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lunedì 2 maggio 2016
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lunedì 19 ottobre 2015
Un affresco di Vito d'Anna su un altarino di Riposto (CT)
Foto di una scolaresca sotto l'affresco della Madonna del Rosario di Vito d'Anna
Riposto(CT) - Un affresco databile ai primi anni dell'epoca borbonica (1736-1744) attribuito al noto pittore palermitano.Vito D'Anna nacque a Palermo il 14 ottobre 1718, dove morì il 13 ottobre del 1769. Fu considerato l'erede del famoso Paolo Vasta, che lo accolse nella sua scuola pittorica di Acireale il 13 gennaio del 1736, dove rimase fino al 1744, quando ritornò temporaneamente a Palermo per poi trasferirsi a Roma.
Dipinse, col suo stile barocco, parecchi ed apprezzati affreschi nell'acese, così come nel palermitano, nell'agrigentino, nel ragusano e nel siracusano. Sua è una tela di Madonna col Bambino nel Convento dei Cappuccini di Linguaglossa(CT). Il figlio Alessandro, nato nel 1746 e morto intorno al 1815, dopo anni di attività nella bottega paterna, si trasferisce a Napoli insieme al fratello Olivo. I due artisti s'impegnarono col re Ferdinando a dipingere i costumi dei vari paesi del Regno, restando sempre alle dipendenze dei reali napoletani.
Vito d'Anna: Ritratto autobiografico
La scoperta dell'inedita opera è stata resa possibile grazie al rinvenimento di un documento ottocentesco, secondo il quale in una zona compresa tra Riposto ed Altarello, si trovava all'interno di un altarino, un affresco del d'Anna:
"...Presso a Riposto, nella via dell'Altarello, esiste di Vito un altarino ove pitturò la Vergine del Rosario col divin pargoletto in grembo, e s. Domenico e s. Caterina ai fianchi..."(1).
La conferma è recentemente arrivata da una foto in bianco e nero dell'altarino, oggi purtroppo non piu esistente in quanto demolito nel 1956 per l'allargamento della strada Riposto-Quartirello.Secondo Stefania de Luca, proprietaria della foto, l'edicola votiva era situata all'altezza del parco delle Kenzie.
Tale foto, come ha segnalato Ivan Leotta, è riportata anche sul libro "Quartareddu do Chiancuni" del Prof. Mario Giannetto, che dedicò qualche pagina all'edicola della Madonna del Rosario:
"Imboccando la via per "Quartareddu"[...]era stata costruita dagli abitanti del luogo, probabilmente nel secolo XVIII, un edicola votiva che sorgeva all'incrocio tra l'odierno Corso Europa e la strada n.28 Riposto-Quartirello.Essa era alta circa 4 metri, con volta ad arco, tetto piano sormontato da una croce in ferro battuto. Nella parete frontale dell'ampia nicchia era dipinta con pittura su intonaco una delicata Madonna del Rosario che portava in braccio il bambino ed al suo fianco, inginocchiata, una donna supplicante[...]L'Edicola rappresentava il limite fra il paese e la campagna, l'uscita e l'entrata da mezzogiorno dell'abitato di Riposto."
Dettaglio dell'affresco del d'Anna
La datazione al XVIII secolo, come riporta il Giannetto, corrisponde effettivamente al periodo in cui Vito d'Anna affrescò la cappella (tra il 1736 ed il 1744, periodo in cui il pittore soggiornò nella vicina Acireale) tuttavia ad un'attenta analisi dell'affresco si notano ai lati della Madonna due presenze, e non una (...donna supplicante...): si tratta infatti di S.Domenico e S.Caterina, figure che per tradizione vengono sempre poste, supplicanti, ai lati della Madonna del Rosario, come riporta correttamente il documento ottocentesco e come appare in altre opere simili.
Nell'antico affresco si notano chiaramente le mani di due figure: S.Domenico e S.Caterina
Pare che l'affresco sia andato distrutto durante le operazioni di ricollocamento, secondo le testimonianze della madre di Stefania di Luca, che ne portò a casa un frammento, oggi perduto.
Inizialmente si era creduto che l'opera del d'Anna fosse all'interno di un altro altarino, che ha per oggetto la Madonna del Rosario, posto sulla strada tra Altarello e S.Leonardello, sempre nel comune di Riposto, ancora oggi esistente. Ma l'eccessiva lontananza dal centro di Riposto e la qualità dell'affresco non certo compatibile con la bravura del discepolo di Vasta, hanno fatto scartare questa ipotesi.
Altro altarino posto sulla strada n.17, tra Altarello e San Leonardello
(1) Giornale Arcadico di Scienze Lettere e Arti, Tip. delle Belle Arti, Roma, Mag-Giu 1860, Tomo XXI, p.241
Davide Cristaldi
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cultura,
sicilia borbonica
martedì 19 maggio 2015
Riposto, storici a confronto per decidere sulla strada intitolata a Enrico Cialdini
RIPOSTO(CT) - Cambiare o continuare a mantenere la denominazione via Enrico Cialdini per una delle strade del centro storico ripostese? A questo quesito dovrà dare una risposta, il convegno di domani, alle 18, in Municipio, richiesto dalla Consulta culturale al sindaco Enzo Caragliano e all'assessore Gianfranco Pappalardo Fiumara per focalizzare meglio la figura del generale Cialdini. La tavola rotonda (moderata da Franco Buscemi) - con tema:"Enrico Cialdini e la Questione Meridionale" - avrà come relatori i docenti universitari Antonino Alibrandi eOrazio Licciardello, lo storico Tino La Vecchia, Fernando Riccardi, vice presidente dell'Istituto di ricerca storica Due Sicilie, mentre in collegamento Skype interverranno lo scrittore Pino Aprile e da Olbia il docenteDaniele Marano.
Dal 2010, si chiede, infatti, da più parti la cancellazione del nome dalla strada intitolata al generale sabaudo, che nel 1861 non esitò a mettere a ferro e fuoco interi paesi del Sud, passando per le armi uomini, donne e bambini.
Nel nome della lotta al brigantaggio, una forma di resistenza all'invasore piemontese, la repressione messa in atto da Cialdini - come scrive Vittorio Messori - registrò nel solo Napoletano 8.968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati, 10.604 feriti, 7.112 prigionieri, 918 case bruciate, 6 paesi interamente arsi, 2.905 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 13.629 deportati, 1.428 Comuni posto in stato d'assedio.
Del cambio di denominazione della strada, già attuata in tanti Comuni, si è discusso più volte in Consiglio, senza però raggiungere una decisione. E dire che, negli anni, sono state centinaia le email inviate da tutta Italia agli amministratori sulla vexata questio.
Salvo Sessa
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giovedì 16 aprile 2015
Dibattito pubblico sulla rimozione di una via dedicata a Cialdini
RIPOSTO - L'Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie ed il Comitato Storico Siciliano, aderenti alla Rete delle Associazioni delle Due Sicilie, hanno il piacere di invitare amici e simpatizzanti al convegno "Enrico Cialdini e la Questione Meridionale" organizzato dall'Assessore Prof. Gianfranco Pappalardo Fiumara e patrocinato dal Comune di Riposto, sabato 24 aprile 2015 alle ore 18, presso la Sala del Vascello del Comune di Riposto (CT).
Il dibattito, che sarà decisivo per mantenere o meno una via intitolata al generale piemontese a Riposto, vedrà tra i relatori il Dott. Fernando Riccardi, vicepresidente dell'Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie, il Prof. Antonino Alibrandi, il Prof. Tino La Vecchia, il Prof. Orazio Licciardello, ed in videoconferenza il Dott. Pino Aprile e il Prof. Daniele Marano. Porterà i suoi saluti il Sindaco Dott. Vincenzo Caragliano, l'Assessore alla Cultura il Prof. Gianfranco Pappalardo Fiumara. Modererà l'Avv. Franco Buscemi.
Sarà possibile assistere alla manifestazione in streaming sui internet dai seguenti siti, grazie al servizio dell'amministratore del Gruppo Facebook "Sei di Riposto se...":
https://www.ustream.tv/broadcaster/20397038
http://ustre.am/1nAcu
http://www.ustream.tv/channel/eventi-canale-uno
http://www.ustream.tv/embed/20397038?wmode=direct
www.prolocoriposto.com
http://ustre.am/1nAcu
http://www.ustream.tv/channel/eventi-canale-uno
http://www.ustream.tv/embed/20397038?wmode=direct
www.prolocoriposto.com
Davide Cristaldi
Fonte: Comitato Storico Siciliano
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venerdì 3 aprile 2015
Identificato un “telegrafo ad asta” borbonico nell’Isola di Marettimo
La “casetta” di Pizzo Lisciannaro nell’Isola di Marettimo. In lontananza, sul fondo, visibile il Castello di Punta Troia. Fonte: Archivio Associazione A.C.S.R.T. - Marettimo
MARETTIMO (TP) - Semaforo o Telegrafo? Nella dualità del suo nome va riscritta la storia di un vecchio edificio sito, a 515 metri di altezza, su un piccolo pianoro della montagna dell’Isola di Marettimo, poco al di sopra di Pizzo Lisciannaro.
“Fabbricato nel 1888, per incarico del Genio Militare di Palermo, dall’impresa palermitana Costruzioni Sciortino-Oliva [,] nel 1912, a causa dei cattivi risultati conseguiti per la fitta nebbia, l’Autorità Militare Marittima sgombrò e abolì da quella pittoresca vetta il “semaforo”, lasciando, da quell’epoca ad oggi, l’immobile completamente abbandonato, in balìa di se stesso e di tutte le intemperie…”. Così recita un passo del libretto di P. E. Duran “Una perla in fondo al mare, sintesi storica-politica-sociale dell’Isola di Marettimo”, edito a Genova nel 1928, attestando sul ruolo di semaforo la funzione svolta da quell’edificio. E così è stato creduto fino ad oggi.
Il recente rinvenimento di alcuni decreti, firmati durante il periodo borbonico (1734 – 1861) da Ferdinando I e Ferdinando II, associati ad altri documenti dell’Ottocento e a una testimonianza scritta di Padre Zinnanti Regio Cappellano della Real Chiesa di Marettimo fino al 1912, ha portato, però, alla identificazione di un “telegrafo ottico”, costruito sullo stesso sito poco dopo il 1816. È, pertanto, ragionevole pensare che la costruzione, di cui fa cenno Duran, si riferisca non a una nuova costruzione, ma alla ristrutturazione di una vecchia torre (o casolare) preesistente, parte integrante di un vecchio telegrafo.
Cerchiamo di completare l’asserto con qualche cenno storico, premettendo nello stesso tempo una distinzione chiarificatrice tra i termini “semaforo” e “telegrafo”:
* semaforo è un posto di vedetta e segnalazione, per lo più in prossimità del mare, non organizzato in rete, predisposto a trasmettere segnali codificati;
* telegrafo è una stazione abilitata a trasmettere e ricevere con stazioni multiple successive, quindi organizzate in rete, non solo segnali codificati, ma anche segnali corrispondenti, in un conveniente codice, alle lettere dell’alfabeto, alle cifre e ai segni di interpunzi
A partire già dai primi anni dell’insediamento dei Borbone nel Mezzogiorno d’Italia, le aree costiere siciliane furono interessate da una rete di “stazioni di osservazione”, dislocate a breve distanza tra loro, con il preciso intento di avvistare e comunicare le frequenti e rapide incursioni della marina piratesca, che aveva le sue basi nelle vicine coste della Tunisia e dell’Algeria. Questi “semafori” erano in grado di trasmettere e ricevere solo segnali convenzionali, del tipo “nave nemica”, “incendio a bordo” e così
via. Verso la fine dello stesso secolo, il Settecento, a seguito dell’invenzione da parte del francese Claude Chappe del “telegrafo ottico”, i semafori furono convertiti in telegrafi ottici, abili a trasmettere non solo segnali convenzionali come quelli dei semafori, ma anche segnali rappresentativi di lettere numeri e segni, generando di fatto una rete di trasmissione e ricezione a distanza di testi, definita pertanto “telegrafica”, in accordo con il neologismo “telegrafia”, coniato dallo stesso Chappe.
Il telegrafo ottico di Chappe essenzialmente consisteva in un apparato costituito da due braccia mobili, incernierate alle estrenità di una traversa, a sua volta collegata centralmente all’estremità superiore di un’alta torre. Con opportuni rinvii meccanici, su comando manuale dal basso, i tre bracci potevano assumere posizioni angolari diverse, per un totale di “n” combinazioni, a cui si facevano corrispondere messaggi convenzionali, lettere dell’alfabeto, numeri e segni. Le braccia erano nere per assicurare un alto contrasto con lo sfondo del cielo. Al sistema veniva associato un telescopio, che allineato su un altro semaforo, identificava il segnale trasmesso. La novità dell’invenzione di Chappe non risiedeva tanto nella tecnica del “telegrafo” e nel suo impiego, quanto nel codice elaborato dallo stesso Chappe. Questo codice consisteva in un vocabolario di ben 92 pagine, ciascuna delle quali contenente 92 termini. Il protocollo di trasmissione prevedeva un primo segnale emesso, indicante la pagina di riferimento del vocabolario, e un secondo, legato al numero identificativo della
parola usata nel dispaccio e contrassegnata nella pagina stessa. In questo modo con una associazione di soli due segni si ottenevano 92 x 92 (8464) combinazioni, corrispondenti ad altrettanti messaggi a senso compiuto. Il messaggio poteva essere trasmesso solo di giorno e in condizione climatiche favorevoli.
Il sistema fu considerato subito molto innovativo dalla Francia di fine settecento e, anche se costoso e un po’ artificioso, divenne essenziale per il paese. Napoleone ne fu entusiasta e diffuse il telegrafo Chappe non solo su tutto il territorio francese, ma anche su quelli europei in cui esercitava la sua influenza. Anche l’Italia ebbe la sua rete di telegrafi ottici. Il modello Chappe fu applicato in Piemonte, Lombardia e altre regioni del Nord Italia, mentre nel Mezzogiorno, sotto il controllo dei Borbone, si diffuse il telegrafo ottico di Depillon, un modellopiù semplice e più pratico di quello di Chappe. Tale sistema, che funzionava con la movimentazione di tre braccia (o aste), venne installato a partire dal 1812 in dipendenza dal “Corpo Telegrafico Militare” della Real Marina del Regno delle Due Sicilie. Parimenti al modello di Chappe le tre ali segnalatrici venivano azionate manualmente da un “segnalatore”, posto alla base del palo telegrafico, ruotando dei volanti: la posizione assunta da ogni braccio corrispondeva ad un numero e l’associazione dei tre numeri dava come risultato una cifra che rinviava, nel “vocabolario telegrafico”, a una frase ben precisa, a lettere o a segni. Il segnalatore della postazione traguardata, dotato di un telescopio, trasmetteva a sua volta il messaggio a un altro telegrafo. Si potevano trasmettere fino a 342 diversi messaggi: il numero “143”, ad esempio, indicava letteralmente “Le vele scoperte sono da guerra”, ovvero che le navi avvistate al largo non erano mercantili ma militari.
Il telegrafo ottico a Marettimo venne costruito su decreto del Re Ferdinando I di Borbone (già Ferdinando IV), emesso il 14 settembre 1816; e comparve, nel 1818, tra “i posti telegrafici esistenti in Sicilia” - insieme a quello di S. Caterina a Favignana - elencati in una pubblicazione delle Ordinanze Generali della Real Marina del Regno delle Due Sicile. Questi documenti, però, non forniscono alcuna indicazione sulla località in cui il telegrafo venne realizzato. L’indicazione ci perviene, invece, dal Portolano dei Mari Mediterraneo e Adriatico, compilato dal Cav. Luigi Lamberti nel 1871, che, alla voce “Isola di Marettimo”, riportando l’espressione “… a levante del telegrafo che si vede in mezzo all’isola …” non lascia dubbi sulla identificazione dell’odierno edificio con quello descritto dal compilatore.
Nella Guida Statistica su la Sicilia e sue isole adjacenti, redatta dall’idrografo Francesco Arancio nel 1844, Marettimo non compare più come sito di una stazione telegrafica; il dato è confermato da una “Mappa delle linee telegrafiche del Regno delle Due Sicilie”, risalente al 1860, e ritrovata recentemente a Messina. Probabilmente la decisione fu presa per le difficoltà di collegamento e di approvvigionamento dell’Isola nei mesi invernali.
Dopo l’Unità d’Italia, verso il 1870, per il sopraggiungere della “telegrafia elettrica” via filo, nella riorganizzazione generale del sistema delle comunicazioni, i telegrafi ottici furono sostituiti con sistemi elettrici e molti di quelli dislocati lungo le coste e le isole disagiate furono trasformati in semplici semafori, predisposti per la sorveglianza del mare e per la diffusione delle condizioni meteo alla navigazione, associandosi alle funzioni svolte dai fari.
Stralcio della mappa
delle linee telegrafiche
del Regno delle Due Sicilie,
risalente al 1860, rinvenuta a Messina.
Fonte: Archivio Davide Cristaldi
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I castelli di Punta Troia e di S. Caterina, parzialmente distrutti dopo l’invasione dei rivoltosi del 1860, cessarono la loro funzione di carceri. Santa Caterina continuò a svolgere la funzione di telegrafo all’interno della rete telegrafica di pertinenza del distretto compartimentale della Sicilia occidentale, mentre il castello Punta Troia fu destinato all’abbandono. In seguito, come testimonia Padre Zinnanti (vedi: Sacerdote Mario Zinnanti Cenni storici delle Isole Egadi Tip. G.Genovese, Monte S.Giuliano, 1912, pag. 18), vi fu impiantata “una stazione semaforica di vedetta con comunicazione telefonica col semaforo di Monte Lisandro [Pizzo Lisciannaro], in cui un tempo esisteva il telegrafo ad asta comunicantesi con quello di Santa Caterina in Favignana”
Da quest’ultima testimonianza emergono tre dati significativi:
il primo riferito alla preesistenza di un semaforo situato a Monte Lisandro alla data di pubblicazione del libretto;
il secondo legato alla realizzazione di un semaforo all’interno del Castello di Punta Troia e di un collegamento telefonico tra detto semaforo e Monte Lisandro, la cui data non è espressa, ma è presumibile che ricada sotto il terzo governo Giolitti (1906-1909), come lo stesso Zinnanti fa intuire con la sua puntualizzazione “… sotto il nostro Governo …” quando vuole caratterizzare temporalmente quell’evento; (la decisione di realizzare un’altra vedetta a Punta Troia verosimilmente si legava alla necessità di controllare una più vasta area marina, allora battuta dalla marineria turco-ottomana; infatti le mire espansionistiche giolittiane verso il Nord Africa suggerivano quei preparativi strategici che già preludevano alla guerra di Libia, regione allora controllata dall’impero ottomano);
il terzo correlato alla pregressa attività, nel pianoro di Monte Lisandro, di un “telegrafo ad asta”, nome comunemente dato, allora, al telegrafo ottico modello Depillon.
Pertanto, l’esistenza del telegrafo ottico a Marettimo, accertata attraverso i decreti di Ferdinando I e Ferdinando II , il Portolano di Luigi Lamberti e la testimonianza scritta di Padre Zinnanti conducono alla inequivocabile identificazione di un “telegrafo ad asta” nel pianoro sovrastante il Pizzo Lisciannaro dell’isola di Marettimo, ancora prima del 1888, che l’unica informazione conosciuta oggi, quella del Duran, considera come anno di prima realizzazione del vecchio fabbricato.
Degli oltre cento telegrafi ottici, modello Depillon, sparsi lungo tutta la costa siciliana per opera dei Borbone, oggi sono rimaste pochissime tracce. Si annoverano solo quelli di Riposto (CT), di Porto Empedocle (AG), di Noto (SR). Il decadimento, la trasformazione, l’oblio hanno cancellato la conoscenza di quell’evento tecnologico originario che segnò l’inizio della moderna era delle telecomunicazioni. Per quasi tremila anni la velocità massima di trasmissione di un messaggio era rimasta ferma a quella del cavallo. Con la discontinuità tecnologica di Chappe, nel giro di pochi decenni, quella velocità avrebbe raggiunto il suo valore massimo, quello della luce.
Vogliamo ora dare un nome al nostro sito? Sia ‘u Telegrafo! Nel rispetto della priorità del tempo e del valore della scienza.
Emilio Milana
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sabato 14 marzo 2015
Si dice 'arancino' o 'arancina'? Un dizionario di epoca borbonica risolve la vecchia diatriba tra catanesi e palermitani
CATANIA - Si dice ARANCINO O ARANCINA? Da almeno un secolo ormai questa diatriba affligge gli abitanti della costa est ed ovest della Sicilia.
A Palermo sembrano non avere dubbi, si dice "Arancina". No si dice "Arancino" ribattono i catanesi. Dopo tanti anni di lotte a colpi di etimologia, la storia sembra dare ragione ai catanesi: anche a Palermo infatti, durante il Regno delle Due Sicilie, si diceva "arancino".
E' probabile che nella Sicilia occidentale il termine si stato storpiato nel corso degli anni, cosa che non sarebbe avvenuta nel catanese.
Così risulta infatti dal rinvenimento di un dizionario siciliano del 1857 stampato a Palermo:
Davide Cristaldi
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mercoledì 11 marzo 2015
154° ANNIVERSARIO DELL'EROICA DIFESA DELLA REAL CITTADELLA DI MESSINA
MESSINA - Dai Borbone ai barboni, dall’Ordine al caos, dall’Architettura alla spazzatura, questi alcuni dei titoli che potrebbero raccontare la situazione di degrado del sito urbano divenuto simbolo del declino di una città, di una regione, di una nazione. Da oltre 150 anni si perpetua il crimine contro la bellezza dei luoghi, contro un monumento insigne (vincolato per legge!), contro la serenità con cui un popolo deve guardare alla storia, al proprio passato.
Dal secondo dopoguerra la Zona Falcata, ed in particolare il perimetro della Real Cittadella è divenuto il ricettacolo di ogni possibile vergogna, trasformato dal Comune di Messina, prima in deposito dei rifiuti solidi urbani e quindi, negli anni settanta, in sede dell’inceneritore, la cui carcassa rimane ancora oggi incombente, a ricordo dell’insipienza amministrativa della nostra classe dirigente.
Falsando spudoratamente la storia, si continua a mantenere nel più squallido ed evidente degrado un monumento ed un luogo emblematico di eterni valori quali Onestà, Dignità, Fedeltà e Onore, valori che per secoli hanno vivificato la Cultura Occidentale.
Malgrado il lungo assedio, noi continuiamo a resistere e come ogni anno portiamo fiori ed alloro in quella che è un’immane pattumiera nel cuore della città, certi di trasformare un giorno queste imponenti mura in un monumento alla Bellezza e non al degrado, alla Cultura e non alla barbarie, così come seppero fare i valorosi soldati duosiciliani a Gaeta, a Messina e a Civitella del Tronto nel 1861.
Ritorna anche quest'anno lo storico appuntamento con l'importante fortezza messinese.
Il programma prevede:
Sabato 14 Marzo
- Ore 11.30 Visita al modellino della Real Cittadella presso l’Istituto “Verona - Trento” (Via U. Bassi, 73).
- Ore 17.00 Omaggio floreale alla statua di Ferdinando II di Borbone, capolavoro di Pietro Tenerani.
- Ore 17.30 Visita alla Chiesa Gerosolimitana di San Giovanni di Malta, già Cappella Palatina della Real Casa Borbone (Via San Giovanni di Malta, 2), a seguire interventi programmati.
Domenica 15 Marzo
- Ore 10.00 S. Messa in suffragio dei caduti presso la Chiesa di San Giuseppe al Palazzo (Via C. Battisti, 109).
- Ore 11.30 Commemorazione e deposizione corone, Bastione S. Stefano della Real Cittadella.
Per chi volesse prenotare la cena del sabato ed il pranzo di domenica o per eventuali altre informazioni ci può contattare allo 3404630651.
Marco Grassi
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