sono segnalate famiglie di orgine elvetica.

Nei libri di storia c'è scritto che nelle Due Sicilie si pativa la fame, che la miseria era dilagante, ma non si è mai fatto il raffronto tra il contadino siciliano e quello lombardo o piemontese(o quelli francesi ed inglesi).
Si parla di povertà come se la povertà oggi non fosse esistente, dando ad essa un significato assoluto, quando la povertà ne ha uno relativo.Esistono studi e leggi che identificano la soglia di povertà: dunque un povero contemporaneo non è certamente paragonabile ad un povero dell'800.
Sono convinto che agli occhi di un contemporaneo, la povertà di un uomo del'800, sarebbe certamente insopportabile.
Quello che sappiamo di sicuro è che il contadino brianzolo dopo l'Unità si fa la fabbricheta, quello siciliano la fa pure, ma a New York.....

Però le statistiche dell'epoca ci dicono che la Sicilia era la terza regione per occupati nel settore industriale, e la prima in percentuale alla popolazione.

Nel corso dell'ultimo pezzo del Di Bella, si è parlato dei tradimenti dei comandanti siciliani come Landi e Lanza, soprattutto su quest'ultimo si ha la prova certa del suo tradimento, infatti la famosa fede di credito di 14 ducati che Garibaldi staccò a Lanza, è ancora oggi conservata e disponibile alla pubblica visione, presso l'archivio storico del Banco di Napoli, nel capoluogo partenopeo.
E' noto inoltre che a Palermo, durante l'imbarco "forzato" del numeroso esercito borbonico per ordine del Lanza, un soldato napoletano gli chiese: "Eccellé, o’ vvi quante simme. E ce n’aimma’í accussí ?". Ed il Lanza gli rispose : "Va via, ubriaco"

A causa di queste ed altre situazioni, ricordate anche dagli articoli di Di Bella, passa oggi l'idea sbagliata che a tradire furono soprattutto i comandanti siciliani.
Ciò avviene perchè i libri dell'epopea risorgimentale hanno sempre nascosto le gesta eroiche che accaddero dall'altra parte della barricata.
Come non ricordare ad esempio le imprese del colonnello palermitano Ferdinando Beneventano del Bosco, il quale aveva ben capito la mossa di Garibaldi, che sarebbe piombato dritto su Palermo:

"L' astuta tattica di Garibaldi è bene intesa dal generale Colonna e dal Maggiore Del Bosco, che invano insistono presso De Mechel onde ritorni senza indugio in Palermo, dove sicuramente, diceano, poteva l'avventuriere, abile partigiano qual é, ripiegare, sapendola sfornita delle più elette soldatesche dilungate ad inseguirlo sopra falsa via. De Mechel tien fermo, continua la marcia per Corleone, a piccolissime tappe, ostinandosi a dire a Del Bosco, che, presago della sventura, gli proponeva di prendere almeno la via di Marineo: «Marciate per Corleone con l'avanguardia ; prenderò tutto sopra di me.» E Del Bosco fremente arriva a Corleone, attacca i garibaldini guidati dall' Orsini, lor toglie due cannoni, e per lungo tratto li insegue senza poterli raggiungere"(3).

O altri purtroppo meno noti come il tenente Benedetto Pavone, il brigadiere Cesare Anguissola, il colonnello Francesco Cobianchi e tanti altri che attendono ancora l'onore del riconoscimento storico.

Concludo con questa massima che secondo me rappresenta in poche righe il nostro passato e, spero, il nostro futuro:

"La società ha bisogno di grandi scosse, o di tristi prove, per ricondurla agli eterni principi d'ordine e di governo" - Capefigue

Davide Cristaldi

(1) Quanto può durare un matrimonio forzato?
(2) Delle recenti avventure d'Italia - Venezia - 1864
(3) Ivi.

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martedì 22 settembre 2009

Quando l'Etna eruttò una valanga d'acqua.



Quando ero piccolo, rimanevo sempre affascinato dai cunti che gli anziani del paese facevano a noi giovani.
A volte erano storie di caccia, altre disavventure, ma tutte avevano come tema 'a Muntagna, nome con cui l'Etna viene chiamata dagli abitanti dei paesi posti sulle sue pendici.

Tra tutte queste storie ve ne era una in particolare che mi affascinava e che richiedeva sempre una buona dose di pazienza da parte del narratore per la mia insistenza a chiedere le repliche dinnazi ai miei amici, affinchè si ricredessero.

- Il nonno del nonno del nonno di mio nonno che a sua volta raccontava a mio padre che poi raccontò a me - inziava la storia - che un giorno lui ed altri paesani, acchianaru 'a Muntagna per andare a cacciare. A quel tempo - soggiunse - non esistevano strade, ed allora capitava che si rimaneva fuori per più giorni. Dovendosi passare la notte ci fu uno che suggerì di accamparsi sul letto di un torrente asciutto, ma altri proposero di serenare ai bordi e così fecero. L'indomani trovarono l'alveo del torrente completamente bagnato: era stata l'Etna che aveva eruttato acqua! -

Come per tutti i racconti a cui si prestava ascolto, a quell'età non si dubitava mai sulla veridicità, anzi si approfittava di quelli inediti per avere la soddisfazione di essere i primi a raccontarli agli amici.

Capitò che in età più adulta, tornati i ricordi di quelle storie, volli verificare se effettivamente l'Etna avesse davvero mai eruttato acqua. A dire la verità più andavo avanti nelle ricerche è più mi convincevo che la storia era stata inventata di sana pianta e che quella volta Giovanni si era preso gioco di noi.D'altronde come poteva un vulcano eruttare l'acqua?

Un giorno mentre sfogliavo vecchie carte, mi capitò tra le mani una delle tante guide turistiche della Sicilia del sette-ottocento borbonico, già a quel tempo esistenti e pure compilate dettagliatamente da viaggiatori e scienziati regnicoli o forestieri; questi ultimi poi consideravano la visita del Regno delle Due Sicilie e della Sicilia in particolare, un viaggio fondamentale per i loro studi: dalla lettura di diverse guide straniere mi sono fatto la personalissima opinione che la Sicilia fosse molto più ricercata allora.

Dalle mie parti ad esempio, rappresentava un'escursione irrinunciabile la visita al Castagno dei Cento Cavalli, un fagacee millenario che verdeggia ancora oggi nel territorio di S. Alfio e che secondo la leggenda protesse sotto il suo grosso fusto e le alte fronde 100 cavalieri con Regina di Sicilia al seguito, dalla furia di un temporale.

- Per 8 tarì a cavallo o mulo, Mastro Giuseppe di Giarre si offriva di accompagnare i viandanti -(1) si leggeva in una guida del 1864.

Proprio su questo documento trovai un indizio che poteva essere utile alla mia ricerca:

- It [il percorso per il Castagno] also crosses a wide dry bed, said to have been formed by a torrent of hot water, which in the eruption of 1755 was caused by the sudden melting of the snow in the upper regions of the mountain, and which rushed down to the sea with irresistible violence, bearing away houses, trees, and other obstacles in its furious career - (2)

- Il percorso attraversava anche un largo ed arido letto (torrente), di cui si dice essere stato formato da un torrente di acqua calda, durante l'eruzione del 1755, causato da un repentino scioglimento della neve, nelle zone alte della montagna, che si precipitò in mare con violenza inarrestabile, travolgendo case, alberi e tutti gli ostacoli lungo la sua furiosa discesa -

La storia di Giovanni aveva dunque dei fondamenti di verità e quella scoperta mi aveva soddisfatto parecchio e fornito lo stimolo per continuare le ricerche e così feci.

Davide Cristaldi

(1) "A handbook for travellers in Sicily: including Palermo, Messina, Catania - George Dennis, John Murray"
(2) Ivi, pag.453


(fine prima parte)

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giovedì 17 settembre 2009

Per la prima volta nella storia, in napoletano un'interrogazione al Parlamento UE

Ecco il video segnalato da Agrigento, dal vicepresidente del CDS-Sicilia, Salvatore Carreca:


Attendiamo adesso il coraggioso deputato siciliano che delizierà l'Emiciclo con la lingua di Trinacria.
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L'unità d'Italia fatta con il sacrificio della Chiesa.


Alcuni preti vengono arrestati durante il periodo della confisca

Essendo da sempre la Sicilia molto ricca di beni ecclesiastici, questi finirono nelle mire dei nuovi governanti piemontesi spinti dalle pressioni delle politiche anti-clericali che come è noto, accompagnarono tutto il Risorgimento.
Vi fu chi vi si oppose al censimento ed alla vendita dei beni beni ecclesiastici, come il deputato D'Ondes-Reggio nella tornata del parlamento torinese del 23 luglio 1862. Ma ci fu anche chi considerava i beni della Chiesa come beni "nazionali" e quindi lo Stato aveva diritto ad impossessarsene.

Ma se era vero che i beni della Chiesa erano dello Stato, perchè questi non furono ceduti ai contadini anzichè essere venduti all'asta?Perchè si doveva ricomprare dal nuovo Stato un bene di cui era proprietaria la comunità che da sempre ne usufruiva?Difatti da questa operazione finanziaria, rimasero senza lavoro decine e decine di migliaia di contadini che lavoravano con buon soldo presso le aziende agricole gestite dalla Chiesa.

Fatto sta che dalla vendita dei monasteri, di terreni, di beni, lo stato italiano ne ricavò ben 700 milioni che contribuirono i maniera sostanziale al pareggio di bilancio e sanare quel debito pubblico mostruoso che il Piemonte portava in dote.
Tutto ciò che non si vendette passò al Demanio, infatti parecchie caserme di oggi, furono monasteri al tempo delle Due Sicilie.
Accadde il 7 luglio del 1866 che fu promulgata una legge che prevedeva il pagamento ai comuni, che ospitavano beni ecclesiali, di un 1/4 del ricavato della vendita.Ma tale quarto veniva calcolato sul valore del bene dichiarato dai preti(che era bassissimo) e non sul valore di vendita finale.Ragion per cui al netto delle tasse ai comuni andavano gli spiccioli.

Ecco il regio decreto per la sopprressione degli Enti Ecclesiastici:

(N.3848)

Legge per la liquidazione dell'asse ecclesiastico.
15 agosto 1867

VITTORIO EMANUELE II
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA' DELLA NAZIONE
RE D'ITALIA

Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato:
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Art. 1 Non sono più riconosciuti come enti morali:
1° I capitoli delle chiese collegiate, le chiese ricettizie, le comunìe e le cappellanie corali, salvo, per quelle tra esse che abbiano cura di anime, un solo beneficio curato od una qnota curata di massa per congrua parrocchiale

2° I canonicati, i benefizi e le cappellate di patronato regio e laicale dei capitoli delle chiese cattedrali;

3° Le abbazie ed i priorati di natura abbaziale ;

4° I benefizi ai quali, per la loro fondazione, non sia annessa cura d'anime attuale, o l'obbligazione principale permanente di coadiuvare al parroco nell'esercizio della cura ;

5° Le prelature e cappellanie ecclesiastiche, o laicali ;

6° Le istituzioni con carattere di perpetuità, cho sotto qualsivoglia denominazione o titolo sono generalmente qualificate come fondazioni o legati pii per oggetto di culto, quand'anche non erette in titolo ecclesiastico, ad eccezione delle fabbricerie, od opere destinate alla conservazione dei monumenti ed edilizi sacri che si conserveranno al culto. Gli istituti di natura mista saranno conservati per quella parte dei redditi e del patrimonio che, giusta l'articolo 2 della legge 3 agosto 1862, n° 753 , doveva essere distintamente amministrata, salvo quanto alle confraternite quello che sarà con altra legge apposita ordinato, non differito intanto il richiamo delle medesime alla sorveglianza dell'autorità civile.

La designazione tassativa delle opere che si vogliono mantenere perchè destinate alla conservazione dei monumenti, e la desigi azione degli edifizi sacri da conservarsi al culto, saranno fatte con Decreto reale da pubblicarsi entro un anno dalla promulgazione della presente legge.

Art. 2. Tutti i beni di qualunque specie appartenenti agli anzidetti enti morali soppressi sono devoluti al Demanio dello Stato sotto le eccezioni e riserve infra espresse:........
(1)

D'altronde tra i motivi che scatenarono la famosa "Rivolta del 7 e mezzo", che proprio in questi giorni compie l'anniversario, vi fu proprio "l'abolizione dei Corpi Religiosi" come scrisse il comandante della Guardia Nazionale di Palermo, sig. Gabriele Camozzi.
Raffaele Cadorna, il generale che rase letteralmente al suolo Palermo, arrivò a scrivere che la rivolta era fomentata dai preti e dalle monache che partecipavano in armi alle squadre in rivolta.
Un ufficiale piemontese scrisse il 24 settembre 1866 al "Progresso di Vicenza" e al "Diritto" del 1° ottobre: "oggi continuano a fucilare; ne ammazzano dai cinque ai sei alla volta.Frati e preti sono lasciati in balia dei soldati.Ti puoi immaginare il massacro che si fa!"(2).

Che vi fosse un odio eccessivo contro i religiosi lo dimostrano le famose invettive garibaldine contro i preti, ma anche altre meno note come quelle lanciate nel 1861 da Giacomo Oddo dal suo libro pubblicato a Milano, "Il brigantaggio o l'Italia dopo la dittatura di Garibaldi", nel quale scrive:
"A noi ci fa più male un prete che cento briganti affamati, e tutti i preti sono nostri nemici e tutti lavorano indefessamente a nostro danno e scorno"
Ed ancora:
"Io non posso qui nominare tutti i preti nemici alla nostra causa, bisognerebbe nominarli tutti, rarissime essendo le eccezioni, e questa lunga litania riescirebbe di poco frutto"

Questo come altri libri del genere non poterono non generare un clima di "caccia alle streghe" nei confronti dei religiosi e perciò appare molto probabile che di massacri ve ne furono davvero, ma bisognerebbe fare una ricerca molto più approfondita per ottenere il numero esatto negli anni che seguirono l'Unità.
Ecco cosa si legge nella "Difesa del duca di Modena dalle accuse del Sig.Gladstone(3) - Marchese di Normanby - traduzione in italiano - Venezia - 1862", a pag.38:

"II Contemporaneo di Firenze, nell'agosto 1861, pubblicava la seguente Statistica di soli nove mesi di reazioni nelle provincia meridionali: Morti fucilati istantaneamente - 1841 ; morti fucilati dopo poche ore — 7127; feriti - 10604, prigionieri - 6112; sacerdoti fucilati - 54; frati fucilati - 22; case incendiate - 918; paesi incendiati - 5; famiglie perquisite - 2903 ; chiese saccheggiate - 12 - ragazzi uccisi - 60; donne uccise - 48; individui arrestati - 13629; comuni insorti - 1428. Sono cifre che fanno raccapriccire; eppure non son tutte! Povera Italia!"


(1) Manuale di tutte le leggi, decreti e regolamenti relativi alla liquidazione dell'Asse Ecclesiastico - Ministero delle Finanze - Firenze 1868 - pag.108
(2) La Civiltà cattolica - vol.102 - serie VI - Roma - 1866 - pag.237
(3) Sir. Gladstone, lo stesso che scrisse, senza averle mai vedute, che le prigioni napolitane erano orrende, con lo scopo di delegittimare il governo di Ferdinando II.


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giovedì 10 settembre 2009

Storia di Giuseppe Alessi di Castrogiovanni (Enna) fondatore dell'Accademia Gioenia di Catania


Nato ad Enna il 15 febbraio 1774
Morto a Catania il 31 di agosto 1837

Giuseppe Alessi, che, lontano dalle brighe civili, e fra le domestiche mura, tutta spese la sua vita agli studi o alla utilità o allo splendore della nostra comune patria consacrandola, é uno di quei sapienti siciliani che non é guari furono dall'indiano morbo fatalmente mietuti. A ragione ora Sicilia lo piange, e dolorosa reclama che le sue virtù con quelle degli altri benemeriti dappertutto si proclamino, dappoiché, essendo ella dalla prisca magnificenza decaduta, solo il conforto le rimane di poter essere almeno conosciuta per le opere dell'ingegno e del cuore dei suoi cittadini, ancorché perduti, che valgano da un canto a rafforzare i superstiti nella patria carità, e a mostrare dall'altro allo straniero che in niun tempo i petti dei Siciliani son chiusi allo amore della sapienza, e che se in una età di sciagure han molto essi potuto, solamente volendo, ancor più potrebbono se le presenti circostanze mutassero e la prosperità venisse un'altra fiata a rallegrare questa isola prediletta dalla natura.

Da Saverio Alessi e da Luisa Maddalena nacque Giuseppe il di 15 febbraio 1774 in Castrogiovanni, città che col titolo di Enna fu assai dalle antiche istorie celebrata. Ad un suo zio materno, per integrità di costumi ragguardevole, fu affidata la morale e letteraria educazione del fanciullo, cui furono sempre in sin dalla puerizia instillati in animo i più puri ed efficaci ammaestramenti di virtù. Cominciati gli studi nella città natale, fu indi a qualche tempo mandato in Catania a compierli, ove per le speziali cure di monsignor Ventimiglia erano venuti molto in fiore. Ivi il giovine Alessi studiò l'eloquenza sotto Raimondo Platania che professavala nel seminario dei cherici; e siccome questi, di molto ingegno dotato, non avea saputo rimanersi pago a quelle amene discipline senz'altro, e internato si era nello filosofiche scienze, cosi trovossi in istato di potere ammaestrare l'Alessi nella filosofia e nelle matematiche altresì, che cominciavano a scortarlo ad un pensar sodo, e dalle frivolezze lo distoglievano. Apprese in seguito gli studi in divinità da Antonino Pennisi domenicano da Aci-Reale, che nell'istesso seminario dei cherici professavali, e che colla forza dell'ingegno avea saputo lodevolmente dalle scolastiche vanità disvilupparsi. Sebastiano Zappalà ultimamente, più per memoria che per ingegno distinto, gl'insegnò la ecclesiastica giurisprudenza. Alessi però tornato in patria ebbe il dolore di veder trapassare gli amati suoi genitori, e di dovere assumere al tempo stesso il carico della domestica economia e della educazione dei suoi fratelli. Ei già avea cominciato a far conoscere il suo merito, che lungo tempo non potea star nascoso in una città non grande, e pertanto fu eletto in età di soli ventidue anni maestro di belle lettere, e non molto appresso di filosofia. Assunto il ministerio di prete, e con esso l'obbligo di condurre a virtù i suoi simili, di ammaestrarli cercò colla sua voce dal pergamo e in patria e nelle ville circostanti. Due volte portossi in Catania per ottenere una parrocchia o quella di s. Bartolomeo, o l'altra di s. Cataldo che successivamente vacarono, ma non difettò di merito, solo l'età non reputata acconcia fu di ostacolo a' suoi desideri. Inviato in Palermo dai suoi cittadini collo incarico di procurare alla lor patria un vescovado, si legò in istretta dimestichezza coi più dotti uomini che vi fioriano, e singolarmente col Decosmi, che in alta stima lo tenne.

Vero é che spesso la elezione degli studi particolari dalla naturale inclinazione di ciascheduno dipende, ma ancor più spesso vien determinata da talune circostanze che nella vita umana inaspettatamente si presentano, e le disposizioni dell'animo destano, dirigono, invigoriscono. Per la qual cosa il nostro Alessi, avuto in sorte di nascere in una città che mille gloriose reminiscenze per gli antichi avvenimenti civili offre al pensiero, e mille presenta in ogni luogo al guardo indagatore tra monumenti ed oggetti o per la vetustà delle arti da venerarsi, o per la utilità che natura chiude in suo seno da studiarsi, fu mosso potentissimamente in sin dalla sua giovinezza ad abbandonarsi alla storia naturale e civile, ed alla archeologia di Enna: le quali investigazioni estese tosto con senno a tutte le città della isola, perché tutte esser patria debbono dei buoni Siciliani, e dove più cose rinvenia da rischiarare, con maggiore affetto vi attendea. Alternava di quando in quando la lettura dei classici latini e greci, né le sacre discipline intralasciava. Ottenuta a concorso dopo mille opposizioni la cattedra di giurisprudenza ecclesiastica nella università di Catania, fu obbligato a lasciare la stanza di Enna, a lui molto cara, e trasferirsi nell'altra città, della quale tosto divenne uno dei principali ornamenti.

Giuseppe Alessi rivolgea frattanto in animo tutto che al progredimento della siciliana coltura era bisognevole, e non ignorava che l'isola nostra avea veduto in ogni secolo sorger più congregazioni di dotti, le quali o senza scopo alcuno vagando, o maggiormente di frivoli subbietti poetici intertenendosi, di niuno, o di pochissimo, e non ben manifesto utile erano elle sempre mai riuscite alla civiltà del popolo, solo mostrando di essere state accomodate alla età particolare in cui furono instituite. Vedea però che, mutati i tempi, novelli bisogni sorgeano, pei quali non più in prezzo tener si poteano le arcadiche pastorellerie, e che una generazione era venuta di gravi e severe investigazioni oltremodo desiderosa. Per questa considerazione trovossi in comunanza di taluni prestanti ingegni, che generosamente si travagliarono a gittar le fondamenta ad una novella accademia che appositamente si fosse intrattenuta della storia naturale della Sicilia, e delle fisiche scienze: opera veramente degna del suolo e del tempo che nascer vedeala: e che se per essa la dotta Catania ha ricevuto i più sinceri plausi dai sapienti stranieri, nel suo primo nascimento diede una luminosa testimonianza di essersi anco in Sicilia sentito il vantaggio di quel felice rivolgimento che per la intellettuale coltura si era operato nelle altre nazioni di Europa. Denominavasi Gioenia l'accademia a gloria del cavalier Giuseppe Gioeni per la sua litologia vesuviana, e pel museo che fondò di storia naturale, dagli stranieri conosciuto. Quanto si adoperò e quanto scrisse per quell'accademia l'Alessi, cel fa considerare come fervido e dotto naturalista. Nobile pensiero di quei primi fondatori si fu, come ho detto, di studiare ed illustrare le cose naturali dell'isola, e a maggiormente riuscire nel lor proponimento stabilirono di creare un apposito gabinetto. Alessi, siccome dei più zelatori, fu uno di quei deputati che l'accademia nella sua prima instituzione elesse per mettersi in comunicazione con tutti i soci corrispondenti e coi collaboratori dell'isola, per fare acquisto dei più rari ed interessanti oggetti naturali di Sicilia. Già intendevano taluni a formare un piano che la fisica e naturale scienza dell'Etna comprendesse, altri intorno alla flora etnea lavorava, chi alla geologia di quel monte, e chi alla mineralogia siciliana avea rivolto l'animo, ma Giuseppe Alessi cominciava le sue fatiche con la descrizione fisico-mineralogica della sua città natia, di Enna, e il di 11 novembre 1824 una memoria leggeane alla presenza del marchese delle Favare, allora luogotenente generale in Sicilia, ed una carta topografica all'accademia presentava, disegnata dal dotto inglese Riviers, e faceale dono eziandio di una ordinata serie dei minerali dell'ennese territorio.

L'Etna che da gran tempo avea tratto l'attenzione e di siciliani e di stranieri, e che vantar potea dotti scrittori delle sue eruzioni, non avea pur tuttavolta una storia che tutte le sparse notizie insieme raccogliendo ed ordinando dalla età più oscura ai giorni nostri pervenisse, senza lasciar cosa che all'assunto avesse potuto giovare. La eruzione accaduta a 18 maggio 1818 diede occasione a cosiffatto lavoro, perciocché essendo tratta in cima a quel monte il 2 luglio dell'anno stesso una folla di colti osservatori, insieme al conte Brocchi a Carlo Gemmellaro ed al prussiano Federigo Bonti vi si recò l'Alessi, e su quell'altezza istessa, scosso dal maestoso spettacolo che natura gli offeriva, magnifici concepimenti al pensiero vedea presentarsi di siciliana utilità, e tra le varie riflessioni fatte con quei valorosi geologi, il piano immaginò di una storia critica degli incendi etnei, che per tutti i secoli si stendesse a cominciare dai tempi favolosi. Questo divisato lavoro in più ragionamenti distese, che tutti in diversi anni si fece a leggere nella catanese accademia; prendendo le mosse dai tempi immemorabili e favolosi in fino all'anno mille ottocento trentatré, in cui l'autore finì di scrivere: opera che per le lodi di giornali italiani e stranieri é stata altamente celebrata. Bello e compiuto é il lavoro; molti vuoti supplisce, spezialmente nei tempi greci e latini; il dubbio e le incertezze con critiche osservazioni rischiara sulla filosofia, sulla cronologia e sulla filologia; e se talvolta vide l Alessi quello che veder non avrebbe dovuto, e nelle sue disanime andò fallito, dee notarsi a colpa della immensità e della disagevolezza delle sue ricerche, singolarmente nei tempi favolosi, nei quali tace la tradizione, e fra le oscurità é d'uopo ravvolgersi.

Oltre alle anzidette fatiche, due altre memorie compose che in quella stessa accademia furono lette, cioé l'una sopra gli ossidi di silicio, ed i silicati appartenenti a Sicilia, e sull'utile che trar se ne possa, e l'altra sulla vera origine del succino. Nella prima favellò di varie specie di minerali o conosciute o novellamente scoperte in Sicilia, e facendo conoscere gli usi e i lavori a che posson valere per la prosperità dell'agricoltura delle arti e de'mestieri, compianse la nostra miseria, ché potendo essere co' naturali tesori della isola indipendenti dagli stranieri, ci facciamo schiavi di quelle nazioni che della nostra infingardaggine profittano. Generoso sentimento di animo siciliano tendente a scuotere i cittadini dalla inerzia loro, e a procurare i vantaggi della comune loro patria! In bella mostra schierò sotto gli occhi degli ascoltatori la collezione di quei minerali che avea per suo studio raccolto in Sicilia, e dopo di averne colla sua orazione minutamente descritto i caratteri , e notato i luoghi particolari ove rinvengonsi, ne fe' dono al gabinetto di quella accademia. O ignota o non ben certa era pei naturalisti la origine del succino, e da più tempo Alessi vi avea posto l'animo. Molte varietà ne avea raccolte in Castrogiovanni, le quali sottoposte all'esperienze praticate con Gaetano Mirone e Salvatore Platania , alla presenza di Carlo Gemmellaro, gli fecero conoscere la vera origine del succino in una gomma transudante, sotto la corteccia e tra il liber di una legnile della specie del pino, o di tal albero somigliante, la quale scoperta con una sua memoria presentò all'accademia; ove iteraronsi gli esperimenti, e si videro corrispondere a quelli che già dall'Alessi si erano tentati. Fu lodata da tutti questa memoria, ed il giornale di farmacia di Parigi ne diede un compendio.

Scrisse in seguito l'Alessi un discorso che può servire d'introduzione alla zoologia del triplice mare che cinge Sicilia, ed un altro sulle ossa fossili ritrovate in ogni tempo in questa isola e recentemente scoperte in Siracusa, con osservazioni geologiche. La Sicilia in ogni tempo ha mostrato le zanne ed i denti molari degli elefanti fossili, ed i nostri musei n'eran pieni. Ma non molto dopo al 1830, nel qual anno molte scoprironsene nella grotta di Maredolce in Palermo, ordinate dal Bivona ed illustrate dallo Scinà, varie altre se ne rinvennero nel sito di Grotta Santa in Siracusa, nella quale occasione scrisse l'Alessi il suo discorso, e pria che lo Scinà avesse pubblicato il suo opuscolo, avealo egli presentato all'accademia. Ma per queste ed altre fatiche e per lo acceso zelo Alessi che nella prima creazione di quell'accademia era stato eletto membro del comitato, fu indi segretario alla classe di scienze fisiche, direttore del gabinetto, e finalmente segretario generale, col qual carico due relazioni distese che un picciol quadro racchiudeano de' lavori nel corso di due anni eseguiti, con tanto ordine, precisione e nobiltà annodati ed esposti, che piacevole ne riesce la lettura.

Fondavasi in Palermo l'Instituto d'incoraggiamento di agricoltura, arti e mestieri, e nei capoluoghi delle altre valli le società economiche si stabilivano, tendenti tutte a promuovere la prosperità nazionale, e con essa la civiltà, e la gloria del popolo siciliano. Tra' componenti della società economica della valle di Catania videsi l' Alessi, e con tutti gli altri attendere, perché conseguito si fosse l'ottimo scopo che loro era posto avanti. Per questa ragione ei nella generale adunanza del 30 maggio 1835 lesse un breve ragionamento sulla scoperta della magnesia solfata in Sicilia. E quando il governo per mezzo dell'Instituto di Palermo a tutte le società delle valli dava incarico di proporre i mezzi più acconci affine di estirpare le cavallette che in moltissima copia erano venute ad invadere e devastare le nostre più ubertose campagne, Alessi un'apposita memoria leggea , nella quale i suoi pensieri sull'assunto manifestava.

L'affetto per le naturali e fisiche scienze che tanta parte occupava dell'animo suo, non riusciva di ostacolo a quello per la patria erudizione, che forse con più potere che l'altro signoreggiavalo, ed i moltiplici suoi lavori, chiara testimonianza ce ne danno. A gloria dell'isola nostra qual pubblico professore della università di Catania, nel ripristinamento degli studi varie orazioni ci disse, che il senno degli avi nostri ricordavano. Con piacere rimembriamo la orazione latina intorno all'ingegno che hanno i Siciliani per le invenzioni, la quale meritò le Iodi della Biblioteca Italiana, e per l'abbondanza del santo amore di patria, e per la ricchezza di squisita erudizione, e per la eloquenza latina con cui fu scritta. Le altre orazioni poi sulle leggi siciliane, sopra Caronda e le sue leggi, l'elogio del cav. Giuseppe Gioeni, ed altro che in diversi anni nella sala della stessa università di Catania e' lesse, fanno conoscere quanto innanzi sentisse nella patria erudizione, e quanto amore ponesse nel diffonderla, eleggendola a subbietto dei suoi discorsi, meglio che le altre astratte, e speculative trattazioni, perciocché grande é l'efficacia dei fatti, e tra questi più vigorosi a muover l'animo della gioventù siciliana sono in ispeziallà quelli che le più belle glorie domestiche rammentano. Questi discorsi, e gli elogi de' due catanesi Girolamo Recupero, dotto naturalista, e di Lorenzo Rizzo Morelli tolto in gioventù alle speranze della patria, che promettevasi di vedere tosto in lui un anatomico di gran fama, davano a conoscere di avere acquistata l'Alessi qualche facoltà nel dire, se non per la purità di linguaggio italiano, che in ciò più nel latino riusciva, certo per la maniera di presentare le cose.

Cotidianamente Alessi studiava la storia di Sicilia, e conoscendo che questa assai manchevole sarebbe specialmente pei tempi antichi, se non si cercasse di vantaggiarla colla spiegazione delle monete, delle medaglie, delle iscrizioni, degli avanzi dei templi, dei teatri, e di tutt'altro, che alle rovine de' secoli é sopravvissuto, dalle quali investigazioni può sicuramente attingersi qualche profittevole conoscenza intorno i costumi, le usanze, e gli avvenimenti civili del popolo, con ardore allo studio dell'archelogia consacrossi, ed attese alla lapidaria, alla numismatica, alla iconografia, alla paleografia, alla diplomatica. Come appendice alla raccolta delle iscrizioni del Torremuzza, può considerarsi la lettera, che pubblicò sulle ghiande di piombo inscritte, trovate nell'antica città di Enna, per dilucidazione delle quali rammenta la loro origine, rischiara quelle ritrovate in Sicilia, ed altrove, e favella sulla maniera di lanciarle. Divisamento di Giuseppe Alessi fu di provare in questa lettera, che come gli antichi nelle prime guerre pugnarono con sassi, cosi a questi furono sostituite, nelle età successive, le palle o ghiande di piombo.

Se tutte io qui volessi partitamente esaminare le illustrazioni di alcuni sepolcreti ed iscrizioni appartenenti alla antica città di Catania , e delle medaglie greco-sicole di Enna, di Etna, di Taormina, di Girgenti, di Siracusa, e di altre nostre antiche città, lunga opera sarebbe, e possono agevolmente gli eruditi leggerle nel Bullettino archeologico di Roma, in quello di Ferrara, nelle siciliane Effemeridi, e nel Giornale di scienze lettere ed arti per la Sicilia.

Conosciuto quanto Giuseppe Alessi nella patria erudizione valesse, gli amici tutto di lo spingevano a scrivere la storia generale di Sicilia, ed e' tra per la immensità e per la disagevolezza del lavoro, e si anco per l'età, che di molto si era avanzata, loro scusavasi, dicendo di non potersi sottomettere a cosi gran peso. Purtuttavolta le iterate istanze degli amici lo vinsero, ed Alessi mise mano all'opera proponendosi di scriver prima la storia antica da' tempi favolosi insino alla caduta dell'impero romano, nella quale e' vedea l'origine, la grandezza ed il decadimento dell'isola nostra; riserbandosi poscia di scrivere la storia moderna, che dalla caduta dell'impero romano sino a' nostri giorni si distendesse. Di tale storia però non altro abbiamo alla luce che le due parti del primo volume, e la prima del secondo: ma, se pur vero é quel che si dice, possiamo sperare di vederla tutta comparire colle stampe essendo stata dallo autore pria di morire compiuta. Nella prima parte del primo volume cominciando a favellare dei Ciclopi, giunge sino alla guerra ed alleanza de' Sicani coi Sicoli. La seconda parte comprende il corso del tempo dai Sicoli fino allo arrivo delle greche colonie, e la descrizione fisica geografica storica della Sicilia dalla età favolosa sino alla venuta de' Greci. Nella prima parte poi del secondo volume dopo di aver presentato lo stato della Sicilia pria dell'arrivo delle colonie greche, passa ad esaminare la loro origine, il loro stabilimento, la fondazione delle nostre antiche città, e i governi, e i governanti, e le lingue e le costumanze e le divinità e i riti e le cerimonie e i giucchi, e tutt'altro, sino alla morte di Anassila.

Se noi ci faremo a considerare il titolo che Alessi volle donare all'opera cioé quello di Storia crìtica della Sicilia, facilmente si argomenterà ch'e' prese tutt'altra via per trattare l'assunto, che quella che batter si dee da coloro che amano di esser detti propriamente storici. La vera storia coglie le fisonomie de' tempi, e il carattere delle persone, annoda ed ordina i fatti, gli effetti e le cagioni ravvicina e congiunge, e la catena non interrotta degli avvenimenti civili con nobiltà e decoro presenta, disdegnando le favole e le cose incerte, e senza allargarsi in minute e stucchevoli disamine, che ogni leggitore agghiacciano, e distolgono dal principale subbietto. Cosi che la vera storia dev'esser critica senza presentare agli occhi altrui tutto l'apparato delle critiche osservazioni. L'opera di Giuseppe Alessi, sotto altro aspetto ravvisata, é utilissima, perché immensa erudizione presenta da poter servire di materiale a chi vuole, e può scrivere la vera storia di Sicilia , che tuttora ci manca. E' chiamò critica la storia per le osservazioni archeologiche, politiche, filosofiche e di ogni genere, rafforzate con l'autorità de'lunghi tratti di antichi scrittori e di poeti, e di filosofi, e di storici. Ed egli stesso confessava, che la parte favolosa potea riguardarsi siccome una introduzione allo studio della sicula archeologia.

Per l'amore alla patria erudizione e per la sua infaticabilità, era degno Alessi di vivere a' tempi di Mongitore, de' Di Blasi, degli Schiavo e di altri tali che nella passata generazione in pro delle cose siciliane si travagliarono; ma il corso del tempo che da quei benemeriti lo disgiunse, fe' sì che avesse avuto più coltura e politezza nelle sue erudite trattazioni. Ma il soverchio affastellamento di erudizione ed il giudizio rarissime volte vanno insieme congiunti, ordinariamente pugnan tra loro, ed il trionfo dell'uno é a discapito dell'altro. Per questo talvolta, sforzandosi di rischiarare la verità con ammassar testimonianze di autori e di fatti, senz'averne accorgimento ad Alessi la vera critica falliva. Spesso asserì cose che nemmeno avrebbe dovuto notare per dubbie, spesso parvegli inconcussa un'autorità, che in niun conto avrebbon gli altri tenuto, spesso di autori moderni si valse a pruovare le cose antiche, ed anco qualche fiata per inedita diede qualche o moneta che dappiù tempo conosceasi, o medaglia che della sua legittimità facea dubitare: e in ciò a mio credere più contribuiva la celerità con cui scrivea, e le cose scritte pubblicava. Bella é la erudizione, ma, se non sobria, é dannosa. Giuseppe Alessi quasi non volendo era trascinato ad usarne senza misura e senza esame per lo imperioso amore alle cose nostre, e più per la tenacità della memoria, ch'ebbe maravigliosa sin da fanciullo quando ripetea lunghissimi tratti de'classici, e per la sua viva immaginazione, che non gli dava tempo di ordinare e di confrontare convenientemente ciò che alla mente gli si presentava.

Per la moltiplicità delle opere, tutte per argomento e per utilità siciliane, era ad eminente grado dì reputazione venuto. Lodavanlo i più pregiati giornali di Sicilia, come parimente quelli della penisola della Francia e d'altrove: le adunanze letterarie patrie, o straniere, nel numero dei loro componenti aggiungevamo, e siccome il suo nome conosciuto era nell'Italia e di là dalle Alpi, ricercato venia da quei viaggiatori che si conducevano in Catania. In guiderdone ai tanti suoi meriti ebbe un canonicato nella chiesa collegiata, fu eletto rettore nel collegio delle arti, ed era stato nominato con altri per un vescovado, ma non so per qual ragione conseguire non poté quello del quale sarebbe stato meritevole.

Cupido di gloria, i suoi pensieri insin dalla età giovanile ad essa rivolse, e con ogni possa procurò di acquistarla. Questo ardente amore della propria reputazione non lo inebriò talmente da farlo inorgoglire, o da fargli riguardar gli altri con austero sopraciglio, che anzi serviagli sempre di sprone ad opere novelle, e tutto che si fosse stato di indole grave e severa, di urbani modi usava nel conversare, a tempo di piacevoli motti valeasi, e sempre con giudizio alla condizione ed alla intelligenza diversa di ciascheduno accomodavasi. Amorevole co' suoi congiunti, la santità della amicizia teneva cara, e costante e generoso amico addimostravasi. Amava sinceramente la patria, ma come che fervido siffatto amore sentisse nel suo petto, non abbandonavasi ciecamente a guisa che fanno coloro che alle picciole ed inette cose vanno dietro, ma meglio desiderava contribuire con l'opera sua a promuovere il comun bene de' Siciliani, utili dottrine diffondendo, massime di virtù instillando, e ragionamenti pubblicando che avessero potuto ricordare la prisca magnificenza di Sicilia, il cui decoro principalmente era guida, e norma alle sue azioni: né la asprezza delle fatiche lo scoraggiò, né gli ostacoli che frapporre si sogliono in verun modo lo arrestarono. A quei giovani studiosi che a lui per consiglio ricorrevano, e' quasi come affettuoso padre a' figliuoli con tutta benignità soccorreva, ora nel miglior sentiero da battere i meno esperti avviando, ora con sani ammaestramenti fortificando quelli che a lui pareano essere bene avviati. Desideroso era dell'onore della università di Catania, alla quale per la cattedra di giurisprudenza ecclesiastica appartenea, e per quanto gli era possibile vi si adoperava, inculcando a tutti i professori ch'eglino un sol corpo componevano, come solea dire, e che perciò l'utile reciproco doveano con amorevolezza ricercare, e che un'anima sola un sol pensiero avere doveano diretto a promuovere la coltura e la civiltà. Per la qual cosa e', tutto che era professore di dritto canonico, la mancanza degli altri allo stesso tempo suppliva, e tra le altre lezioni diede quelle di filosofia e di pandette. Questo sentimento di fraternità proccurava di fare allignare in tutte le unioni letterarie, e nella Accademia Gioenia principalmente, e nella Società Economica, nelle quali con buoni modi gli animi discordi a concordia componea, anzi ogni cagione di liti appena nata spegnea, cosicché discacciando lo spirito di parte , col suo esempio, piucché qualunque altro, alle belle ed utili fatiche i suoi compagni spronava. Pieno avea l'animo di generoso desiderio di veder progredire gli studi, e ad essi costantemente attendeva, né le vicissitudini del 1820, quando Sicilia vide per tutto movimenti e passioni, velo distolsero, che appunto in quell'anno metteva alle stampe l'elogio di Lorenzo Rizzo Morelli il di 19 luglio dell'anno stesso tolto alle speranze di Catania. Giuseppe Alessi quel denaro che qualche volta ai comodi della vita negava, tutto per libri e per oggetti naturali di belle arti e di antichità profondeva. Le stanze della sua casa poteano considerarsi come un museo, perciocché da ogni parte ordinatamente scorgevansi gessi, monumenti antichi, roccie, minerali, insetti, conchiglie straniere e sicule, ossa fossili, pietre incise, collezioni di stampe, di vasi, d'idoletti grecosicoli ed egizi di bronzo, di creta, di granito, con due preziosi e ricchi medaglieri di medaglie greco-sicole e romane d'oro, di argento, di rame. Amante com'era delle belle arti, ed in ispecial modo della scoltura e della pittura, eccellenti quadri avea raccolto, e scrisse su taluni argomenti di storia di Catania divisati in pittura, per uso del principe di Manganelli.

Era di bella persona, di statura alta, di complessione robusta, grave nel portamento; il naso avea regolarmente conformato, e più traente all'aquilino, gli occhi vivi e penetranti, alta e convessa la fronte, il colore del volto tra bilioso e pallido, calva la testa. Tale Giuseppe Alessi offriasi, già pervenuto al sessagesimoterzo anno dell'età, pria che le calamitose vicende del cholera avessero bersagliata Sicilia, e ci godea l'animo vedendo che tra tanti altri sapienti cercava sempre il meglio e l'utile della sua patria: ma quando questo feroce tempo di sciagure sopragiunse, quando, oltre a mille altri danni, i buoni senza compianto trapassavano, e senza estrema pompa co' vili e co' tristi erano indistintamente confusi, Giuseppe Alessi finia di vivere in Catania il di 31 di agosto 1837, fra le braccia di un'amata sorella che pietosamente soccorrevalo ; ad essa, e ad un'altra che stava per esalar l'anima sentimenti di religione e coraggio inspirando, senza mutar viso a quei mali che atrocemente imperversavano. E' trapassò; ed ora altro di lui non ci rimane che la dolce rimembranza delle virtù.

Bernardo Serio

(Biografie e ritratti d'illustri Siciliani morti nel cholera l'anno 1837 - Palermo - 1838)

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